“Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui”
Scritto da NORMA ALESSIO.
Nella festa religiosa dell’Immacolata Concezione, e quest’anno nella quarta domenica d’avvento, la liturgia prevede il brano del vangelo dell’Annunciazione dell’Angelo Gabriele a Maria quale evento storico e teologico raccontato nelle scritture. Al di là dell’iconografia propria del dogma e alle immagini dell’annunciazione riprodotta nell’arte infinite volte, si vuole qui mettere in risalto gli aspetti della maternità e sacralità della gravidanza di Maria e allo stesso tempo l’umanità della divinità nell’Incarnazione, attraverso le interpretazioni di alcuni artisti.
Maria compare gestante nella scena della Visitazione, anche un po’ esagerata dagli artisti rispetto alla sua gravidanza appena cominciata, come racconta l’evangelista Luca. Invece la “Madonna del parto” è una scena del tutto diversa, non è basata su particolari passi evangelici, canonici o apocrifi, non è un episodio narrativo, ma esprime un momento di riflessione intima: Maria pensa alla futura nascita del Figlio e al proprio ruolo di madre. I pittori bizantini avevano escogitato raffinati simbolismi per illustrare la gravidanza (la mandorla, il medaglione con l’immagine di Gesù posto sotto il seno della Vergine, …); nel Medioevo vestivano Maria d’oro o le mettevano un libro tra le dita, per alludere al Verbo fatto carne. I nordici, più concreti, le inserivano una “apertura” nell’abito, per mostrare il feto nell’utero.
Dal XIII secolo in avanti e fino al XVI, troviamo immagini di Madonne incinte, alcune delle quali hanno subito manomissioni e coperture, perché ritenute sconvenienti per la devozione nei confronti della Vergine Maria. Un esempio è quello dell’affresco di Taddeo Gaddi a Firenze (realizzato approssimativamente tra il 1327 e 1338) nella Chiesa San Francesco di Paola, dove lo stato di gravidanza della Vergine è rappresentato realisticamente: la figura di tre quarti per evidenziare la minima prominenza del ventre conferisce a Maria un atteggiamento di modestia tramite il gesto della mano sinistra che copre il basso ventre e lo sguardo verso lo spettatore, mostrando un certo riserbo, mentre con la destra regge il libro.
Un’opera emozionante è l’affresco del 1455 della Madonna del Parto di Piero della Francesca, ora custodita nei Musei Civici del Comune di Monterchi (Arezzo), ma originariamente sul muro dell’altar maggiore di una chiesetta del XV secolo chiamata Santa Maria di Momentana. Maria è rappresentata enormemente incinta, il corpetto dell’abito slacciato sul ventre gonfio lungo la cucitura laterale e lei che indica proprio quel punto in cui si intravvede il bianco della camicia sottostante, riferimento alla sua purezza e alla sua verginità; non possiede attributi regali, non ha il libro in mano ed è colta nella posizione normale per le donne incinte, quella di darsi sostegno all’altezza dei fianchi.
Ecco poi le immagini di “Maria col Bambino”, che esprimono non solo il sentimento umano, ma la Sapienza divina che si incarna tra le braccia di una madre, la Luce che si rispecchia negli occhi di una vergine e le gestualità umane di tenerezza, come nella Madonna col Bambino di Antonello da Messina, databile tra il 1474-77conservata a Washington nella National Gallery of Art, in cui Gesù introduce la mano nella scollatura dell’abito della madre e con il braccio sinistro abbraccia il suo collo;
o ancora in quella di Andrea Mantegna del XV secolo, esposta a Milano nel Museo Poldi Pezzoli, dove Maria stringe teneramente Gesù tra le braccia tenendogli il volto con le dita della mano sinistra e il Bambino, profondamente addormentato, con le braccia abbandonate e la bocca aperta che rimanda alla sua futura morte.
Infine, abbiamo la rappresentazione in cui Maria tiene sulle ginocchia per l’ultima volta il Figlio morto, prima di consegnarlo a Giuseppe di Arimatea e a Nicodemo per la sepoltura, ripetutamente interpretata dagli artisti di ogni epoca, con un’intensità emozionale rara. Anche questo è un soggetto che non fa riferimento ad alcun passo evangelico e nemmeno ai Vangeli apocrifi, ma all’esperienza umana; slegato dalla precisa conformità a un testo, la “Pietà” è tipologia iconografica sviluppata nel XIV secolo.
Opera che ben esprime il pathos del rapporto psico-fisico tra madre e Figlio è la Pietà del 1499 di Michelangelo in San Pietro a Roma, in cui è visibile la sofferenza di Gesù anche se nel suo corpo non ci sono i segni della passione; la madre è sola con il Figlio morto, il suo volto, ancora giovane, è triste ma sereno. La sua è una bellezza “divina” non umana, quindi non soggetta al tempo che scorre: è questa una delle spiegazioni della differenza tra l’aspetto della madre di età inferiore rispetto a quella del Figlio, ma è anche possibile che Michelangelo abbiapensato alla preghiera che Dante fa dire a San Bernardo nella Divina Commedia rivolgendosia Maria nel canto XXXIII del Paradiso:
Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ‘mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.
Qui si concentrano le formule della teologia e della devozione mariana ben espresse nelle immagini riportate dell’arte passata, ma anche tra artisti non cristiani, come il buddista Anish Kapoor, con la sua scultura/provocazione dal titolo “Madonna”del 1990 esposta a Madrid, Museo Nazionale Centro d’Arte Reina Sofia, una forma concava e cava colorata di blu cobalto in fibra di vetro di quasi tre metri di diametro, che rappresenta solo il ventre di Maria.