Il buon vino del signor Weston
Scritto da MARIA NISII.
“Il 20 novembre 1923, alle tre e mezzo del pomeriggio, un furgone Ford…” (11): si apre con questa apparente enumerazione di dettagli quotidiani l’insolito romanzo di un autore inglese della prima metà del secolo scorso, poco noto in Italia e nel suo stesso paese. Solo dopo qualche decina di pagine infatti, quando si è iniziato a gustare lo stile narrativo di Powys, si potrà tornare a questo inizio per cogliervi qualcosa di più di una semplice descrizione del contesto. Indicare giorno e ora con una tale precisione è infatti indizio di un evento eccezionale che si vuole ricordare senza fallo, come in Gv 1,39: quel giorno si fermarono da lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Tutt’altro che una forzatura, questo accostamento è richiesto e sin preteso per apprezzare il romanzo. Le citazioni bibliche sono solo raramente esplicite, ma tale è la modalità impiegata per descrivere l’incontro tra l’umano e il divino, o la rivelazione del divino nella normalità dell’umano vivere.
In un giorno e un’ora precisa, due rappresentanti di commercio raggiungono una sonnolenta cittadina di provincia con il loro furgone, in cui ci si aspetta trasportino la merce oggetto dell’attività. La scritta sul mezzo a motore reca il nome della ditta, che unisce la tipologia del prodotto venduto – vino – al nome del titolare – signor Weston. Una semplice trovata pubblicitaria, fatta per attirare oltre che per garantire la qualità, aggiunge un aggettivo – buono -, che rende quella merce subito qualcosa di speciale, un buon vino. Vendere vino è un’attività come tante, il furgone è il mezzo tipico con cui si muovono gli agenti di commercio, i due uomini hanno l’aria cordiale di chi sa trattare con la gente. E questa è la prima lettura, quella a cui ci si può fermare e a cui anche la gran parte degli abitanti della cittadina non riserveranno ulteriore interesse. Il secondo livello di comprensione invece richiede di prestare attenzione, al furgone, agli uomini, alla metafora del vino.
A questa attenzione sembra quindi invitarci la narrazione, che caratterizza i diversi personaggi della storia anche per la capacità di osservare e accorgersi della novità che li ha raggiunti. La prima donna, descritta come una “pura di cuore”, si rende conto di “provare uno strano interesse e quasi una specie di affetto” (15) per l’uomo alla guida del furgone. E più si avvicina a lui, più sente crescere quei sentimenti: “non poté fare a meno di aver fede quando vide l’uomo al volante del furgone Ford”, fino alla “curiosa fantasticheria, cioè di essere stata custodita e amata per tutta la vita – sin dai primi giorni […] da una persona altrettanto pingue, felice e gentile” (17). Oltre a lei, nella via principale del paese, nessuno sembra far caso al passaggio di quel banale automezzo: ciascuno è preso dai propri pensieri e occupazioni. E per avvalorare la sua tesi, il narratore ricorda come in “un antico libro […] una volta il sole si fermò a richiesta” (183 – cfr Gs 10,12-13), ma anche in quel caso eclatante, oltre a quei pochi interessati, nessuno notò il fatto.
Il signor Weston è un anziano signore, che indossa un cappello di feltro sotto il quale si nasconde una bianca capigliatura, è padre di una famiglia numerosa, oltre ad essere titolare di un’antica azienda di produzione del vino. Presta poca attenzione alle chiese, mentre è attratto dalle taverne. Prima di entrare nel villaggio successivo, si ferma a osservarlo dall’alto: “Fosse stato lui a creare Folly Down e le persone che vi abitavano, non avrebbe potuto guardare il villaggio con maggiore interesse” (33). Alla vista della cittadina, il suo sguardo mostra insieme felicità e compassione. La diffusione della sua attività commerciale necessita di rappresentanti che si rechino persino nei villaggi più piccoli, “anche se non, magari, il figlio unigenito del fondatore” (39). Michael, il socio che accompagna Weston, è un uomo distinto, di rara bellezza e ottima educazione, che sembra comparire più che arrivare: “Avrebbe quasi potuto essere un dio, poiché la sua bellezza era così sublime da suscitare una completa fiducia e risvegliare un amore durevole” (25). Il suo rapporto con il titolare è basato su un rispetto affettuoso; Michael in passato ha placato una rivolta nell’azienda, che avrebbe potuto arrecare danni enormi ai commerci. D’altra parte, più avanti, Weston sostiene che nella sua città in tanti invidiano, a torto, la sua posizione (35)[1].
Il narratore ci racconta poi una caratteristica alquanto curiosa del signor Weston il quale, sebbene si occupi di vino, pare sia inoltre un uomo di “raffinata e fervida immaginazione” (34), una qualità che avrebbe fatto di lui uno scrittore: pare infatti abbia creato un “nuovo mondo”, “cominciando dal nulla”, con la sola forza dell’immaginazione e che quindi ne abbia composto un libro, “un poema in prosa che aveva suddiviso in molti libri” (34). A suo avviso, la compagnia del suo libro insieme al suo buon vino non potranno che rendere felice qualunque uomo sulla faccia della terra (64). Purtroppo però, nonostante i diversi tentativi, non in molti sembrano disposti ad ascoltarne la lettura e prima Michael, poi il sacrestano del paese rifiutano con una scusa diversa. Se dunque l’immaginazione è stata foriera di un tale “libro”, tanto più essa è stimata nella storia, intrecciata ai tanti racconti degli uomini dotati dello stesso dono, come risultano presto essere gli abitanti di Folly Down, che grazie all’immaginazione si innamorano, si disperano, perdono la fede e di tutto attribuiscono a Dio la colpa.
(Continua…)
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[1]Nella lettura si accumulano indizi di facile identificazione (l’immagine di Dio creatore, l’invio del Figlio presso gli uomini), che preferiamo segnalare tra parentesi o in nota per preservare l’ironia narrativa. L’allusione qui è quasi certamente alla ribellione degli angeli di tradizione essenzialmente apocrifa. Michele è l’arcangelo, citato in Gd 1,9, che avrebbe chiesto la punizione di Satana a Dio.
- In copertina: il libro Il buon vino del signor Weston di Theodore F. Powys pubblicato da Adelphi ( 2017) nella collana Biblioteca Adelphi.