SHAHÀR: quando pregare vuol dire cercare
Scritto da MARIKA BONONI.
Riscrivere la Scrittura non è solo un atto di ri-creazione (ludica ed eterea o seria e attenta) ma anche un’azione con la quale si dà voce e compimento alla davar (parola) ebraica. Una Parola che tramite la penna dell’ adam si mostra con un senso nuovo, anela a un significato, protende verso il limite. E poi si fa trovare. Si fa trovare dal cercare dell’uomo che si pone in ascolto e la indaga per mettersi in relazione con essa e con chi la pronuncia. Così una possibile declinazione della riscrittura è la preghiera, ovvero uno shahár Dio o la divinità. Si può parlare di “divinità”, “infinito” o “limite” perchè chiunque può operare questa ricerca, sia un credente che un non credente. E si può riscrivere la Parola parlando di preghiera perchè la Bibbia è anche l’anello di congiunzione fra Dio e l’uomo e la preghiera è essa stessa quel trait d’union fra l’Infinito e il finito.
Erri De Luca lo ha fatto e si è servito del Testo Sacro, libro con il quale inaugura ogni giornata:
“Ogni giorno mi alzo assai presto, sfoglio per mia usanza l’ebraico dell’Antico Testamento che è la mia ostinazione e la mia intimità. Così imparo. Sento che ogni giorno i pezzi che perdo nel vivere vengono risarciti da una parola che lentamente viene incontro alla mia immobilità e mi conforta con un’intelligenza.” (Ora prima, p. 7)
La Bibbia è intimità, parola che sul dizionario appare come la sfera dei sentimenti e degli affetti più gelosamente custodita, indica confidenza e familiarità. La preghiera può essere un atto comunitario ma è nell’intimo dell’animo umano che esprime la sua spinta più forte verso l’alto. Sacra Scrittura e preghiera sono quindi strettamente interconnesse:
“Chi crede dà il tu a Dio, gli si rivolge riuscendo a trovare dentro di sé il verso, l’urlo o il bisbiglio, il luogo, chiesa o casa o aria aperta, l’ora, per distogliersi da se stesso e disporsi verso il proprio oriente.” (Ora prima, p.10)
Con queste parole lo scrittore napoletano illustra il motivo per cui lui non ha fede e lo fa ricorrendo a Giobbe. Per De Luca un credente autentico è colui che riesce a colmare la distanza fra creatura e creatore con un tu, e il patriarca idumeo, al contrario dei tre amici che si erano offerti di aiutarlo, è il solo ad averlo fatto. Per questo motivo Dio lo ascolta ed esaudisce le sue preghiere, rivolgendoglisi direttamente. Gli altri personaggi parlano di Dio come avvocati difensori di un loro cliente, rimangono freddi e indifferenti nella loro terza persona, di fronte al dolore mai si rivolgono a Dio perché soccorra, ma sempre difendono la pena e la tortura inflitta all’amico. E Dio rende ragione a Giobbe, proprio a lui che in preda alla disperazione e alla collera ha persino dubitato della sua bontà ( È forse bene per te opprimermi, disprezzare l’opera delle tue mani e favorire i progetti dei malvagi? Gb 10,5 ). Il tu della preghiera diviene così l’escamotage per decifrare, con una rinarrazione, l’annosa vicenda del personaggio biblico che da sempre pone il lettore di fronte all’eterna domanda sulla teodicea: come conciliare la presenza del male nel mondo, con l’esistenza di un Dio buono? E poi shahàr: cercare. De Luca in Penultime notizie circa Ieshu/Gesù richiama il Salmo 63 e immagina Davide che prega nel deserto:
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
Di te ha sete l’anima mia,
A te anela la mia carne,
Come terra deserta, arida, senz’acqua
Davide, perseguitato dai bravi di re Saul; Davide, che nel deserto conosce il prezioso sollievo del sole i cui primi raggi riscaldano le ossa intirizzite dal freddo della notte. Un corpo assetato e stanco, provato dalla fatica e dall’affanno; un verbo che è manifestazione e apice della davar ebraica: shahàr. De Luca traduce: “Ha sete di te il mio fiato, si strugge di te la mia carne in terra di aridità e assetata senz’acqua” (p.39) e conclude con “Ti cercherò” nella sua duplice accezione, perché shahár vuol dire anche aurora. Lo scrittore napoletano rimarca la forza espressiva della lingua biblica ponendo l’accento su questa assonanza che vuole significare, spiega, un’urgenza fisica oltre che spirituale. Un’impellenza del corpo ma anche del fiato (declinazione non credente di anima) che si manifesta nella pronuncia stessa della parola: ashaharèca, un soffio che esprime stanchezza e anelito. “Cerca la divinità come si cerca aurora nella notte” scrive De Luca. E conclude così: “A tutti quelli costretti in un’angustia, quelli per cui il mondo si è rinchiuso a sacco sulla testa, auguro la spinta sfrenata di Davide a cercare con forza l’avvento dell’aurora.” (p.41)
Shahàr Dio o shahár consolazione, pace, sollievo? Ciò che conta è mettersi in viaggio.
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Opere citate – Erri De Luca :
- Ora prima, Qiqajon, Magnano (BI) 1997.
- Penultime notizie circa Ieshu / Gesù, Ed. Messaggero Padova 2009.
In copertina: Erri De Luca.