Babilonia e Gerusalemme

19 Novembre 2022Lorenzo Cuffini

Scritto da  NORMA ALESSIO.

 

San Giovanni dedica, significativamente, gli ultimi capitoli dell’Apocalisse alla caduta di Babilonia e alla Gerusalemme celeste. Babilonia assume forte rilievo come simbolo del male e la sua distruzione è il preludio al trionfo della Gerusalemme celeste, la città santa. Nel capitolo 16 ai versetti 17 e 19, si legge: «Il settimo (angelo) versò la sua coppa nell’aria e uscì dal tempio, dalla parte del trono, una voce potente che diceva: «È fatto!». Ne seguirono folgori, clamori e tuoni, accompagnati da un grande terremoto, di cui non vi era mai stato l’uguale da quando gli uomini vivono sopra la terra. La grande città si squarciò in tre parti e crollarono le città delle nazioni. Dio si ricordò di Babilonia la grande, per darle da bere la coppa di vino della sua ira ardente. Ogni isola scomparve e i monti si dileguarono. E grandine enorme del peso di mezzo quintale scrosciò dal cielo sopra gli uomini, e gli uomini bestemmiarono Dio a causa del flagello della grandine, poiché era davvero un grande flagello. E ancora “(l’angelo) Gridò con voce potente: “È caduta! è caduta! La grande Babilonia è caduta! È diventata dimora di demoni, rifugio di tutti gli spiriti immondi, rifugio di ogni uccello impuro e ripugnante”.

Il testo offre numerose chiavi interpretative. Nell’arte figurativa l’immagine di Babilonia distrutta è poco diffusa, la troviamo ad Assisi nel transetto sinistro della Basilica Superiore di San Francesco nel ciclo dell’Apocalisse di Cimabue, dipinta tra il 1277 e il 1283, dove è rappresentata in un riquadro, ora molto deteriorato e dai colori ossidati, ma che possiamo vedere meglio nella riproduzione di Johann Anton Ramboux del XIX secolo.

 

 

Le case della città stanno crollando come per un violento terremoto e dalle finestre escono serpenti dalla lingua che si contorce; le mura non hanno più una tessitura compatta, ma le finestre e le porte sono spalancate; da quella di destra esce un diavolo con un corno e al suo richiamo irrompono, sempre a destra, demoni pelosi con ali da pipistrello e al centro un grande uccello, forse uno struzzo, l’uccello impuro, spesso citato nella Bibbia (vedi Isaia), quale presagio di desolazione e rovina. Interessante però è anche l’altra interpretazione, che dà il poeta Guillaume le Clerc nel suo Bestiario divino del 1210, sul significato di questo animale: è l’uomo saggio che conduce un’esistenza pia e non si cura delle cose terrene per dedicarsi solo a quelle celesti, diventando, nel periodo medioevale, modello di sapienza. Sorge una domanda, ma allora Cimabue quale significato avrà voluto dargli?

Maggiore fedeltà al testo presenta la Babilonia descritta nel sesto pannello dell’Arazzo d’Angers, realizzato tra il 1373 e il 1382, preparato dal pittore Hennequin de Bruges, dove Giovanni, con le mani congiunte, quasi in segno di paura pensando alla collera divina, osserva la scena.

 

A contrapporsi alla Babilonia distrutta, nell’ultima pagina dell’Apocalisse, l’estasi di Giovanni culmina nella visione della nuova Gerusalemme, la “città santa”: una nuova città dall’affascinante bellezza, immagine del paradiso finalmente realizzato. L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. (Ap 21,10-2121,1-22,15)

Nella litografia del 1941 di Giorgio de Chirico, l’immagine della Gerusalemme celeste che scende dal cielo è ben esplicitata, mentre con la tecnica del mosaico e l’utilizzo del materiale prezioso, sono esaltate le sue caratteristiche di città gemmata, come se fosse uno scrigno dal contenuto altrettanto prezioso. (Ap. 21, 18-21).

 

Nell’arco trionfale della Basilica di San Vitale a Ravenna del VI secolo, la città ha alte mura e torri e l’unica porta che vediamo ha tre pendenti che terminano con perle come nella citazione del testo.

 

 

Un’interpretazione invece estesa, anche in riferimento al giorno del ritorno di Gesù, e quindi riferita al Paradiso, è data nella Basilica di Santa Prassede a Roma, dove si riconosce la città solo per le mura incastonate di gemme preziose e intervallate da piccole torri, mentre al centro vi è solo il Cristo tra due angeli, in corrispondenza dei “basamenti”. Nella parte inferiore vi sono i dodici apostoli in tuniche bianche che portano delle corone, quelle della gloria citate in diversi brani del Nuovo Testamento, la Vergine e San Giovanni Battista a sinistra, Santa Prassede a destra. Alla medesima altezza del Cristo, le due figure agli estremi della cittadella sono a sinistra Mosè con la scritta “lege” e a destra Elia, insieme a un angelo, con in mano un libro, il Nuovo Testamento? Al di fuori delle due porte opposte della città, controllate da due angeli, si trovano gli eletti, in attesa di entrare nella città.

 

Una vera e propria sintesi in pietra della Gerusalemme celeste la si trova ancora in parte nell’affascinante Chiesa di S. Stefano Rotondo in Roma (IV sec.), da poco restaurata, come dimostrano gli studi della metà anni ‘60 del novecento di un gesuita, il sacerdote ungherese Sandor Ritz. Da questi emerge che le misure della sua struttura hanno singolari corrispondenze con quelle della Gerusalemme Celeste discesa in terra e ricalcano esattamente quelle della basilica dell’Anastasis a Gerusalemme (il Santo Sepolcro). Questa chiesa è il più antico esempio di chiesa circolare nella città, probabilmente voluta da papa Leone I (440-461), che si discosta dal quadro consueto dell’architettura ecclesiastica paleocristiana. È una costruzione circolare a tre anelli, di cui l’esterno differisce dai due interni per la suddivisione in dodici parti, a loro volta suddivisi longitudinalmente in due parti, con quattro portici esterni e quattro portici interni, perfettamente coincidente con la Nuova Gerusalemme dell’Apocalisse. Purtroppo, in seguito a numerosi rifacimenti, l’anello più esterno è stato eliminato e oggi è difficoltoso leggervi le regole geometriche sulle quali fu imperniata la costruzione di questa chiesa.

Molti artisti contemporanei fanno esperienza personale dell’incontro con il divino attraverso l’arte non figurativa, trasformando ogni segno iconico del loro linguaggio astratto nella manifestazione cromatica di una preghiera religiosa e poetica. Nicola De Maria, artista vivente della transavanguardia italiana, nell’affresco del 2015 sulla cupola del sacello dell’altare maggiore della Chiesa di San Fedele a Milano, interpreta in maniera originale il tema della Gerusalemme celeste.

 

La città è rappresentata nella circolarità del piccolo spazio della cupola con una vivacità di colori, un blu profondo, un rosso arancione smagliante, un giallo luminoso e infine un verde acceso, all’esterno un azzurro turchese, trapuntato da alcune stelle e dai simboli dell’alfa e dell’omega, allusione a Cristo, principio e fine. L’artista, Nicola De Maria, in un’intervista ha detto: «I colori per me sono sovrani, mi dettano la loro legge di armonia, e io sono l’esecutore di un disegno superiore. Mi sento lo strumento di un impegno chiamato ad accrescere l’armonia nel mondo, aumentandone la vita.». Qui non si riconoscono più forme che facilmente illustrano il testo letterario della Scrittura, è necessario interrogarsi sul senso dell’opera, non basta contemplarla. “A volte”, come sostiene Jérôme Cottin, professore di teologia pratica alla Facoltà di teologia protestante dell’Università di Strasburgo, “l’opera ci colpisce, ci aggredisce, ci provoca. Come le parole di Gesù, spesso talmente dure da provocare delle reazioni di rigetto o di rifiuto, o da provocare l’incomprensione persino dei suoi stessi discepoli. Quindi lo studiare la Scrittura, compresi i suoi aspetti più oscuri, può prepararci a studiare un’opera contemporanea, così come al contrario studiare un’opera contemporanea può aiutarci ad interrogare la Scrittura. Le due hanno bisogno di una esegesi, di uno studio approfondito  che è come una ricerca della verità

È solo così che riusciremo a comprendere i nuovi linguaggi artistici.

 

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