San Paolo: la caduta, la chiamata e … la conversione!
Scritto da NORMA ALESSIO.
Paolo di Tarso, mentre viaggiava verso Damasco per ottenere l’autorizzazione ad arrestare i cristiani, durante la comparizione davanti al governatore Porcio Festo [1] e al re vassallo di Roma, Marco Giulio Agrippa II, a Cesarea Marittima, racconta una prima volta che “all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Ma tu alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno.”(Atti 9,3-7)
L’evangelista Luca, una seconda volta narra in modo (quasi) uguale la “caduta di San Paolo” negli Atti degli Apostoli (22, 6-9): “verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Io risposi: «Chi sei, o Signore?». Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti». Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava”.
Le azioni che sono comuni nei vari brani sono così sintetizzate: il viaggio verso Damasco, la luce abbagliante, la caduta, la chiamata. A queste gli artisti hanno dato livelli di importanza diversi e hanno introdotto in alcune loro interpretazioni i dettagli che caratterizzano i tre racconti. La presenza del cavallo, ad esempio, non è mai menzionata, tuttavia potrebbe essere logica poiché l’evento si verifica durante un viaggio ed è presumibile che Paolo non si stesse spostando a piedi. Un viaggio a piedi non è impossibile, dato che per la maggior parte dei suoi viaggi Paolo si muoverà così. In questo caso, però, ci sono alcuni elementi che possono giustificare la cavalcatura: la missione per conto del sinedrio e la fretta di compiere la missione (viaggiano nell’ora più calda!).
L’atteggiamento del cavallo e la sua collocazione nella scena sono diversificate nei vari dipinti: in quello di Caravaggio (realizzato nel 1600), è in primo piano e domina la composizione, ha ancora la schiuma alla bocca che fa pensare alla corsa avvenuta prima del fatto che l’aveva spaurito, guarda Paolo a terra nel momento in cui è già stato colpito dall’improvvisa manifestazione divina attraverso la luce, anzi adesso è Paolo stesso che la emana col gesto delle braccia aperte. Qui tutto è silenzioso e immobile.
Michelangelo, nell’affresco della Cappella Paolina (1542-45), invece, mostra lo sconvolgimento di tutti i soldati presenti come è evidenziato nel terzo racconto (Atti 26, 13-16), disposti senza un ordine e inserisce figure sospese nel vuoto senza separazione da quelle a terra: è come se tutti fossero stati coinvolti da quella chiamata “... verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo». E io dissi: «Chi sei, o Signore?». E il Signore rispose: «Io sono Gesù, che tu perseguiti.”.
Qui il cavallo c’è, ma il resto prevale.
La luce è un altro degli elementi che compare nei dipinti a rappresentare la chiamata del Gesù Risorto; infatti, in alcuni è sostituita dal volto di un Gesù dalle sembianze di Dio, che parla a Paolo.
Singolari sono due miniature nei capolettera di Bibbie, che fin dall’Alto Medioevo si decoravano per commentare visivamente il testo sacro in maniera immediata. In una di esse non compare il cavallo, nell’altra nemmeno la luce.
In quella del Beato Angelico, del XV secolo, vi è rappresentato l’essenziale: Paolo giace a terra, vestito come un cavaliere, volge lo sguardo in alto, folgorato sulla via di Damasco dalla visione di Gesù che appare come il Dio Padre avvolto da raggi di luce dorata, con una mano benedicente e l’altra a reggere il libro con le lettere Alfa e Omega e si protende in avanti, con un movimento che sembra cacciare i due soldati che fuggono stupiti dalla visione, mentre sullo sfondo emergono le mura della città di Damasco.
Ancora una singolare interpretazione di questo evento è nella miniatura, sempre di una Bibbia figurata del 1300 circa, conservata nella Koninklijke Bibliotheek dell’Aia, di autore anonimo, come spesso avviene in questa tipologia di opere. Qui addirittura i testi delle scritture hanno una libera interpretazione: Paolo non cade a terra, ma sviene sul cavallo, non viene folgorato dalla luce e la chiamata di Gesù avviene attraverso la scritta su un cartiglio che una mano (quella di Gesù) srotola e il cavallo ha un espressione corrucciata di chi pensa al “peso” che deve sostenere.
Da questi esempi possiamo trarre delle considerazioni: gli artisti, in vario modo e secondo la loro sensibilità e spiritualità, traducono e non solo raccontano le sacre scritture, ma ciò che rimane è sicuramente quanto sono in grado di stimolare delle reazioni emotive in chi osserva le loro opere, in qualunque tempo.
Leon Battista Alberti, trattatista e architetto del quattrocento, nel suo Della pittura, definì come supremo compito dell’artista la narrazione, insistendo sulla finalità morale dell’immagine, la quale deve toccare chi la vede così profondamente da influire sulla sua vita. A questo scopo invitò gli artisti a dare ai loro personaggi reazioni fisiche emotive naturali, perché, dice, “moverà l’istoria l’animo quando gli uomini ivi dipinti molto progeranno suo proprio movimento d’animo”.
_____________________________
[1] Festo fu procuratore della Giudea per Nerone a partire dal 59 o 60 d.C.; Agrippa II fu sopratutto incaricato da Roma di supervisionare il Tempio di Gerusalemme
- In copertina:Michelangelo, dettaglio dalla Conversione di Saulo (vedi sopra).