Blade Runner 2049: la Scrittura tra passato, presente e… futuro
Scritto da MARIKA BONONI.
Sequel di Blade Runner diretto da Ridley Scott nel 1982, Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve è uscito nelle sale cinematografiche italiane il 5 ottobre 2017. Entrambe le pellicole appartengono al genere fantascientifico e se il primo episodio è liberamente ispirato al romanzo del 1968 Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick, il secondo prende in prestito dal libro solo più i personaggi. Alla stessa maniera, se il primo episodio non sembra avere alcun riferimento a eventi o personaggi della Sacra Scrittura, è nel sequel che una battuta in particolare (quella di Niander Wallace, direttore della Wallace Industries) rivela il filo rosso che unisce il personaggio di Rachel a Rachele, la moglie di Giacobbe.
Nel primo episodio (diffuso in Italia nel 1982) in una Los Angeles post nucleare, gli esseri umani popolano la città insieme agli androidi, in tutto uguali agli uomini a parte la diversa percezione delle emozioni e la maggiore forza fisica, oltre alla ridotta longevità (quattro anni). I replicanti vengono utilizzati come forza lavoro nell’extra mondo, pianeti colonizzati a causa dell’invivibilità della Terra. Quest’ultima è avvolta costantemente da una coltre fumosa e funestata da continue piogge radioattive, le quali hanno gradualmente causato l’estinzione di ogni forma di vita animale e vegetale. La storia ruota intorno a sei replicanti che fuggono dalla colonia per introdursi nella Tyrell Corporation (l’azienda che li ha prodotti) nella speranza di riuscire a ottenere una vita più lunga. Verranno così trovati e “ritirati” dall’agente dell’unità speciale “Blade Runner” Rick Deckard, interpretato da un giovane Harrison Ford. Nel finale lo struggente monologo di Roy Betty (il capo dei fuggiaschi) che sotto una pioggia battente esala il suo ultimo respiro (Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…
Se Blade Runner si conclude con un inno alla vita, in Blade Runner 2049 la vita trionfa. Infatti Rachel, l’unica replicante che Deckard nel primo episodio non “ritira” (in quanto i due si innamorano) nel sequel si scopre aver dato alla luce un figlio. La straordinarietà dell’evento è riconducibile al fatto che gli androidi non potevano riprodursi . Rachel, anche se non era sopravvissuta al parto, aveva comunque superato l’ultima inviolabile barriera che li separava dagli esseri umani. Ciò che era impossibile assume ora i toni del prodigio: “non avete mai visto un miracolo” dice Sapper Morton (il medico replicante che si era occupato di lei) poco prima di essere “ritirato” dall’agente K, il “Blade Runner” incaricato di eliminare i restanti modelli ribelli Nexus 8, ormai obsoleti e superati (in termini di prestazioni e longevità) dai più recenti di nuova generazione.
“Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda”. Niander Wallace, direttore dell’azienda produttrice dei nuovi replicanti, usa le stesse parole di Genesi 30,22 dinanzi a Deckard suo prigioniero. Una citazione biblica esplicita: sterile come la moglie di Giacobbe, Rachel partorisce e come Rachele muore dando alla luce suo figlio. Non sappiamo se gli sceneggiatori (HamptonFancher e Michael Green) siano credenti, quel che è certo è che non ci saranno altri riferimenti alle Sacre Scritture. Tuttavia è su questa assonanza che verte l’intera storia del lungometraggio e le implicazioni sono evidenti, a partire dal legame inscindibile fra la vita e la morte. In Genesi Rachele morendo chiama suo figlio Ben-‘onî che in ebraico vuol dire “figlio della mia doglia”: si tratta di un grido disperato dettato dal dolore, ma anche e soprattutto di un richiamo alla speranza, poiché dalla sofferenza e dalla morte nasce la vita, il dono più prezioso che Dio ha concesso agli esseri umani. Umani appunto, capaci di provare emozioni, empatia, sentimenti, creati per la relazione e per rinnovare all’infinito quel dono della creazione che tecnicamente appartiene solo a Dio. È questo il miracolo di Rachel. A un mondo al culmine del suo abbrutimento ha consegnato, con la sua morte, il dono della speranza. Attesa che si concretizza nella nascita del movimento ribelle (guidato dalla replicante Freyda) in lotta per l’uguaglianza fra umani e replicanti che chiedono a gran voce il diritto alla vita, negato dagli uomini in forza della loro “presunta” superiorità.
“Così Rachele morì e fu sepolta lungo la strada verso Efrata, cioè Betlemme. Giacobbe eresse sulla sua tomba una stele. Questa stele della tomba di Rachele esiste fino ad oggi.”(Gn 35,19-20).
Ed è così, quasi a voler dire al pellegrino o viandante la giustezza, lo scopo, la scìa di imprescindibile speranza che si è portata dietro. Ed è così anche per Sapper Morton il quale aveva custodito le spoglie mortali di Rachel sotto ciò che rimaneva dell’ultimo albero sopravvissuto alla decadenza del genere umano, a perenne memoria di un miracolo il cui senso trasuda in ogni battito di ciak.
Giacobbe ha accolto il messaggio di Rachele trasformando il nome del figlio in Beniamino (“figlio della fortuna” in ebraico) e Geremia coglierà il senso profondo della vicenda facendo diventare la matriarca il simbolo degli ebrei oppressi (31,15). In Blade Runner 2049 ritroviamo tutto: forza e fermezza, temerarietà e eroismo, tenerezza e amore incondizionato, dignità e vita, lotta e speranza. Perché questa è la Bibbia. Superando la barriera del tempo unisce il passato, il presente e… il futuro. Sia nella finzione che nella realtà.