Barabba

10 Ottobre 2020Lorenzo Cuffini

Scritto da  MARIA NISII.

 

Tutti sanno come egli venne appeso là, su quella croce, e conoscono quelli che stavano raccolti intorno a lui […]. Ma, un tratto più giù, sul pendìo, un po’ in disparte, stava un uomo, che guardava continuamente colui che era appeso lassù e moriva, e ne seguì l’agonia dal principio fino alla fine. Il suo nome era Barabba (p. 7).

Dati per noti i fatti che hanno portato alla comparsa sulla scena pubblica del personaggio di Barabba, è da lì che il racconto prosegue, narrando la vicenda del suo protagonista. Per questo romanzo, lo svedese Lagerkvist ha ottenuto il Nobel per la letteratura l’anno successivo alla sua pubblicazione (1950), adattandolo per la rappresentazione teatrale; in seguito sarà ridotto da Richard Fleischer in versione cinematografica, con Antony Quinn nel ruolo di Barabba. La storia non è una vera riscrittura, nonostante i diversi richiami all’episodio in incipit, quanto piuttosto il modo in cui un «ateo cristiano», come Lagerkvist si riteneva, si misura con la fede e l’idea di Dio – parzialmente presente nella ragione del riconoscimento ottenuto: «…per il suo vigore artistico e per l’indipendenza del suo pensiero con cui cercò, nelle sue opere, di trovare risposte alle eterne domande che l’umanità affronta».

Barabba, come Lagerkvist, è un «credente senza fede», anche se in quel Dio che l’ha salvato, lasciandosi crocifiggere al suo posto, egli vorrebbe davvero credere. Assiste al supplizio della croce di Gesù per quell’attrazione da subito avvertita al primo istante, in cui ha sentito di non aver mai incontrato un essere simile in vita sua: ne ha visto un alone tutt’attorno alla figura, che in seguito si spiegherà come il risultato di un abbaglio della vista, abituatasi al buio della prigione. Quando il condannato esala l’ultimo respiro, egli è convinto di potersi finalmente liberare dall’ossessione che lo tiene avvinto a quel luogo. Invece segue da lontano il gruppo di intimi che ne seppellisce il cadavere e resta poi a lungo presso il sepolcro – senza pregare, perché sa che le sue parole non possono essere accolte: egli è un delinquente e ora si ritrova libero senza aver espiato.

Neppure nei giorni seguenti riesce a liberarsi di quel pensiero e continua a girare per Gerusalemme ascoltando furtivamente i racconti su Gesù, imbattendosi più volte nei suoi discepoli. Prima di veder rivelata la sua identità, riesce persino a parlare a lungo con Pietro e a sapere qualcosa dell’uomo morto in sua vece (pp. 28-33). La resurrezione non è ancora avvenuta, ma pare che molti l’attendano – come è stato predetto loro. Tra questi vi è il dolente personaggio della Leporina, una donna disgraziata a cui Barabba in passato si è legato per necessità e che ora spera nel risanamento dei mali che affliggono i tanti come lei, nei tempi nuovi che sicuramente la resurrezione inaugurerà. A differenza di altri, lei a Gesù non aveva chiesto la guarigione, ma lui l’aveva notata e le si era avvicinato, sfiorandole anche le labbra: «egli l’aveva guardata con tanta dolcezza e insieme con angoscia e l’aveva accarezzata sulla guancia e le aveva toccata la bocca senza che in questa si avverasse alcun mutamento» (p. 37).

Recatosi al sepolcro nella notte del sabato, convinto che la resurrezione non sia qualcosa di possibile, Barabba non vede «niente di straordinario» (p. 42). Eppure al primo raggio di luce il sepolcro risulta vuoto e la pietra appare rotolata, fatti che lui è convinto di poter facilmente spiegare: sono stati i discepoli con il favore dell’oscurità. Poco dopo però si accorge che accanto a lui c’è la Leporina, che ora ha uno sguardo estatico e sostiene di aver visto un angelo sceso dal cielo con il braccio proteso verso l’apertura dell’uscio. Dalla donna Barabba apprende anche la dottrina insegnata da quell’uomo: «Amatevi l’un l’altro».

Nonostante lo scetticismo, Barabba continua a restare a Gerusalemme senza una ragione apparente e non è da lui, avvezzo ai pericoli, il gironzolare senza meta. Naturalmente continua a incontrare i discepoli del rabbi crocifisso, i quali sono persuasi che il loro maestro sia risorto. E udendone i discorsi, si accorge pure che non vi è comunanza di interpretazioni sulla sua identità – come a ricreare le successive dispute teologiche sulle due nature. Tuttavia questi, non appena si accorgono di lui, subito lo allontanano. Già Pietro, dopo avergli parlato a lungo, per essere venuto a sapere di chi si trattava, era apparso smarrito mentre gli altri lo mandavano via, maledicendolo. Per Barabba non è una novità: non è solo il nome a farne un reietto per i seguaci di Cristo. Egli è infatti segnato da una cicatrice profonda sotto l’occhio, inflittagli da un compagno di brigantaggio che nessuno, lui compreso, sa essere stato suo padre. Questa cicatrice, che di tanto in tanto si infiamma, lo segna sul volto, suscitando negli altri repulsione.

Nonostante sia abituato alla reazione degli altri uomini, è la prima volta che Barabba se ne dispiace. Dunque resta escluso dai raduni dei seguaci di Gesù e dalla loro comunanza di fede, sebbene lui non possa credere che quell’uomo morto sulla croce sia il figlio di Dio. Egli infatti non riesce a capire, e trova quindi inaccettabile, che qualcuno possa scegliere di soffrire e morire in quel modo. Ma quando sente dire che egli è morto per tutti loro, pensa che questo valga tanto più per lui: «Egli era stato scelto, ben si poteva dire, … scelto a non dover soffrire; scelto a salvarsi! Egli era il vero eletto, colui che era stato assolto in luogo del figlio stesso di Dio, perché egli lo aveva voluto, per il suo comandamento!» (p. 51).

 

  • (continua)

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