Il tempo ordinario di Fabrizio
Scritto da LORENZO CUFFINI.
Si è appena ricordato il ventennale della morte di Fabrizio De André, ed ecco che, per una semplice motivazione di calendario, a questa data segue la ripresa del tempo liturgico ordinario.
Un susseguirsi che suggerisce una constatazione banale ma significativa. Faber – oltre a tutto il resto – occupa ormai un posto tutto suo nella “ storia” dei riscrittori del Vangelo. Con la sua attenzione costantemente mirata sul lato umano di Gesù di Nazaret, ce lo riscrive visto nell’ordinario della quotidianità , guardato con occhi laicissimi: i suoi, e quelli della gente comune a cui dà voce nelle sue canzoni .Un mondo piccolo e dolente,da cronaca spicciola e spesso nera, periferico e pullulante di ultimi, che si sceglie come compagno privilegiato e come fratello di esistenza Non così diverso e lontano dal popolo che incontriamo da sempre nelle pagine scritte dagli evangelisti – anche se la consuetudine all’ascolto e la devozione d’abitudine hanno finito con l’appannarne non poco la realistica crudezza.
Tra i tantissimi possibili, ecco tre esempi del modo in cui De André ha raccontato a tutti noi il suo Gesù. Due sono notissimi, uno meno conosciuto.Quest’ultimo è un brano del 1967 Si chiamava Gesù, e così ne parla don Andrea Gallo “: …il figlio di Maria raccontato come un uomo fra gli uomini, che non era riuscito a togliere il male dalla Terra, accettando lacrime e spine. Sta scritto anche nel Vangelo: «Et Verbum caro factum est», il Verbo si è fatto carne: Uomo. Alla Rai sembrò scandaloso e scattò la censura, la Radio Vaticana ne fu entusiasta.”(1) . Prima della Buona Novella e di altri pezzi più celebri, già qui ci sono i due poli tra cui si sposta la narrazione di Faber a proposito del Nazareno: un uomo come tutti gli altri, (“non fu altri che un uomo come Dio passato alla Storia“) eppure radicalmente, rivoluzionariamente diverso da tutti gli altri per la sua capacità di amare sempre, dovunque e comunque :
” inumano è pur sempre l’amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l’ultima voce
chi lo uccise tra le braccia di una croce”
Gli altri due pezzi sono famosissimi. Quando , nel 2015, si trattò di scegliere la scaletta dei brani per SINGDONE, il grande concerto per l’Ostensione ideato e organizzato dalla PastCulTo ( l’Ufficio per la Pastorale della Cultura della Diocesi di Torino) per De André la scelta cadde proprio su queste due canzoni, che sembrarono quelle maggiormente in linea con il tema dell’evento: “Uomo, tra noi”. Spiritual è tra i pezzi più immediatamente orecchiabili e “easy” all’ascolto dell’intero repertorio di De André: tanto che l’autore stesso lo considerava non all’altezza dei suoi brani migliori, snobbandolo esplicitamente.Eppure, la sua sonorità diretta e accattivante, la scansione ritmica e apparentemente compiacente delle parole del testo, la citazione complice del genere musicale a cui si rifà quasi sfacciatamente, fin a partire dal titolo , mettono le ali ai piedi di questa che si presenta come una curiosa preghiera andata/ritorno, diretta verso il cielo perché il cielo scenda sulla terra.:
“Dio del cielo, se mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare.”.
Il testamento di Tito , all’opposto, è brano lungo, scolpito, senza facili strizzate d’occhio. Una rilettura puntuale e polemica dei Dieci Comandamenti, un’ accusa beffarda del modo di intenderli legalistico e formale, fatto con la passione e la rabbia di chi sa di essere lontano, anima e cuore, dal moralismo e dall’osservanza perbenista della legge. Eppure, in chiusura , si risolve come in una resa, altrettanto appassionata e sincera, davanti al vissuto in carne e ossa, in grado- quello sì!- di toccare l’anima e d’ insegnare l’amore.
“io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore”.
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(1) Tratto da IL VANGELO SECONDO DE ANDRÉ
«Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria» – dall’Introduzione di don Andrea Gallo