Margherita e il caregiver innamorato

14 Febbraio 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da  LORENZO CUFFINI  per San Valentino 2023.

 

Esistono delle figure /tipo che sono diventate simboli e archetipi  di pezzi di Vangelo.

Faccio per dire: il pastore, seppure buono, è immagine e riscrittura  del Cristo. I pescatori, seppure di uomini, sono divenuti immagine e riscrittura  degli apostoli. Il padre, ciascun padre, dal Vangelo in poi, richiama il concetto di Dio/ Abbà,  papa’ buono. Mi disse un amico quando sperimentò  la paternità: solo adesso capisco per davvero il Padre Nostro. E ancora: ogni mamma in attesa,  rimanda alla Madre per eccellenza , a colei che attende, per sé e per tutti, il salvatore del mondo.

Ora. C’è una figura, tipica dei nostri tempi, una creatura per certi versi indefinita e ancora misteriosa, che va popolando le pagine dei giornali e fa, nebulosamente,  capolino dalle parole dei politici e dalle promesse elettorali scritte sull’acqua: è quella del caregiver. Rimanda a qualcosa o a qualcuno di evangelico? Che cosa evoca nella sensibilità e nella mente di un credente? Di cosa puo’ essere ri-scrittura?  La domanda sembra fortemente balzana, ma non lo è troppo, tanto da avere una risposta abbastanza diretta e precisa: di Maria ai piedi della croce. Intendiamoci: a chi è caregiver, per scelta o per ventura, non è che questa immagine piaccia poi molto. Troppo il preponderare della croce, troppo il suo peso, con tutte le  implicazioni ben note, per consentirgli  una immedesimazione o una empatia. Nessuno, per quanto percosso dal destino e dalla malasorte, ama sentirsi collocare in una prospettiva Golgota. E poi, nonostante certa omiletica ricorrente, la vita di caregiving NON è croce.

Ma se si supera questa istintiva repulsione psicologica che funge da  autodifesa, ecco che  si possono cogliere le somiglianze e le connotazioni comuni. Come nel caregiving, sul Calvario c’è una persona – e una sola – colpita e impossibilitata a tutto; e un’altra, che  ama visceralmente la prima, apparentemente integra e libera,  che invece  sta con lui,  non volendo fare altro che questo: stargli insieme. Cercando, senza poterlo fare come vorrebbe, la condivisione e la comunanza di vita e di sentimento. Non per chissà che erosimo, ma perché semplicemente è quella, che c’è sempre stata tra di loro. Immagine di una presenza più forte di ogni ostacolo e di ogni condizione avversa, di una passione fondante che sembra far  mettere le radici proprio in quel  luogo della impossibilità totale.

Pur riconoscendo questo, la scena  fortissima del crocifisso e di sua madre resta troppo impattante e troppo dolorosa per essere accettata e assorbita dai protagonisti del caregiving in modo completo. Il caregiver, piuttosto,  si ritrova – sempre con quel certo imbarazzo che l’aura religiosa comporta – ad immedesimarsi  con il Gesù dei Vangeli che tutto prende su di sé e tutto cura. CURA, attenzione: non guarisce. Il caregiver puo’ essere affetto da sindrome di onnipotenza, ma non pecca di megalomania. Sa che puo’ curare, non guarire: quello non lo puo’ fare, anche se  sarebbe l’unica cosa che veramente, con tutto se stesso, vorrebbe. Ma portare vita, dignità, speranza, sempre sempre sempre, quello lo puo’ fare, eccome: e come lui, puo’ farlo solo lui. E, paradosso incomprensibile a chi non lo sperimenti, è proprio dalla persona che “ assiste” che puo’ ricevere la motivazione, la gratificazione, la naturalezza, l’amore vivificante che null’altro  al mondo riesce a dargli.

 

Se il caregiver è per ventura il marito all’interno di una coppia, c’è un’altra figura evangelica di cui si trova – certamente suo malgrado – a vestire i panni: quella di Giuseppe. Un uomo che, di punto in bianco, si trova a dover considerare la donna della sua vita, quella dei sogni, dei progetti e delle scelte, come sottrattagli  nella sostanza e nella prospettiva, portata  in una dimensione diversa,  sulla quale non ha modo minimamente di influire. E Giuseppe, che potrebbe, se lo decidesse, rifiutare, gettare la spugna, cambiare cavallo, andarsene per la sua strada seppure col cuore in pezzi, che fa? Resta. Sta. Ama. In modo nuovo: tutto da inventare, tutto da scoprire, tutto da sperimentare. E decide  di  farsi amare secondo quelle stesse modalità per nulla incoraggianti e per niente desiderate. Certo: nel caso di Giuseppe arrivano un sogno e un angelo provvidenziali, che al comune  caregiver d’oggi non risulta si presentino ordinariamente. Eppure la vicinanza delle situazioni è talmente evidente, se e quando la si avverte, che proprio un caregiver sposato mi disse, con colorito neologismo: io mi sento un marito sangiuseppato.

C’è una canzone d’amore che riesce straordinariamente ad incarnare il caregiver innamorato. Si tratta di MARGHERITA di  Riccardo Cocciante. Naturalmente, è un canto d’amore universale, si sarebbe detto un volta: nel senso che vale per tutti. Eppure chi è caregiver,  e come caregiver ama, non puo’ non sentirsi profondamente rappresentato dai versi di questo brano.

Io non posso stare fermo con le mani nelle mani
tante cose devo fare prima che venga domani

e se lei già sta dormendo io non posso riposare
farò in modo che al risveglio non mi possa più scordare
Perché questa lunga notte, non sia nera più del nero
fatti grande dolce luna e riempi il cielo intero
e perché quel suo sorriso possa ritornare ancora
splendi sole domattina come non hai fatto ancora

E per poi farle cantare, le canzoni che ha imparato
io le costruirò un silenzio che nessuno ha mai sentito
sveglierò tutti gli amanti, parlerò per ore ed ore
abbracciamoci più forte, perché lei vuole l’amore.

Poi corriamo per le strade e mettiamoci a ballare
perché lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore,
e poi coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri,
case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori
raccogliamo tutti i fiori, che può darci primavera
costruiamole una culla, per amarci quando è sera
poi saliamo su nel cielo, e prendiamole una stella,
perché Margherita è buona, perché Margherita è bella.

Perché Margherita è dolce, perché Margherita è vera
perché Margherita ama, e lo fa una notte intera
perché Margherita è un sogno, perché Margherita è il sale
perché Margherita è il vento e non sa che può far male
perché Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia
Margherita, Margherita…Margherita…adesso è mia…

C’è tutto. Il delirio di cose da fare che si genera e rigenera ogni giorno,  portando  il caregiver a surfare sull’ansia e sulle liste di impegni reiterati. La contemplazione  della bellezza della moglie, di silenzio e sonno, che sembra intatta e integra nella dolcezza del riposo della notte. Quelle notti lunghe, che potrebbero  davvero essere nere più del nero, se non fosse per la potenza di chi vuole e di chi ama, che scavalca ogni oscurità e va a cercare lune e soli enormi, esagerati,  tanto più grandi, chimerici e splendenti quanto maggiore è la paura di non poterli più vedere. E come non ritrovarsi, si chiede il caregiver innamorato, nel farsi tutto e fare ogni cosa per tenere desto e acceso il sorriso di tutti e due, per creare comunque con l’immaginazione , il desiderio e la fantasia  camminate e corse e balli , e appassionarsi a cercare una tavolozza infinita di colori per ricacciare indietro l’aggressione del grigio, della mezza tinta, della noia del bianco e nero?  Come non ritrovarsi nella scommessa continuamente rilanciata, nell’iperbole portata a regola di vita, nel puntare ad astri e stelle, tanto più le cose, la situazione, il male, i collitorti di chi ti sta attorno vi vorrebbero rassegnati al poveretti! e alla compassione cimiteriale?

E allora sì: non solo o’ surdato, ma anche o’ caregiver è innamorato,  e spiega – come può –  il suo canto in crescendo emozionato:

perché Margherita è buona, perché Margherita è bella.

Perché Margherita è dolce, perché Margherita è vera
perché Margherita ama, e lo fa una notte intera
perché Margherita è un sogno, perché Margherita è il sale
perché Margherita è il vento e non sa che può far male
perché Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia

Margherita, Margherita…Margherita…adesso è mia…

 

 

 

2 pensieri riguardo “Margherita e il caregiver innamorato”

  1. “C’è una persona – e una sola – colpita e impossibilitata a tutto; e un’altra, che ama visceralmente la prima, apparentemente integra e libera, che invece sta con lui, non volendo fare altro che questo: stargli insieme.”
    Credo che sia un’esperienza che capita a tanti (o a tutti) nella vita, prima o poi, di essere o la persona sulla croce o quella sotto la croce. Quanta tristezza quando non c’è “chi vuole stargli insieme”!
    Leggendo questo articolo mi sono commossa.

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