Tutti ciechi…

30 Settembre 2016Lorenzo Cuffini

Scritto da Maria NISII

 

“Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco” (José Saramago, Cecità, p. 276)

Il cielo bianco che compare al termine di uno dei più noti romanzi del premio Nobel portoghese José Saramago fa da specchio al “male bianco” che ha colpito l’umanità in un racconto dai toni apocalittici – tra le altre, la percezione che “il tempo sta per concludersi” (p. 251) sembra infatti richiamare Ap 10,6: Non vi sarà più tempo!

In un’atmosfera da fine dei tempi, improvvisamente tutti gli uomini e le donne uno a uno perdono la vista. Tale perdita però non implica una caduta nell’oscurità, ma al contrario il permanere dello sguardo in una fissità luminosa che tutto avvolge. Il capovolgimento cromatico dal nero (tradizionalmente associato al male) al bianco (che invece connota la purezza) non è un caso isolato nella letteratura e su tutti il nostro immaginario riporta indubbiamente alla celeberrima immagine di terrifico biancore che è la balena del Moby Dick di H. Melville.

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Dunque in Cecità anche il cielo, se bianco, porta con sé gli stessi caratteri del male che ha afflitto gli uomini. E figurativamente si colora di quella stessa cecità al culmine degli eventi, quando i protagonisti stanno cercando di intravvedere un senso in quanto accaduto. Ma apice, e forse origine del mistero, questo cielo cieco compare dopo un’altra rivelazione che l’unica donna misteriosamente preservata dal male bianco ha in una chiesa, là dove tutte le immagini sacre presenti nei dipinti e nelle statue sono state bendate. Forse è stato un prete, pensa la non cieca e quell’ipotesi le piace: “è l’unica che possa conferire una certa grandiosità alla nostra miseria” (p. 268).

Così il cielo, specchio e immagine dell’umano, non può che essere cieco, imperterrito e impassibile, eppure una presenza stabile nell’orizzonte di questo autore sempre orgogliosamente dichiaratosi ateo, per rabbia e convinzione. E questo cielo persiste anzitutto nell’orizzonte linguistico, che prende a prestito dalla Bibbia immagini e citazioni, in una riscrittura estraniante ma sempre riconoscibile: “riuscivano a stento a reggere le lance, come chi si è portato una croce sulle spalle” (p. 177) oppure: “nessuno vuol essere la pecora smarrita perché fin d’ora sanno che nessun pastore li andrà a cercare” (186) o ancora: “tutti i racconti come sono quelli della creazione dell’universo, nessuno c’era, nessuno vi ha assistito, ma tutti sanno cosa è accaduto” (224). Le stesse categorie con cui si narra la vicenda appartengono al mondo religioso tanto aspramente rifiutato: “i primi ciechi messi in quarantena sono stati capaci, più o meno consapevolmente, di portare con dignità la croce della natura prevalentemente escatologica dell’essere umano” (p. 117).

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Grazie anche la potenza delle immagini bibliche, l’ateo Saramago propone la sua morale: “Eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi” (p. 116), “la cecità è anche questo, vivere in un mondo dove non ci sia più speranza” (p. 180), “siamo già morti, siamo ciechi perché siamo morti” (p. 213), fino alla più citata interpretazione finale: “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono” (p. 276). Una morale ancora una volta curiosamente mediata dall’immagine evangelica di Mt 13,15-16: il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca! Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!

Recentemente proposto come reading nel nutrito cartellone di Torino Spiritualità (edizione 2016 http://www.torinospiritualita.org/cecita/), con la brillante lettura di Angela Finocchiaro, tutto questo scompare. La necessaria sintesi ha epurato tutti i caratteri problematici di questo testo duro ma importante, rendendo quasi impossibile cogliere il significato di questo mal bianco che ha prima prostrato e poi ridotto gli uomini a uno stato di primitiva animalità. E’ rimasta la storia, comunque gradevole e che ha garantito gli applausi a interprete e regista. Ma forse è troppo poco.

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