Io, che amo solo Te

19 Agosto 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da  LORENZO CUFFINI

 

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

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Guarda questa gente. Guarda quanti lo seguono. Lo si vede appena.

Circondato, quasi. Protetto? Forse. Comunque nel mezzo dei suoi  piu’ fedeli.

Sono pochi, a contarli. Dieci, dodici forse. Procedono in gruppo. Guarda che facce mettono su, guarda che occhiate. Sorvegliano, vigilano, fanno la guardia. Fermano tutti quanti si avvicinano troppo, e quelli che si lanciano incontro al loro Rabbi.  Sarà difficile arrivare da lui. Impossibile. Specie per me, che sono rimasta intruppata nella folla che viene dietro a loro. Una folla rumorosa, disordinata, ondeggiante. C’è di tutto qui dentro. Parlano, fra loro. Si raccontano. Io sono qui per questo, io per quest’altro. A sentirli, è  gente che ha avuto mille cose.

Tutto il bene, tutto il male del mondo.

Parlano, parlano, parlano. Si incespicano, e parlano. Guardano ansiosamente avanti, e parlano. Allungano il collo per vedere, e parlano.

Io, no. Che ho da dire, io? Io lo so bene, perché son qui. Benissimo, lo so.

E non è per raccontarlo agli altri, per confrontarmi con loro, per ascoltarli. Per convincere che ho più titoli, più meriti, più urgenze. Degli altri, non mi importa nulla. Li vedo, certo: perché sono un ostacolo tra me e Lui. Un ostacolo anonimo e chiassoso, esaltato e indiscreto. Una barriera che si interpone continuamente:  rumorosa, fastidiosa, inutile per me.

Io sono qui per Lui. Sì’, Rabbi: io sono qui per Te.

La ragione della mia vita, il lume dei miei occhi, mia figlia, è malata: la perdo, ogni giorno di più. Indemoniata, mi hanno detto. E adesso, quando lo dicono, abbassano la voce, coprendosi la bocca, tirandosi il velo sulla testa. Le fanno il vuoto intorno, i bambini la sbertucciano per strada, la gente scantona se la incontra. No. Con lei così, io non ho piu’ niente.

Niente, tranne Te. Te solo. E non Ti perderò. Non Ti lascerò di certo per cercare altre strade, altre vie di uscita, nuove avventure. No. Non lo farò. Io non rinuncio. Griderò. Ti chiamerò.

Pietà! Pietà di me!

Ti chiamerò. Ti chiamo:

Signore, figlio di Davide!

La gente mi guarda: sorpresa, infastidita, indispettita. Le bocche tacciono, ma gli occhi no. Dicono, quegli occhi: ma che vuole questa? Ma chi è? Ma che strilla?

Butto uno sguardo avanti: adesso Lo vedo, il Rabbi. Niente, nessuna reazione, non si ferma, non rallenta, non si volta, niente. Bisogna gridare piu’ forte, allora. E mi raschio la voce e urlo con quanto fiato ho in gola: pietà di me Signore, Figlio di Davide!!!!

Non è possibile che non mi si senta. Quelli che mi sono piu’ vicini si accigliano, qualcuno si tappa le orecchie, e qualcuno mugugna, brontola, scuote la testa. Gli sguardi di riprovazione si moltiplicano.

Signore! Figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio!

Massì, l’ho detto. Anzi l’ho scagliato fuori: con tutto il dolore, la rabbia, la frustrazione, il senso di ingiustizia che ci sento e che ci metto dentro. Tormentata! Indemoniata!

La gente, questa volta, si arresta. Si ritrae, gira la testa, china lo sguardo. Si apre un piccolo vuoto attorno a me, quasi che un contagio spaventoso potesse propagarsi da quelle parole…tormentata da un demonio. La gente è molto attenta, e molto sensibile su certe cose. Molto paurosa, anche. Ma soprattutto, bada molto bene a quelli con cui si mescola e familiarizza. La gente ha molte cose a cui tenere. Molte cose importanti. Molte cose che ama. La dignità, intanto. L’amor proprio, intanto. Il senso di sé, intanto. Il decoro sociale, intanto.

Io non ho più niente. Niente di tutto questo. Io ho solo più Te. Per me, adesso conti Tu solo. Se amo qualcosa, è Te che amo, adesso. Io, che amo solo Te, sono venuta qui per questo. Per parlarti, per incontrarti, per domandare. Non mi importa d’altro. Non mi cacceranno, non mi zittiranno. Mi pianterò qui, senza indietreggiare. A costo di fermarmi qui. A costo di stare qui con loro. A costo di dare a Te tutto il mio tempo, tutto quello che resta della mia gioventù ormai spenta.

Approfittando del vuoto che mi hanno fatto intorno, sono corsa avanti, ho guadagnato posti. Risalgo la colonna. Sono su, sempre più su, ora vedo le spalle di quelli che gli fanno cerchio intorno: sono arrivata dietro ai suoi. E sento pure quello che gli dicono:  «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!».

E infatti io grido, e continuo a gridare. Quelle grida scomposte, quella violenza della voce, unita a quelle parola inquietante – indemoniata! – aumentano il sospetto e la preoccupazione di quelli che indietreggiano mente io avanzo.

Il rabbi però non si ferma, non rallenta, non mi guarda. Sento che dice: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».

Un tuffo al cuore, un colpo. Lo so: io sono Cananea. Ma io, che amo solo Te, non me ne faccio più cruccio. Non più. Non adesso. Non io. Non con te ormai vicinissimo. Con un piccolo scatto,  mentre c’è  uno sbandamento dei suoi d’intorno e una loro esitazione, sono davanti a Lui. Son lì, mi getto a terra, sono ai suoi piedi. Una cosa sola mi martella in testa, quella cosa sola mi esce dalle labbra, gliela dico: Signore aiutami.

E Lui si ferma. Risponde. Sento la sua voce. Non so se parla a me, in verità. Sento però le sue parole: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini

Contemporaneamente,  mani che mi afferrano, cercano di alzarmi da terra, di tirarmi su. Mi dicono di togliermi, di levarmi da lì, di andare via. Non li ascolto. Sono inchiavardata al suolo. Una roccia. Non mi muovo, non mi sposto. Ferma, immobile, piantata. Io ho avuto solo te, e non ti perderò. Non ti lascerò certo adesso, per cercare chissà quali nuove illusioni.

Però, quelle parole… gettarlo ai cani! Sento le lacrime montarmi agli occhi, le ricaccio furiosamente in gola. La voce che mi si è mozzata, la ritrovo. Il cuore mi picchia così forte che temo mi si spacchi il petto. Ma sono calma, ferma, pacata e certa di quel che dico, quando alzo la testa, lo fisso in volto e – io! io!- gli parlo: ” Vero, Signore. Ma anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni..».

Cala un momento di gelo, tutti restano spiazzati.

Scometto che si guardano interdetti, incerti, imbarazzati, E che guardamo il loro Rabbi, i suoi amici intorno. Dura un attimo. Poi parla Lui. : «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».

Un breve istante. E’ successo realmente? E’ successo. Una gran tranquillità mi allaga. Fuori da me, intanto, tutto si rimette in moto. Il rabbi, i suoi, la folla ondeggiante. Riprendono il passo,  arrivano, mi affiancano, mi sopravanzano, passano oltre, sono andati. Resto solo io, nel mezzo della strada. Sola.

Dovrei balzare in piedi. Dovrei correre a casa. Dovrei andare a vedere. Dovrei precipitarmi a controllare. Dovrei verificare.

Ma io non vado da nessuna parte. Perché io lo so. Perché ho sentito le sue parole. E io lo so Rabbi, che come hai detto, è stato. Io, lo so. Io, che amo solo Te, tornerò: mi fermerò e ti regalerò quel che resta della mia gioventù.

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Io che amo solo te
Brano di Sergio Endrigo

 

  • Questa canzone è un esempio di  Riscritture Inconsapevoli:  Canzoni scritte dai loro autori  per motivi e contesti tutti diversi, eppure in grado di rappresentare, almeno a qualche orecchio, un pezzo di Scrittura, che si riscopre lì dentro, come inconsapevolmente richiamata.

 

 

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