Bellocchio ci ha rapiti

3 Giugno 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da  DARIO  COPPOLA.

 

L’opera ultima di Marco Bellocchio, il film Rapito, appena uscito nelle sale cinematografiche,è esteticamente gradevole e accattivante, e conferma il talento polemico del regista.

Compaiono trovate ai limiti del comico per narrare una tragedia e un dramma umano. Gli attori sono bravissimi: soprattutto Enea Sala, che interpreta Edgardo bambino e Paolo Pierobon nel ruolo di Pio IX: sono perfetti. A nostro giudizio, Fabrizio Gifuni, nella parte dell’inquisitore Feletti, è un po’ meno adatto a questo ruolo, ma se ne può discutere.

Liberamente tratto, soprattutto, dal romanzo di Daniele Scalise  Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa (1996), il film rispecchia la Chiesa dell’ultimo papa-re, che vede la fine del potere temporale come un’ossessione ai limiti della criminalità. Follia, dimensione onirica e ricostruzione storica sono ben armonizzate nella trama scorrevole e chiara. Il contenuto contribuisce certo a gettar fango sulla religione in sé e, in particolare, sul cattolicesimo di vecchio stampo, che temeva e demonizzava la libertà religiosa. Oggi non è così, almeno nel cattolicesimo.

 

 

Bellocchio – non distinguendo gli aspetti dogmatici da quelli morali – confonde fra loro i diversi piani teologici con l’estetica dell’arte figurativa, unica arte divina, il cui deus ex machina è proprio il regista stesso. A lui solo ci si deve sottomettere. Tuttavia, Bellocchio approfondisce e inserisce anche la psicoanalisi, indagando con attenzione nell’umanità dei personaggi: gli antagonisti non appaiono ostili fino in fondo perché mossi da un’etica che li supera e li divora nel tempo che si nutre dei poteri più dispotici, come insegna il mito di Crono.

Alcune scene sono dei veri capolavori artistici:

le animazioni delle caricature d’epoca su Pio IX sono meravigliose, e ricordano quelle (vent’anni fa meno raffinate tecnologicamente) del bassorilievo della Gradiva già citato nel film L’ora di religione da Bellocchio stesso;

 

 

E ancora:

il sogno grottesco di Pio IX che teme d’essere circonciso;

Edgardo che causa la goffa caduta del papa, scena prefigurante la breccia di Porta Pia.

Soprattutto, è superba e suggestiva la scena nella quale Edgardo delicatamente schioda il Cristo crocifisso. Risuona ancora nella nostra mente la voce di Giorgio Bassani (che doppia Orson Welles) ne La Ricotta di Pasolini: «Schiodateli!» diceva là un altro regista, riferendosi ai ladroni e al Cristo. Qui Bellocchio rappresenta Edgardo nell’atto di schiodare il Cristo stesso.

Il rapito è Edgardo.

A noi pare proprio rapito sì, ma in estasi, da quando sulla barca (simbolo della Chiesa) vede per la prima volta un crocifisso. Edgardo si trova a porre riparo al male fatto dagli ebrei, che la liturgia preconciliare del venerdì santo apostrofava come perfidi giudei. Edgardo, rapito, paradossalmente schioda il Cristo che scende dalla croce, ed è così libero, così come è libero ognuno di credere in una religione o nell’altra, grazie a lui.

Il principio di san Cipriano Extra ecclesiam nulla salus, cristologizzato dal IV Concilio Lateranense (1215) e poi ripristinato nel V Concilio Lateranense (1512-1517), si è prolungato troppo nel tempo, raggiungendo una Chiesa cattolica che, nella seconda metà dell’Ottocento, temeva la fine. Col Concilio Vaticano II, la libertà religiosa diventa invece prima preoccupazione della Chiesa stessa: la Gaudium et Spes (76) la auspica e ne è icona tutta la Dignitatis Humanæ.

Geniale è la rappresentazione di un papa che gioca col mondo come un bambino, e nasconde Edgardo, avvolgendolo come la Madonna della misericordia sotto il suo manto, mentre il bambino gioca a nascondino.

E, soprattutto, in una trovata iconica senza pari, il papa dai canuti e fluenti capelli tiene in braccio Edgardo, come ha fatto la Madonna stessa con Gesù: non poteva esserci migliore locandina per il film, quasi un tableau vivant. L’ironia e l’arte di Bellocchio qui raggiungono un vertice estetico dell’opera intera che rapisce lo spettatore, in particolare chi vi scrive.

 

 

La forza di Bellocchio non è perciò la logica dell’etica, non scevra di sofismi e fallacie, ma l’estetica, la filosofia dell’arte, secondo l’accezione di Baumgarten, proprio perché supera ogni logica umana e perciò ci appare sublime.

Peccato che la consulenza pur seria – e si vede davvero tutto il rigore della ricerca nella realizzazione dell’opera – non abbia evitato un errore di pronuncia nella recita dello Shemà Israel, celeberrima e principale preghiera ebraica tratta da Deuteronomio 6.11 e da Numeri 15: anziché Adonai elohenu, gli attori dicono infatti Adocai, e lo reiterano per tutto il film.

Un vero peccato… ma solo estetico.

Un pensiero riguardo “Bellocchio ci ha rapiti”

  1. La preghiera ebraica non è pronunciata « correttamente » perche il nome di Dio non deve essere pronunciato « in vano ». Quindi « Adocai » invece di « Adonai » e « elokenu » invece di « elohenu ».

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