…assumendo la condizione di servo

2 Dicembre 2023Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da  MARIA NISII.

 

DI PIEDE IN PIEDE (9).

 

L’autore della insolita lavanda dei piedi pubblicata qui sopra ha combattuto e poi è stato fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale. Tornato dal fronte studia e insegna arte, salvo decidere – dopo alcuni anni – di studiare teologia e diventare prete. Da questo momento le due anime di Sieger Köder (l’artista e il prete) trovano unità nella creazione di opere artistiche di profondo valore teologico.

L’opera riportata in apertura ritrae un contesto essenziale, spoglio degli elementi che in genere accompagnano il momento, compresi gli altri discepoli. Su tale sinteticità espressiva siamo quindi chiamati a sostare, perché ogni dettaglio esige la massima attenzione dell’osservatore.

La parte superiore del dipinto è meno illuminata di quelle centrale e inferiore, dove si svolge la scena: su un tavolo è posta una ciotola con del pane (che pare già spezzato) e un calice. Tra i pochi altri oggetti ritratti, notiamo uno sgabello e un tappeto. Gli unici personaggi sono Gesù e un discepolo.

Gesù qui è completamente vestito (non ha l’asciugamano in vita, come riportano i vangeli) e indossa un tallit, il manto della preghiera ebraica che lo connota come ebreo in epoca post-shoah; la parte superiore della veste è bianca e luminosa. La stessa luce torna su parte del tavolo che circonda pane e vino, che già rappresentano l’eucarestia, presenza reale del corpo di Cristo.

Gesù è curvo, proteso in avanti, dando le spalle a chi osserva. È chinato, abbassato (Pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spogliò se stesso, / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uominiFil 2,6-7), perdendo il privilegio e la dignità della posizione eretta, orgoglio dell’homo erectus e quindi sapiens. Sembra sprofondare nel grembo del discepolo, il quale si incurva a sua volta sul Maestro quasi sostenendosi. Le due sagome formano una sorta di arco, che da un lato disegna una continuità tra i due e dall’altro potrebbe rimandare al patto tra Dio e l’uomo che qui si rinnova in un gesto inedito.

Il volto di Gesù è nascosto, rivolto verso il basso, come appoggiato sul grembo del discepolo. E tuttavia visibile nel riflesso dell’acqua, un’acqua di un insolito colore verde, come a suggerirne la sozzura (Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tuttiGv13,10). Un volto dunque non percepibile se non attraverso il filtro immondo, che lo rispecchia.

Sovrasta la scena lo sguardo e il gesto del discepolo, nel quale possiamo riconoscere Pietro che inizialmente intende rifiutare l’offerta (Non mi laverai mai i piedi! – Gv 13,8); sebbeneil gesto della mano potrebbe pure richiamare il rinnegamento che seguirà quella stessa notte. Aver ritagliato la scena solo su Pietro lo trasforma in immagine del discepolo ritroso e riluttante, che comprende poco e male quello che sta succedendo. Eppure la sua cattiva comprensione è l’unica versione di cui disponiamo.

Il tappeto è blu, il colore del cielo, assunto dalla tradizione iconografica, assieme al rosso, per le vesti di Cristo, a rappresentare le due nature. Ma il rosso qui appare sul catino, come a presagire la passione che si consumerà di lì a poco, un colore che appare anche in alcune pennellate sul manto di Pietro che subirà analogo martirio.

 

 

Un rosso più acceso compare nel calice dell’ultima cena dello stesso autore tedesco, in cui appare un volto di Cristo rispecchiato nel colore del vino e del sangue (Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per moltiMc 14,24). Anche qui Cristo è di spalle e addirittura non entra nella porzione rappresentata, ad eccezione delle mani. Ancora una volta il suo volto è visibile solo nelle tante espressioni dei discepoli che lo circondano – imprescindibile mediazione per tutti coloro che seguiranno. E i discepoli ai due lati hanno le vesti blu (a sinistra) e rossa (a destra), forse Giacomo e Giovanni che avevano appunto richiesto tale privilegio (Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra Mc 10,37).

 

 

Il calice rosso torna ancora nell’opera che ritrae la Veronica, mentre il volto insanguinato di Cristo è rimasto impresso su un tessuto di un bianco luminoso, ma macchiato di sangue, al pari della fasciatura di una delle mani che reggono il calice-catino ormai crepato, segno di una morte consumata – come le bende mortuarie paiono suggerire.

Questo ritrarre il volto di Cristo come riflesso di specchi deformi – resi tali dall’impudicizia, dal dolore, dalle cattive o limitate comprensioni – mi pare un tema fondante del discorso sulle riscritture. Perché non è più dato attingere all’originale e la nostra condizione risiede oramai nella fruizione dei tanti racconti e rappresentazioni. A partire dal racconto biblico, che conosce questo evento fondativo in un solo Vangelo, arrivato per ultimo, a lungo ritenuto il meno storico e comunque in gran parte estraneo alla narrazione canonica fissata dai sinottici.

Dunque arte, Bibbia e teologia. Non senza il lettore (l’osservatore), il quale probabilmente – al pari dell’osservatore dei fenomeni fisici nell’infinitamente piccolo – modifica il dato con il suo stesso atto di lettura e osservazione. Non so se lo sia per la fisica, ma certo per la teologia è una splendida sfida!

 

 

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