E questo è il fiore del partigiano
Scritto da LORENZO CUFFINI .
Le Lettere dei condannati a morte della Resistenza sono un vero sacrario verbale, memoria viva della coscienza personale e civile di un intero popolo, espressa nei modi e nelle forme più immediati intimi e solenni. Si tratta di ” un genere eccezionalissimo di testimonianze; tutti, estremi addii di condannati a morte, di giustiziati. Quali possono essere i pensieri di un’ultima ora che non ha altra eguale in drammaticità? Quali prevalgono in quel terribile istante, anche nello spirito più forte e sereno, nel quale la capacità di dominarsi e di raccogliere in una netta e obiettiva visione fatti e giudizi è sovrastata dalla preoccupazione di nascondere debolezze e tormenti all’angoscia dei famigliari?”
” Queste lettere sono spesso di pochissime righe, ma possiamo tutte chiamarle lettere? Talora è solo un saluto convulso, un avviso segreto, un grido. Lasciato sulla porta del carcere di Monza, tracciato a tergo di un assegno circolare, graffito con la punta di un chiodo sul muro di una cella di via Tasso, o con uno spillo sulla copertina di una Bibbia.”
Così ne scrive Franco Antonicelli, che era stato presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, nel saggio “Per una storia spirituale della guerra di liberazione“. Pur con le caratteristiche ricordate, che ne fanno un documento unico e eccezionale, e con il viluppo di motivazioni urgentissime compresse a forza in tempi e spazi che non erano loro dati, questi uomini e donne, per lo più giovanissimi, nella disomogeneità delle situazioni personali, delle storie, della loro formazione, trovano il modo di esprimere “…parole di tenerezza per la famiglia (il culto, la forza e la ragione di pietà e di sollecitudine di tutti i condannati), per se stessi, per la propria memoria. Un pensiero pietoso anche del proprio corpo. Proteste di amore, inviti all’amore, nell’ ambito caro e tradizionale della famiglia, genitori, spose, figli. E come un naturale ampliamento di quell’amore, il senso pacato, cosciente, superiore del perdono. Non una parola di vendetta personale, di rancore, di esecrazione.”
Come se in quel momento ultimo e definitivo, anche l’odio e la rabbia perdessero la loro tragica consistenza. Personalmente, per tutte queste ragioni, ogni qual volta ascolto e canto il verso più amato e popolare della canzone per eccellenza dei partigiani , Bella Ciao, ” è questo il fiore del partigiano, morto per la libertà”, sono queste Lettere a venirmi spontaneamente in mente.
Aldilà del valore civile che tutte le accomuna e che tutti – nessuno escluso- ci riguarda, in non poche di esse si trova, a diversi livelli, una dimensione religiosa, un fondamento cristiano, un richiamo a Dio e talora alla Chiesa. Puo’ trattarsi di rapidi accenni, o invece di autentiche schegge incandescenti di preghiera e attestazione di fede. In certi casi, chi scrive cerca il modo e la forza per dare – e lasciare a chi legge – oltre alla testimonianza della propria azione per la libertà, una visione di insieme che dia senso e prospettiva cristiana alla tragedia che sta per concludersi per lui, e iniziare per chi gli sopravviverà. In alcune situazioni, è una vera e propria proclamazione di un Credo, un dare carne e contenuto e storia ai valori del vangelo, che diventa spirito e forma della propria stessa vicenda. E’ come se, nel buio e nell’orrore, anche nell’eroismo che emerge da quelle Lettere, risuonasse improvvisamente la Buona Novella: annunciata, testimoniata, vissuta fino al ” tutto è compiuto”. Chi crede , in questi casi, non può che ritrovarci il sapore e l’odore del Calvario. E le parole scritte, nella loro inevitabile semplicità, oltre a quelli fondamentali che già hanno, prendono una forza e uno spessore tutti diversi. “Certe pagine di caduti nella guerra di liberazione, le abbiamo lette umilmente, come si legge una preghiera o un testamento, ma a ben altro pensavamo che alla poesia », per dirla con Cesare Pavese.
Senza aggiungere altro, a titolo di esempio, propongo una di queste lettere.
In nota, il richiamo alla vicenda personale di chi le ha scritte, come riportato dal sito/archivio online http://www.ultimelettere.it/, Ultime lettere di condannati a morte e deportati della resistenza italiana.
Miei carissimi genitori, sorelle,
fratello, nonna,
zii, zie e cugini,
Il Signore ha deciso, con i
suoi imperscrutabili disegni, che
io mi staccassi da voi tutti
quando avrei potuto essere
di aiuto alla famiglia;
sia fatta la sua Santa Volontà.
Non disperatevi, pregate piut=
tosto per me affinché Lo
raggiunga presto, e per voi
affinché possiate sopportare il
distacco.
Tutta la vita è una prova,
io sono giunto alla fine,
ora ci sarà l’esame,
purtroppo ho fatto molto
poco di buono; ma almeno
muoio cristianamente e questo
deve essere per voi un gran
conforto.
Vi chiedo scusa se mi
sono messo sulla pericolosa
via che mi ha portato al=
la morte, senza chiedervi il
consenso; ma spero mi
perdonerete come il Signore
mi ha perdonato qualche
minuto fa per mezzo del
suo ministro.
Domattina prima dell’ese=
cuzione della condanna farò
la S. Comunione e poi …..
Ricordatemi ai Reverendi
Salesiani e ai giovani di A-C.
affinché preghino per me.
Ancora vi esorto a
rassegnarvi alla volontà
di Dio; che il pensiero della
mia morte preceduta dai
Sacramenti vi sia di conforto
per sempre.
Immagino già le lagrime
di tutti quanti quando leggerete
questa mia, fate invece che
dalle vostre labbra anziché
singhiozzi vi escano preghiere
che mi daranno la salute
eterna.
Del resto io dall’alto
pregherò per voi.
Ora carissimi, vi saluto
tutti per l’ultima volta;
vi abbraccio con affetto filiale e
fraterno; questo abbraccio
spirituale è superiore alla
morte e ci unisce tutti nel
Signore. Pregate!
Vostro per sempre
Mario.
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- Mario Bettinzoli
Di anni 22. Nato il 21 novembre 1921 a Brescia ed ivi residente. Di professione perito industriale. Chiamato alle armi nel dicembre 1941, frequenta il corso Allievi ufficiali a Nocera Inferiore (SA) ed ottiene il grado di sottotenente di complemento dell’artiglieria del Regio esercito italiano. Assegnato alla caserma della Cecchignola, a Roma, dopo l’armistizio partecipa alla difesa della capitale. Catturato e condannato a morte dai tedeschi, riesce ad evadere e a tornare nella sua città natale. Nell’ottobre 1943 si rifugia in Val Sabbia, dove organizza le prime formazioni partigiane della zona assieme a Giacomo Perlasca. Divenuto vice-comandante del battaglione Fiamme Verdi (da lui stesso fondato) e comandante della 3ª compagnia, s’incarica principalmente di programmare ed allestire i campi di lancio. Il 18 gennaio 1944 Bettinzoli si reca a Brescia in compagnia del diretto superiore Giacomo Perlasca, allo scopo di fare rapporto al Comando provinciale partigiano. Sorpresi da alcuni elementi della polizia federale fascista, i due sono immediatamente arrestati e consegnati alle autorità germaniche. Interrogati e torturati per tre giorni nella caserma Arsenale di Via Crispi, il 21 gennaio vengono trasferiti nelle carceri cittadine. Dopo quasi un mese di detenzione, il 14 febbraio 1944 il tribunale militare tedesco li processa e li condanna a morte quali organizzatori di bande armate. La sentenza è eseguita mediante fucilazione, il giorno 24 dello stesso mese, presso la caserma del 30º reggimento artiglieria di Brescia. Alla sua memoria è stata conferita la medaglia di bronzo al valor militare. http://www.ultimelettere.it/?page_id=35&ricerca=222
…mentre si schierano i dodici militi che compongono il plotone di esecuzione. Bettinzoli stringe in mano una reliquia di don Bosco e un piccolo Crocifisso. Il cappellano, dopo l’ultima assoluzione, gli chiede il crocifisso e la reliquia che tiene stretti nelle mani: «No, dopo – risponde -e li consegnerà alla mia famiglia». ( tratto da : https://excelsiorsdb.blogspot.com/2016/10/bettinzoli-mario-figure-esemplari.html?m=0 )
- L’immagine di copertina è di MAURO BIANI, 2020 .
- Le parole di Franco Antonicelli e quelle di Cesare Pavese sono tratte da https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1952_16-21_10.pdf