Samaritani improbabili

14 Gennaio 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da  MARIA NISII.

 

Le parabole di Gesù parlano di un mondo quotidiano e comprensibile a tutti. Infatti le situazioni descritte sono costruite in modo tale che i suoi uditori potessero facilmente identificarsi, e dunque ambienti contadini con vigne e campi di grano (con e senza zizzania), semine tra i rovi e sui terreni buoni, padroni generosi e operai irriconoscenti. Altrove invece si tratta di contesti casalinghi con massaie che impastano farina o che perdono monete, amici che vanno a svegliare i vicini nel cuore della notte, vedove insistenti a cui anche i giudici cattivi fanno giustizia pur di sbarazzarsene. Data lamodalità narrativa, non stupisce di leggere le riscritture più ardite, calate nella realtà contemporanea del lettore, a cui il racconto originario sembra ogni volta prestarsi quale perfetta matrice. Si potrebbe persino azzardare che sia quello il loro miglior impiego, perché in ogni situazione di ingiustizia o di umana miseria, puoi star certo di trovare la parabola adatta.
“A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece
tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì,
ma non comprendano “(Mc 4,11-12).
Secondo Amy-Jill Levine ( Le parabole di Gesù. I racconti enigmatici di un rabbi controverso, Effatà, 2020), “Ciò che rende le parabole misteriose, o difficili, è il fatto che ci sfidano a esaminare gli aspetti nascosti dei nostri valori e delle nostre stessevite. Esse portano in superficie domande inespresse e rivelano risposte che abbiamo sempre saputo, ma che abbiamo rifiutato di riconoscere. Di fronte alle parabole, la nostra reazione dovrebbe essere più di resistenza che di accettazione” (p. 11-12). E se Levine ha ragione, questo significa anche che la riscrittura in apertura otterrà più facilmente rifiuto che accoglienza, come ogni parola sfidante. Nel capitolo che l’autrice dedica alla storia del buon samaritano, si ricorda che alcuni rappresentanti politici l’hanno citata nei loro discorsi (G.W. Bush, Elisabetta II, Tony Blair), interpretandola normalmente come la necessità di fornire aiuto a chi si trova in condizioni di difficoltà. Tuttavia una lettura che chiede di identificarsi con colui che presta soccorso invitando alla sollecitudine verso i bisognosi, ci priverebbe di cogliere le provocazioni del racconto originario. Quello che invece il racconto vuole è spingere il lettore a identificarsi con l’uomo lasciato mezzo morto: suo è infatti il punto di vista, che Gesù ha consapevolmente adottato per far entrare il lettore nella “pelle” del ferito, non dotandolo di nome o altre qualifiche, ma di un’identità aperta, adatta a chiunque.
Anche se la riscrittura di Luca Bottura in apertura ha seguito l’interpretazione classica, forse Levine non la disapproverebbe, trovandola addirittura esilarante, se solo la formula che sostituisce il “mio prossimo” non fosse tanto oscena.
Van Gogh
Mi chiedo se dobbiamo abituarci alle oscenità, vista la recente pubblicazione di un’altra riscrittura altrettanto spiazzante sulla medesima parabola. Ne La parola e i racconti. 16 scrittrici leggono le parabole dei vangeli (LEV 2022) troviamo infatti, tra gli altri, un racconto di Carola Susani, L’occasione, in cui il ruolo del ferito è incarnato questa volta da una donna che ha subìto una lacerazione alla cornea procuratale dalle unghie del figlioletto di pochi mesi. È uscita di casa in piena notte per recarsi al pronto soccorso, ma il suo turno arriva solo dopo lunghe ore di attesa. L’oculista che infine la visita si limita a bloccarle l’occhio e a prescriverle la ricetta di un collirio, ma quanto al dolore ci vorrà tempo. Per questo quando esce dall’ospedale nel tardo pomeriggio il male che prova da ore è ancora lì, acuto e sempre meno sopportabile. Nonostante questo rinuncia al taxi e ripiega su un pullman affollato, ma nessuno è abbastanza attento per accorgersi del suo malessere: chi guarda il cellulare, chi chiacchiera e ride con un’amica. All’improvviso si sente palpeggiare da un uomo che sfrutta l’affollamento per strusciarsi contro il suo corpo sfinito:
Ha provato a dirsi: ma no, mi sbaglio, ma insomma, come fai a confonderti? Quando poi quello insiste, come fai a scambiare la manomorta per qualcos’altro? Ci ha pensato: ora mi giro e lo insulto oppure gli pesto un piede, ma ha così poca energia, sente il dolore che non se ne vuole andare e ancora cresce, roboante…
Non potendone più, cede alla sofferenza fino a quel momento trattenuta, e grida. Solo in quel momento allora chi ha approfittato della sua debolezza si accorge del suo volto sofferente: smette di toccarla, la guarda e le parla con una delicatezza inaspettata. Si fa quindi largo nel pullman gremito, perché lei possa passare e invita una ragazza ad alzarsi e a lasciarle il posto:
L’uomo le ha protetto il posto e lei ha accettato di sedersi: è crollata. Ora ha gli
occhi chiusi, il dolore non smette, ma di colpo si sente allegra […] E intanto mentre sta a occhi chiusi, il tipo dice alla ragazza, quella che si è appena alzata, se può portare Carla al pronto soccorso, se per favore può aiutarla a scendere e a prendere un taxi, e Carla sente un raspare di cuoio sul tessuto e poi uno sfrigolare di carta moneta. E Manomorta sguscia in mezzo alla folla ed è già scomparso.
Il molestatore ha saputo farsi soccorritore sulla scia dell’altrettanto improbabile salvatore della parabola evangelica. “Dal punto di vista dell’uomo ferito, il pubblico ebraico probabilmente avrebbe esitato di fronte all’idea di ricevere aiuto dal samaritano. Avrebbe pensato: ‘Preferisco morire piuttosto che sapere di essere statosalvato da uno di quel gruppo’; ‘Non voglio ammettere che un violentatore abbia unvolto umano’; oppure ‘Non voglio pensare che a salvarmi sarà un assassino’” (Levine).
Eppure se è il punto di vista dell’uomo tramortito sul ciglio della strada quello che dobbiamo fare nostro, forse la parabola vuole dirci qualcosa di importante: forse è solo colui che prima ti voleva uccidere (o molestare), l’unico che potrà salvarti. Anche solo per il fatto che è l’unico ad averti notato, potremmo dire riferendoci al racconto di Susani. “Nessuno ricorderebbe il buon samaritano se avesse avuto solo buone intenzioni”, pare abbia detto Margaret Tatcher, sulla predetta scia dei politici commentatori.
Mosaico centro Aletti
Il dottore della legge interpreta l’azione del samaritano come un atto di compassione. E, come noto, compassione o misericordia sono attributi divini, specie nel vangelo di Luca: “Per il dottore della legge, e per i lettori di Luca, il samaritano agisce come fa Dio. Il divino si manifesta unicamente attraverso le nostre azioni” (Levine). Non è così in fondo che è stato interpretato iconograficamente? Tanto più sconcertante è allora la sua figura, per niente facile da inquadrare in immagini stereotipate. Non esistono salvatori probabili, non esiste il physique du role atto a interpretare il personaggio. E l’ultimo arrivato è solo il meno adatto, il meno plausibile, l’inatteso, per quanto l’unico capace di usare misericordia. Per questo la donna sul pullman si sente allegra e forse per un attimo dimentica persino il dolore che la dilania da ore. Ma se un molestatore ravveduto può strapparci un sorriso, ci sarà qualcuno che si rallegrerà per
il buonista?

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