Compagni di solitudine. Klara e il sole
Scritto da MARIA NISII.
Quando eravamo nuove, Rosa e io stavamo a metà-negozio, sul lato del tavolo delle riviste, e vedevamo più di mezza vetrina. Perciò potevamo guardare fuori: i lavoratori di ufficio che andavano in fretta, i taxi, i runner, i turisti, Mendicante e il suo cane… (Kazuo Ishiguro, Klara e il sole)
Chi si esprime in prima persona all’inizio di questo romanzo del premio Nobel Ishiguro è Klara, un robot umanoide, che attende di essere acquistata da uno dei bambini che guardano la vetrina del negozio. Nel frattempo però si gode tutto quello che riesce a scorgere dalla postazione in cui la direttrice del negozio la sposta ogni settimana, perché – neanche a dirlo – Klara è affamata di conoscenze e soprattutto vuole comprendere tutta la gamma di emozioni che provano gli esseri umani: “Mi rendevo conto che se non fossi riuscita a decifrare almeno alcuni di quei misteri, quando fosse arrivato il momento non avrei saputo rendermi utile al mio bambino come dovevo” (p. 18-9). E una delle cose di cui si accorge è che i bambini hanno dipinta sul volto una specie di tristezza, anche se l’istante dopo possono scoppiare a ridere. Gli altri robot del negozio non notano niente e quando lei lo racconta, ne sminuiscono le impressioni. Solo la direttrice (o Direttrice, come lei la nomina – senza articolo e con la maiuscola, come non distinguesse i nomi propri dagli altri appellativi) comprende la sua speciale sensibilità.
Josie, una bambina di 14 anni, inizia a comunicare con lei attraverso la vetrina e sin dalla prima volta le strappa la promessa di essere ancora lì quando lei tornerà ad acquistarla. Naturalmente Klara sarà fedele all’impegno preso, anche se dovrà attendere molto più a lungo del previsto. E quando infine Josie tornerà con la madre, ci vorrà del tempo perché ritrovi il suo AA (amico androide, ovvero robot da compagnia per bambini): Klara infatti era finita nel retro del negozio per essersi mostrata restia ad altri tentativi di acquisto. Nelle settimane di attesa, mentre può ancora guardare fuori dalla vetrina, Klara ha notato diversi AA con i loro bambini e gli atteggiamenti assunti da entrambi. Anzitutto i robot non desiderano passare davanti al negozio, come preoccupati che i loro bambini si accorgano dell’esistenza di nuovi modelli più avanzati e volessero magari rimpiazzarli. Nota inoltre come alcuni bambini trattano i loro AA, tenendoli a distanza e con un certo autoritarismo.
Quando finalmente si trasferisce nella casa di Josie può vedere il luogo dove il sole (citato con la maiuscola, Sole, come personificandolo) va a riposare. L’alimentazione solare dei robot è interpretata da Klara come “un nutrimento speciale”, di cui possono beneficiare anche gli umani. Quando era nella vetrina del negozio aveva assistito a un “miracolo del sole” sul mendicante e il cane che stazionavano lì davanti e che un giorno aveva visti riversi a terra senza vita, mentre l’indomani erano lentamente tornati a vivere grazie al beneficio che il sole aveva riversato su di loro. I palazzi di fronte al negozio le impedivano di scorgere il percorso giornaliero del sole, ma dalla casa di Josie può perfettamente vedere l’orizzonte e il luogo in cui scompare: il palazzo del Sole, come lei e Josie chiamano il fienile di un vicino che vive al di là dell’ampio prato. Josie abita infatti in campagna in una casa isolata, dove non c’è nulla che possa impedire ai raggi solari di penetrare nelle stanze.
Molto presto Klara scopre che Josie è malata e, nonostante la presenza di una domestica, la bambina vive di fatto da sola perché la madre (la Madre) è fuori tutto il giorno al lavoro e lei segue una scuola domestica con lezioni impartite da pc (che Klara chiama l’oblungo come tutti gli apparecchi con schermo). Il male di Josie è misterioso e peggiora gradualmente dopo l’arrivo di Klara, costringendo la bambina a restare a letto sempre più a lungo per recuperare le forze. Ma i misteri non finiscono qui: Josie è una studentessa speciale e pertanto segue un percorso scolastico adatto a ragazziche sono stati “potenziati” con un intervento di editing genetico. Questo la isola dai coetanei, al pari degli altri ragazzi nella sua stessa condizione di “privilegio”. Ma in vista del reintegro a scuola con l’ingresso al college, i genitori di questi figli speciali organizzano “incontri di interazione” allo scopo di abituare i ragazzi a stare con gli altri. “Quando ci arrivai io, al college, avevo passato anni con gli altri ragazzi tutti i santi giorni. Ma per te e per quelli della tua generazione sarà dura se non vi allenate un po’. I ragazzi che si trovano male al college sono sempre quelli che hanno frequentato poco gli incontri” (p. 59), risponde la madre alle proteste di Josie.
A quegli incontri Josie non è più se stessa, quasi assumesse un volto “pubblico”, adatto alla socializzazione che ci si attende da lei. Per questo “cambia” e non difende Klara dai soprusi degli altri ragazzi che la trattano come fosse un giocattolo, e di fronte al rifiuto del robot di assecondarli, si lascia anche scappare una frase infelice – forse avrebbe dovuto comprare la versione più avanzata, ammette dopo il suggerimento delle coetanee. Ma poco dopo sembra tornare in sé, affermando qualcosa che dimostra come abbia compreso molto bene la natura del suo speciale AA: “Lei nota cose che nessun altro nota e le custodisce” (p. 71).
A parte Klara, Josie non è però completamente sola, in quanto nell’unica casa accanto alla sua abita un ragazzo (anche lui vive solo con la madre). I due coetanei sono cresciuti insieme e desiderano persino condividere il resto della vita. L’unico ostacolo al loro “progetto” è il diverso destino di Rick, che “non ce l’ha fatta” – eufemismo per dire che non è stato potenziato. Rick in realtà è un ragazzo geniale, ma la sua è un’intelligenza “diversa”, che si sviluppa al di fuori dai canali istituzionali e per questo dovrà faticare per trovare la sua strada.
La malattia di Josie non è però l’unico punto oscuro della famiglia. Klara viene infatti a sapere che in passato è morta la sorella maggiore di un male simile a quello di cui soffre ora Josie. Un giorno la madre porta Klara fuori casa e le chiede di “fare Josie”, cioè di cercare di imitare la figlia; il robot si presta senza fare domande ma raccoglie elementi che alla fine saprà mettere insieme. Pochi giorni dopo la salute della ragazza ha un brusco peggioramento e da quel momento si alza sempre meno dal letto, dormendo quasi tutto il giorno. Klara allora si chiede perché il sole non mandi “il suo aiuto speciale come aveva fatto per Mendicante e il suo cane […] Capivo ad esempio che, nonostante tutta la sua gentilezza, il Sole era molto occupato; che c’erano tante persone oltre a Josie bisognose di attenzione” (p. 103). E così decide di pensarci lei stessa: esce di casa risoluta a recarsi al palazzo del Sole.
Ma per un robot non è così facile orientarsi fuori casa, in mezzo all’erba alta e senza punti di riferimento in uno spazio tanto ampio. Il terreno poi sembra continuamente cederle sotto i piedi e lei teme di non arrivare in tempo per l’arrivo del sole al suo riposo serale. Per fortuna Rick l’ha vista dalla finestra e arriva in suo soccorso, aiutandola a raggiungere il luogo desiderato, salvo lasciarla sola per la sua “missione”, come lei stessa gli chiede.
Non pronunciai di fatto le parole ad alta voce, perché sapevo che al Sole non occorrevano. Ma desideravo essere più chiara possibile, perciò articolai nella mente qualcosa di simile a quelle parole, in modo rapido e silenzioso.
- Per favore, guarisci Josie. Come hai fatto con Mendicante […] Josie è ancora una bambina e non ha fatto niente di poco gentile (p. 145)
Per compensare la richiesta, Klara contratta con il Sole promettendo di fare qualcosa contro l’inquinamento che “tanto lo rattrista e fa arrabbiare”. Nei giorni in negozio aveva infatti notato una macchina che produce tanto fumo da oscurare il Sole, e che lei ora spera di riuscire a distruggere durante un’uscita in città con Josie e la mamma. Il piano di Klara sembra impossibile, ma quel giorno la famiglia si riunisce con il papà ingegnere, ed è grazie a lui se l’AA riesce nel suo piano. Tuttavia per danneggiare irreparabilmente la macchina inquinante, è necessario inserire al suo interno una sostanza che possa penetrarne gli ingranaggi, e secondo il padre la soluzione P.E.G. che si trova nella nuca di Klara potrebbe fare al caso loro. Si tratterà di prelevarne la metà di quanto occorre al robot per il suo funzionamento, dice il padre che pensa non dovrebbe nuocerle in modo significativo visto che la sua fonte energetica è soprattutto solare. Klara non ha esitazioni e lascia che il padre di Josie operi su di lei pur di salvare la ragazza malata.
Mentre Klara cerca di capire fino a che punto le sue funzioni siano state compromesse, purtroppo i giorni passano e Josie non migliora. La ragione è presto chiara anche al robot, che già sulla strada di ritorno verso casa aveva avvistato un’altra macchina inquinante come quella che aveva fatto sabotare. Il suo sacrificio sembra quindi essere stato inutile, tanto più che Josie ha un nuovo aggravamento, dal quale sembra non ci potrà essere ripresa alcuna. Klara però non si arrende e ancora una volta torna al palazzo del Sole, ma questa volta quello che offre è l’amore di Rick e Josie:
so quanto è importante per te che chi si ama possa tornare insieme, anche dopo molti anni. So che il Sole augura a quelle persone ogni bene, forse le aiuta perfino a trovarsi. Perciò, ti prego, considera il caso di Josie e Rick. Sono giovanissimi. Se Josie dovesse andarsene ora, sarebbero separati per sempre (p. 240)
Mentre Klara sta ancora formulando la sua richiesta, si accorge della presenza di una diversa fonte luminosa nel fienile: sette lastre di vetro accatastate hanno raccolto i raggi solari che ora riflettono. Ed è lì che Klara crede di scorgere riflessa “la faccia del Sole”, nelle sette figure sovrapposte che lei fissa intensamente fino alla fine del tramonto.
Questa volta Klara è certa che il Sole abbia ascoltato la sua richiesta.Sei giorni dopo un mattino il cielo si oscura insolitamente – e quasi apocalitticamente (in Ap 9 il suono della tromba del quinto angelo causa l’oscuramento del sole in pieno giorno, segno dell’intervento di Dio nella storia). Klara è all’erta e attende speranzosa. Mi fermo qui prima di rivelare il seguito per non far perdere il gusto della lettura, ma persuasa di aver seminato elementi sufficienti da raccogliere ora per comprendere il senso di questo lungo racconto che in apparenza non sembrerebbe offrire ragioni per essere ospitato in questo spazio dedicato alle riscritture bibliche e al tema religioso in letteratura.
Il palazzo del Sole di Klara richiama curiosamente il monolite di 2001 Odissea nello spazio di Stanely Kubrick, una presenza misteriosa che appare già all’inizio del film quando la Terra primordiale è abitata da un gruppo di ominidi. Il parallelepipedo nero e lucido attira l’attenzione di questi antenati degli umani, ispirando il leader del gruppo nel gesto di afferrare un osso e usarlo come un utensile (o arma). La musica che caratterizza per tutti quel passaggio è Alsospracht Zarathustra di Strauss, caricando di inquietudine il futuro che si delinea per quel mondo in auge, col movimento in ralenti, le inquadrature sulle ossa e sugli altri animali uccisi.
Il monolite di Odissea nello spazio secondo alcuni critici è una rappresentazione geometrico-tridimensionale, perfetta ma oscura, dell’idea del divino, che in un film di fantascienza aggiunge una nota di mistero che non si chiarirà neppure a conclusione del film. Analogamente nel romanzo di Ishiguro il Sole è una sorta di divinità per i robot che da esso traggono l’energia (nutrimento) necessaria al loro funzionamento. Sensibile e attenta a tutto quanto la circonda, Klara lo personalizza ritenendolo in grado di compiere azioni miracolose, tanto da rivolgergli quella che a tutti gli effetti è una preghiera di richiesta, controbilanciata da un’offerta di sacrificio che richiederà il sacrificio di sé perché Klara di fatto dopo il prelievo della soluzione P.E.G. non sarà più la stessa, ma rallentata e con la vista molto peggiorata.
La prima volta che scorge il palazzo del Sole, Klara lo descrive come “una forma scura fatta a cubo” (p. 50). E in effetti il fienile del vicino è più una tettoia che un vero capanno, in quanto aperto sui due lati. Anche qui troviamo dunque una rappresentazione geometrica, scura e misteriosa, associata all’idea del divino che parrebbe ben adattarsi al genere fantascientifico. Inoltre alla seconda visita Klara ottiene una visione del Sole che sembra quasi richiamare Mosè quando dialoga con Dio faccia a faccia. E non casualmente la luce è uno dei simboli per il Dio biblico (cfr https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/stelle-leva-gli-occhi-al-cielo).
Klara si fida del dio-Sole mentre gli uomini e le donne con cui vive e interagisce si fidano solo della tecnica, affidando le loro speranze all’impiego manipolativo della genetica,all’interno di quello che a tutti gli effetti è un regime che seleziona e scarta. In questo delirio collettivo, molti genitori sono disposti a sacrificare i loro figli: la sorella di Josie è morta e la madre rischia ancora potenziando anche la seconda figlia, nonostante il dolore che questo le arreca, come se non ci fosse altra possibilità. O il successo o la morte: “in Josie, ogni cosa dal momento in cui l’ho avuta in braccio per la prima volta, tutto in lei mi diceva che aveva fame di vivere. Il mondo intero la entusiasmava. Ed è per questo che ho sempre saputo, fin dal principio, che non avrei potuto negarle l’opportunità. Josie esigeva un futuro all’altezza della sua energia” (p. 245).
In questo romanzo tutto quello che il lettore ha per comprendere il mondo distopico di Klara e il sole è il punto di vista infantile del robot umanoide, spesso spiazzante perché richiede di decodificare l’uso insolito delle parole, il suo rivolgersi agli altri alla terza persona o il tentativo di comprendere quanto la circonda in mancanza di spiegazioni o di una guida che la istruisca. La sua vista poi in alcune circostanze si presenta a griglie, divisa in tanti quadrati come in una scomposizione cubista, segno di una percezione astratta e quasi incomprensibile del mondo degli umani: “La Madre si sporse un po’ di più sul tavolo sempre strizzando gli occhi e ora la sua faccia riempiva otto riquadri, lasciando solo i periferici alla cascata, e per un momento mi parve che la sua espressione variasse da un riquadro all’altro. In uno, per esempio, i suoi occhi ridevano in modo cattivo, ma in quello accanto erano pieni di tristezza” (p. 93). Un tale punto di vista crea volutamente una distorsione percettiva, perché chiede al lettore di ricomprendere l’umano per quello che appare agli occhi di un robot. E in fondo anche il robot-narratore è una specie di manipolazione genetica della letteratura…!
Sebbene composta di circuiti, Klara apprende a provare sentimenti, si affeziona, prova gioia e dolore. Sacrifica perfino se stessa per la ragazza a cui è stata assegnata e alla fine accetta di essere tenuta nel ripostiglio fino al suo “lento declino” quando è oramai diventata inutile. È stata compagna di una solitudine incurabile, sostituto di amicizie e attenzioni, ma sarà messa da parte come qualunque oggetto che non serve più, come un’aspirapolvere che ha smesso di funzionare. Nella sua “coscienza” di robot però non teme quel momento – al contrario dei giocattoli umanizzati di Toy Story che guardano con orrore al loro bambino che sta crescendo. Klara non è un giocattolo, ma non farà una fine migliore. Gli umani non hanno pietà per i loro simili, come potrebbero averne per i loro Amici Artificiali?
In questa storia il mondo degli androidi appare meno inquietante di quello degli umani. Sono loro ad aver creato una separazione tra i ragazzi perchè migliorino le loro capacità e prestazioni, ma pure causandone il male che può portarli alla morte. Klara si è subito accorta di questo male oscuro, notando la tristezza negli occhi dei bambini che passavano al di là della vetrina. Ma una delle questioni cruciali che pone questa storia dal tono solo apparentemente infantile è se l’essere umano possieda qualcosa di unico e irripetibile o se sia, come sostiene uno dei personaggi, assolutamente “sostituibile” e “riproducibile” da un robot – la Madre aveva infatti chiesto a Klara di imparare a “fare Josie”, per sostituirne (o prolungarne) la presenza nel malaugurato caso in cui la figlia non fosse sopravvissuta.
La nostra generazione si trascina appresso sentimenti del passato. Una parte di noi si rifiuta di lasciarli andare. La parte che si ostina a voler credere che ci sia qualcosa di inaccessibile dentro ognuno di noi. Qualcosa di unico e non trasferibile. Ma non esiste niente di simile, e ora lo sappiamo […] Non c’è niente là dentro. Niente dentro Josie che le Klare di questo mondo non possano proseguire. La seconda Josie non sarà una copia. Sarà esattamente identica e tu avrai tutto il diritto di amarla come ami Josie, né più né meno. Non è di fede che hai bisogno. Solo di razionalità(p. 184-5).
Questa tesi è persino sostenuta dal padre di Josie:
Credo di odiare Capaldi perché in cuor mio sospetto che abbia ragione. Che quanto sostiene sia vero. Che la scienza abbia ormai dimostrato al di là di ogni dubbio che non c’è niente di tanto unico in mia figlia, niente che i nostri strumenti moderni non sappiano portare alla luce, copiare, trasferire. Che le persone sono vissute insieme per tutto questo tempo, per secoli ormai, amandosi e odiandosi e sempre sulla base di un presupposto sbagliato. Una specie di credenza superstiziosa che abbiamo mantenuto in vita, per ignoranza(p. 196-7).
Nonostante la sorte avversa, questo padre ingegnere sembra accettare la nuova versione delle cose offerta dalla ricerca scientifica e tecnologica. L’amore per la figlia è ancora un ostacolo per la piena accoglienza, ma quanto a sé ritiene che quel cambiamento sia una sorta di necessità: “Vivo con persone veramente in gamba, gente a cui perlopiù è toccata la mia stessa strada. Ormai abbiamo tutti ben chiaro che sono tanti i modi in cui si può vivere una vita piena e dignitosa. […] E comunque non ho esattamente perso il lavoro. Fa parte dei cambiamenti in atto. Ciascuno ha dovuto trovare vie nuove” (p. 203). L’anelito alla dignità non è venuto meno, ma si cercano “vie nuove” per realizzare una pienezza di vita. Amore e odio, famiglia e lavoro esistono ancora come parole ma i concetti sono ormai ritenuti superstizioni, legati a un passato in cui non si possedevano le attuali conoscenze.
Il padre di Josie, che pure era “era un vero talento”e “un astro nascente” come racconta la moglie, ha vissuto tutto questo sulla sua pelle per essere stato a sua volta rimpiazzato da un androide in grado di fare tutto quello che lui faceva, forse meglio, sicuramente in modo più veloce e indubbiamente più controllato. Eppure questa sua esclusione dal mondo produttivo ufficiale, che lo ha confinato in una comunità di esclusi geniali, lo ha liberato da un sistema costrittivo. In quel sistema però moglie e figlia sono totalmente immerse, persuase della sua giustizia al punto da accettare la separazione dal congiunto. Una separazione che sembra essere toccata alla gran parte delle famiglie, visto che tutte quelle presentate appaiono monoparentali, per quanto tale condizione parepiù una necessità del sistema in atto che frutto di conflitti di coppia.
Un mondo siffatto separa, isola ed esclude. In modo diverso tutti i personaggi (umani) della storia sono quindi “soli”, ma come comprende Klara questa solitudine è per loro insopportabile: “ciò che mi diventava ogni giorno più chiaro era fino a che punto gli umani, pur di evitare di sentirsi soli, potessero compiere manovre molto complesse e pressoché incomprensibili” (p. 101). Non per niente ai bambini vengono regalati robot da compagnia, le madri si fanno produrre bambole con le fattezze dei figli che hanno perduto, gli adolescenti hanno bisogno di incontri organizzati con i coetanei perché non sanno interagire tra di loro, gli adulti single finiscono col riunirsi in piccole comunità (le madri dei potenziati, i lavoratori sostituiti).
A questo mondo distopico non si attribuisce un nome, ma in un paio di occasioni fa capolino la parola “fascismo”, assieme all’istanza di sicurezza e ad alcuni pericoli e disordini, che inevitabilmente una tale società causa e dai quali è bene proteggersi quasi in ogni modo.Sin da bambini gli uomini e le donne si preparano a competere tra di loro e con i robot, dei quali devono temere la concorrenza. I bambini però trattano i loro amici androidi come schiavi da comandare, mentre gli adulti presentano ancora un atteggiamento ambivalente, ritenendoli un’opportunità o al contrario fonte di angoscia.
Ma come sempre accade, questi specchi distorti stanno in realtà rappresentandoil nostro mondo e perché questo sia più chiaro deve poter apparire l’altra possibilità, per quanto impossibile. E tuttavia di questa possibilità impossibile si deve sentire una vaga nostalgia, che in questo romanzo è espressa da un androide:
quel giorno il Sole sorvegliava il cortile, perciò deve sapere quanto ci ho provato e come mi sono sacrificata, cosa di cui sono molto contenta, anche se forse le mie capacità non sono più quelle di un tempo. E deve anche aver visto come il Padre abbia fatto del suo meglio per aiutare, pur non sapendo nulla del gentile accordo del Sole, solo perché aveva visto la mia speranza e aveva avuto fede(p. 238).
Nel linguaggio di Klara ritroviamo i concetti di fede, speranza e carità (dimostrata dal sacrificio), o quel che resta delle virtù teologali, nella “preghiera” rivolta al Sole. Gli umani hanno perso quelle parole né sono più capaci di rivolgersi al divino, ma ne hanno trasferito la possibilità nei robot, che assecondano nelle loro “superstizioni” (il rivolgersi al Sole), convinti che la cosa non possa far del male. Speranza e carità sono però attribuite al robot ed è ancora il robot che crede nella possibilità del miracolo. All’umano resta la fede– e il timore –non in Dio, ma nelle macchine.