Artigiani di parole.

9 Giugno 2017Lorenzo Cuffini

Scritto da GIAN LUCA CARREGA.

La storia del ragazzino che riesce a far riconoscere dall’Accademia della Crusca la creazione dell’aggettivo petaloso è indicativa della difficoltà di crescita, almeno ufficiale, della nostra lingua. Il patrimonio cresce di anno in anno, certo, ma con un tasso proporzionalmente inferiore agli sviluppi di altre lingue e altre epoche. Nel suo saggio divulgativo Il mondo è un teatro Bill Bryson sostiene che William Shakespeare abbia introdotto nella lingua inglese non meno di duemila parole (seicento soltanto con Amleto!). A un esame più ravvicinato scopriamo anche qualche trucco: circa trecento di questi nuovi lemmi è ricavato con l’aggiunta del prefisso un- che permette di dare vita a verbi come unlock (aprire), unveil (svelare), ecc.

La modalità mi ha colpito perché è molto simile al modo in cui l’apostolo Paolo coniò nuovi verbi nel suo epistolario attraverso un’altra preposizione, il greco syn- (con) che utilizzò con inusitata creatività. Promotore di una teologia di comunione con Cristo, Paolo esprime questa nuova realtà anche attraverso il linguaggio, dando vita al verbo syzaō che letteralmente significa convivere (ironia del destino, Paolo dà il nome ad una forma di vita di coppia alternativa al matrimonio suo malgrado…). La vita di comunione con Cristo è conseguenza dell’essere stati “consepolti” con lui nella sua morte (synthaptō, Rm 6,4). Ma il neologismo che più incarna lo spirito dell’apostolo è il verbo systauroō (essereconcrocifisso), che mette insieme il mistero di comunione con quello della croce. Paolo potrebbe benissimo averlo mutuato da racconti orali sulla Passione (il verbo è presente nei racconti della Passione dei vangeli canonici che sono di poco più tardi delle sue lettere) ma il significato con cui lo usa è senza dubbio innovativo.

Frammento di papiro con testo in greco di Matteo.
Frammento di papiro con testo in greco di Matteo.

Capita, poi, che gli evangelisti possano creare delle parole a loro insaputa. Il verbo greco euanghelizō  (portare buone notizie) era abbastanza diffuso nel greco profano e abbiamo attestazioni di questo significato anche nell’Antico e nel Nuovo Testamento, ad esempio l’angelo Gabriele che porta il lieto annuncio della nascita di Giovanni Battista al padre Zaccaria (Lc 1,19). Ma esiste anche un senso più tecnico che ritroviamo nello stesso vangelo quando i discepoli mandati in missione da Gesù attraversano i villaggi euanghelizomenoi (9,6). Possiamo dire che erano semplicemente latori di buone notizie o forse dobbiamo ammettere che l’oggetto della loro predicazione era qualcosa di più specifico, cioè quello che più tardi verrà appunto indicato come vangelo? Curiosamente gli evangelisti hanno creato il vangelo, inteso come racconto della vita di Gesù, ma non il termine con cui lo si indica comunemente: ogni artigiano crea solo quello che gli serve.

  • In copertina: Jacob Jordaens (1593-1678) I quattro Evangelisti -1625.

 

 

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