CHE COSA È VERITÀ?

11 Settembre 2021Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da  MARIA NISII.

 

Che cos’è la verità? (Gv 18, 33-38)

 

Nel Vangelo di Giovanni l’interrogatorio di Gesù condotto da Pilato è centrato sul tema della verità. Il procuratore romano cerca di comprendere le accuse che hanno condotto l’imputato lì da lui e per questo si informa sulla sua supposta regalità che potrebbe chiamarlo in causa in quanto rappresentante del potere di Roma:

Sei tu il re dei Giudei?

A questa domanda Gesù non risponde subito, ma avvia un tentativo di dialogo:

Dici questo da te, oppure altri te l’hanno detto di me?

Pilato nega un coinvolgimento diretto, come continuerà a fare anche dopo:

Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani.

Ma infine tutto quello che gli interessa non è tanto la questione dell’identità (il “chi sia” quest’uomo e se sia un re), ma il “che cosa” dei fatti concreti su cui lui è stato chiamato a intervenire – gli accusatori infatti lo ritengono un malfattore (v. 30), qualcuno che compie il male. Pilato allora gli chiede:

Che cosa hai fatto?

Ed è a questo punto che Gesù torna alla domanda iniziale, spostandoil discorso dal “che cosa egli abbia fatto” al “chi egli sia”:

Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce.

Il dialogo tra i due si gioca su molti piani, come è tipico del quarto vangelo: la regalità di Gesù non è esercitata al modo di un potere mondano, come solo Pilato può intenderla. Gesù afferma invece che questa regalità è a servizio della verità che egli è venuto a testimoniare. Ma senza spiegare in che cosa consista tale verità, afferma che la sua testimonianza è ascoltata da coloro che sono dalla verità, nel senso di coloro che a questa verità appartengono. La verità appare pertanto divisiva: vi è chi l’accoglie e chi la rifiuta, chi si limita a “udire” la testimonianza di quella verità e chi la ascolta:

Che cos’è la verità?

A questo punto la domanda di Pilato sembra più che legittima, anche se possiamo constatare come il confronto tra i due sia ormai uscito dallo schema dell’interrogatorio. E tuttavia a questa domanda non viene data risposta e noi oggi non possiamo sapere se non sia stata riportata dall’autore del Vangelo o se la sua omissione significa che Pilato non sia rimasto lì a udirla. Comunque la si intenda, Pilato al massimo l’ha udita, ma di certo non l’ha ascoltata.

Di fatto a questa domanda Gesù aveva già risposto qualche capitolo prima, quando Tommaso gli chiedeva la via da seguire:

Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (14,6).

Gesù è la verità, una verità che parla di amore, come il lascito ai suoi sta a indicare:

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (13,34-5).

Dunque in Gesù verità e amore coincidono: l’amore è la verità che Egli è venuto a testimoniare.

Ma questo Pilato non può saperlo e neppure potrà mai capirlo. Tuttavia la sua domanda rimasta senza risposta non ha mai smesso di risuonare fuori e dentro la Chiesa. Vedere allora come questo tema sia stato trattato nelle riscritture evangeliche può aiutarci a riflettere su che cosa implichino le tante affermazioni a proposito della verità.

Ne L’uomo che cammina di Christian Bobin si offre una buona esegesi del tema:

Dice di essere la verità. È la parola più umile che esista. L’orgoglio sarebbe dire: la verità, ce l’ho. La possiedo, l’ho messa nello scrigno di una formula. La verità non è un’idea ma una presenza. Nulla è presente fuorché l’amore. La verità: egli lo è per il suo respiro, per la sua voce, per il suo modo amorevole di contraddire le leggi di gravità, senza farci caso  (L’uomo che cammina, Qiqajon, p. 20).

 

 

La verità di Cristo, secondo Bobin, si fa presente nella sua parola disarmata:

Non si può prestar credito alla sua parola sulla base della potenza che ne è storicamente scaturita: la sua parola è vera solo in quanto disarmata (p. 21)

e nel suo stesso essere, che non ha ancora smesso di interrogarci – e di far risuonare la domanda di Pilato:

Il fatto che milioni di uomini si siano nutriti del suo nome, che abbiano dipinto con oro il suo volto e fatto risuonare la sua parola sotto cupole di marmo, tutto questo non prova alcunché riguardo alla verità di quest’uomo (p. 20-1).

La parola di Cristo è umile e impotente, non si autoimpone, ma chiede di essere ascoltata. Di conseguenza anche la sua verità non è roboante né tantomeno autoevidente. Invece va appresa, cercata e scoperta nella realtà di ogni giorno – o persino nell’inaudito: «Per parlare di Dio – sapendo che se ne può parlare solo a fatica o forse non se ne può parlare del tutto – a volte ho pensato che Dio si mettesse un naso rosso, che avesse un naso da clown… Perché ci sono delle evidenze che appaiono così, di colpo, nel vissuto quotidiano, sempre con un lato buffo, persino un po’ bislacco. Mi dico che la verità è sempre di quest’ordine. Per quel che mi riguarda, le lezioni più belle, gli appoggi più solidi, più profondi, mi si sono fatti incontro spesso con un lato comico» (C. Bobin).

Che cosa è verità? Per Bobin è l’uomo che cammina senza sosta, a cui il suo racconto non dà mai un nome, perché anche il suo personaggio chiede di essere riconosciuto negli schizzi con cui l’autore sceglie di ritrarlo. La verità, dice allora l’autore, è tale se la accogli e la segui. Una verità dimessa e folle, ma la sola possibile:

Coloro che ne seguono le orme e credono che si possa restare eternamente vivi nella trasparenza di una parola d’amore, senza mai smarrire il respiro, costoro, nella misura in cui sentono quello che dicono, sono forzatamente considerati matti. Quello che sostengono è inaccettabile. La loro parole è folle e tuttavia cosa valgono altre parole, tutte le altre parole pronunciate dalla notte dei secoli? Cos’è parlare? Cos’è amare? Come credere e come non credere?

Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana. (pp. 29-30)

 

Ma se la follia dovesse risultare incompatibile con l’idea che ci siamo fatti della verità, bisognosi come siamo di certezze rocciose, lasciamoci sfidare da un’enigmatica – ed estrema – affermazione di Fëdor Dostoevskij:

Se qualcuno dovesse provarmi che Cristo è all’infuori della verità, e che la verità giace davvero all’infuori di Cristo, allora sceglierei di stare con Cristo piuttosto che con la verità (lettera a Natalija Fonvizina)

 

Sieger Köder, La lavanda dei piedi

 

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  • In copertina: Tintoretto, Gesù davanti a Pilato (1566)

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