Il locandiere
Scritto da MARIA NISII.
“Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?” (Mc 14,12)
Secondo Antonio Spadaro, Una trama divina (Marsilio 2023), il Vangelo di Marco a questo punto del racconto sembra dare vita a un poliziesco. Gesù infatti, in vista dei preparativi per la cena pasquale, manda i suoi alla ricerca di un uomo con una brocca (ma non erano le donne che a quel tempo andavano ad attingere l’acqua?). “Gesù non dà un indirizzo: chiede di seguire un segno”, ricorda Spadaro, che prosegue notando come Gesù chieda ospitalità, accoglienza.
14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: «Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?». 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
È a partire da tale suggestione che alcuni autori spirituali, dice ancora Spadaro, hanno interpretato queste parole come se fossero rivolte a ciascuno di noi: “Dov’è la mia stanza dentro di te, nel tuo cuore?” (p. 47). E così il racconto,dopo aver suscitato una certa suspense, si fa ora intimistico. Un cambio di registro nel giro di poche parole, a cui siamo sempre più sensibili, avendo compreso il valore narrativo grazie al quale l’evento cristologico è giunto fino a noi.
Al personaggio anonimo del locandiere, che assolve soprattutto la funzione di “segno”, Kahlil Gibran in Gesù figlio dell’uomo (1928) attribuisce anche un nome e un tratto caratterizzante. Il locandiere sarà dunque “Ahaz, il corpulento”. Così s’intitola quindi il capitolo dedicato a questa figura che, se nei Vangeli a malapena si può definire personaggio, qui come gli altri (77 in tutto) è chiamato a raccontare Gesù dal suo punto di vista:
“Vennero al crepuscolo, lui e i suoi seguaci; e sedettero a tavola nella stanza al piano superiore, ma rimasero quieti e silenziosi. […] Poi l’avevano lasciato solo, andando a coricarsi in altre stanze; dopo mezzanotte, infatti, desiderò rimanere solo. Vegliava: coricato sul mio letto, udivo i suoi passi. Ma non erano felici, quell’ultima volta, né lui né i suoi compagni” (Feltrinelli 2001, p. 169).
Il racconto di Gibran si discosta significativamente dal testo originale, riferendo che non si sarebbe trattato della prima volta, in quanto Gesù e i suoi erano stati già altre volte in quella locanda. Se dal punto di vista narrativo questo dato consente un maggiore ampliamento, oltre ad attribuire un carattere più significativo al personaggio, tale scostamento oblia però il dato significativo suggerito dalle parole di Gesù. I discepoli infatti devono riconoscere un uomo dai pochi indizi ricevuti e questo implica che essi non lo conoscano. Cambiare questo dato, stravolge totalmente il racconto, rendendolo di conseguenza meno pregnante dal punto di vista teologico.
Sandro Veronesi, in Non dirlo (Bompiani, 2015), parla invece di “una spettacolare predizione, ricca di particolari e di spunti simbolici, su come verrà allestito per lui il banchetto pasquale”, aggiungendo che con tali dettagli di fatto “ È lui stesso ad allestire il banchetto dell’ultima cena, tramite questi (per noi) sconosciuti che evidentemente lo conoscono e lo seguono. Come nella scena del puledro all’entrata in Gerusalemme, Gesù mostra di avere dei seguaci anche in Giudea” (p. 117-8).
Anche in questa riscrittura non tutto funziona, come dimostra il bisogno di spiegare le predizioni (Gesù ha amici e seguaci ovunque). È molto più sottile invece Emmanuel Carrère ne Il regno (Adelphi, 2015), che immagina l’evangelista Luca recarsi anni dopo, in compagnia di Giovanni-Marco, nel luogo dove Gesù si era riunito con i suoi:
“Ho provato diverse volte a scrivere questa scena. I due uomini entrano in casa, una casa dalla facciata stretta, per la porta molto bassa che dà sulla viuzza. Spinta la porta, si ritrovano in un cortiletto. C’è una fontana, biancheria stesa ad asciugare. […] In quella stanza non c’è niente di particolare. Cuscini sul pavimento, un tappeto. Tuttavia immagino che Luca venga colto da una strana vertigine al momento di varcare la soglia, e forse non abbia il coraggio di entrare. Io, in ogni caso, non ce l’ho” (p. 258).
Le riscritture possono dilatare, descrivere dettagli utili a far meglio entrare il lettore nella scena, ma ogni tanto apprezziamo anche il loro sapersi fermare (contemplare? timorosi?) sulla soglia.
In quell’apocrifo che mette in scena l’inesauribilità della Parola che è il Quinto evangelio (1975) di Mario Pomilio, compare un verso che si riferisce al nostro episodio:
“Mi seguirete fino al cenacolo, ma non fino alla croce” (L’Orma 2015, p. 126 e 342)
In questa frase “apocrifa” Gesù attribuisce al momento del convivio l’ultimo atto della sequela. Nell’ultima parte egli sarà solo, come ogni uomo, ad affrontare la propria passione. Il cenacolo segna dunque l’ultimo passaggio comunitario, e forse anche per questo tanti artisti vi hanno sostato con la loro immaginazione, persino riscrivendo gli uni le altrui riproduzioni.
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- In copertina: dettaglio locandiere Cena in Emmaus di Caravaggio (1601, National Gallery)