“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme” (Mc 10, 33)
Scritto da NORMA ALESSIO.
La cappella della Sindone ci dà l’opportunità, durante tutto il periodo della Quaresima, di meditare sul dono di grazia incommensurabile che è la Redenzione attraverso la partecipazione intima al mistero della morte e Resurrezione di Gesù. Possiamo cogliere il messaggio che Guarino Guarini ha voluto trasmettere con questa sua opera architettonica, sia attraverso le forme degli elementi strutturali che con i simboli e la luce. Se nei dipinti sono facilmente riconoscibili i riferimenti biblici, perché è solo lo sguardo che entra direttamente in gioco, nelle architetture conta la percezione degli spazi, delle forme dei particolari, in relazione anche con gli effetti del variare della luce nelle diverse ore del giorno e delle stagioni.
Cerchiamo allora di entrare nella natura mistica della luce di questa cappella “speciale” pensando che è stata il contenitore del “santo telo” dove è impressa un’immagine che, seguendo il racconto evangelico, si può accostare alla parte finale della vita di Gesù e che rappresenta lo “specchio del Vangelo”, come l’ha definito san Giovanni Paolo II. Consiglio di andarla a visitare con questo atteggiamento e soffermarsi a riflettere prendendo spunto dai commenti che propongo.
Entriamo quindi nella Cappella della Sindone, attualmente dall’accesso al piano nobile di Palazzo Reale:
e alziamo lo sguardo: abbiamo la visione della cupola nella sua grandiosità.
La realizzazione di una cupola è stata l’ossessione di generazioni di architetti, la sfida più difficile che abbiano dovuto affrontare dal punto di vista costruttivo. Le varie forme date alle cupole hanno tutte il significato simbolico del cosmo, la volta celeste, ponte tra l’uomo e l’altro mondo secondo le diverse culture religiose.
Quando Guarino Guarini, architetto, ma al tempo stesso teologo, mistico e sperimentatore, matematico e astronomo, nel 1667 subentra come progettista della cappella, si trova vincolato dalla pianta circolare e dalla posizione elevata, in quanto doveva avere la comunicazione con il piano nobile di Palazzo Reale da un lato e dall’altro l’accesso dalla cattedrale attraverso delle rampe di scale ai fianchi dell’altare maggiore. Guarini doveva realizzare il luogo dove sarebbe stato posto il “santo telo” per la venerazione dei fedeli, ma – applicando la simbologia alle regole matematiche e geometriche – ha trovato la soluzione per far andare oltre a ciò che percepiscono i sensi, provocando un impatto psicologico dello spettatore. Non ci sono stucchi policromi o pitture sulle superfici interne della cupola, ma solo sovrapposizione e rotazione di elementi strutturali elementari, come esagoni e archi che si rimpiccioliscono sempre più, e le aperture sapientemente inserite.
Guarini è riuscito a creare nella parte più alta della costruzione un’illuminazione della massima intensità che entra dalle enormi finestre, in contrasto con la penombra della parte sottostante, dando la sensazione che questa immane struttura voltata si sollevi da terra e si allontani verso l’alto. Al vertice della struttura è ancora la luce, che si modifica diventando avvolgente e diffusa per l’immagine del cielo con la stella-sole raggiata appesa: essa accoglie la colomba dello Spirito Santo come il “Consolatore”, che il Padre manderà nel suo nome dopo la morte e risurrezione di Gesù (Gv 14,26).
La luce parte fioca, penetrando da aperture appositamente studiate per una luminosità soffusa e attenuata che va sulle due scale laterali
ora purtroppo non accessibili al pubblico dal duomo, per accompagnare il fedele alla scoperta della reliquia in un percorso di graduale avvicinamento alla cappella “…dotato di una coinvolgente dinamica emotiva: al piano di arrivo di una ascesa ostica, immersa nella penombra, di contro ai trentaquattro gradini convessi come una cascata si riversano sul visitatore, i vestiboli predispongono una pausa di attesa per la scena successiva, invitando a varcare la soglia della cappella attraverso lo schermo di colonne per scoprire, solo allora, la meraviglia della cupola” ( Da La costruzione della visione nella cappella della Sindone a cura di Giuseppe DARDANELLO[1], in “Guarini” Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, ALLEMANDI, TORINO 2006).
Ogni particolare è stato studiato con estrema eleganza, non tralasciando i segni allusivi dei momenti della passione di Gesù: ecco che abbiamo le croci sulla volta interna, la corona di spine e i chiodi (riconoscibili per somiglianza alla corolla e ai pistilli di un fiore come la passiflora), la scritta INRI del cartiglio sui capitelli delle colonne
All’esterno la cupola finisce in una piramide, sul cui vertice c’è un globo sormontato da una croce cinta dagli emblemi della Passione.
I simboli hanno come propria caratteristica quella di “far pensare”, ossia non svelano immediatamente il loro significato ma si lasciano scoprire.
Al centro della cappella, c’è la traccia di uno scrittore improvvisato che ha riscritto la scrittura: il fuoco; i segni – molto visibili – dell’incendio del 1997, che ha portato a una temperatura di 1000°C i materiali che componevano l’“altare reliquiario” realizzato su progetto di Antonio Bertola nel 1694. È rimasto solo il suo scheletro,spoglio e senza le decorazioni in legno dorato.
Sulla parte superiore vediamo ciò che resta del recinto dove è stata per molto tempo presente la cassa che ha contenuto il sacro telo, ora vuoto perché collocato in altro luogo.
Fu realizzato in marmi neri arricchiti da decorazioni e sculture in legno dorato, elevato su più gradini e cinto da una balaustra di legno con due fronti: uno rivolto verso il Duomo e l’altro verso Palazzo Reale. Quattro angeli con i simboli della Passione sui lati dell’urna e otto putti, alcuni dei quali portanti i chiodi della croce. Tutto questo per ora non lo vediamo più -tornerà dopo i restauri – ma la riscrittura lasciata dall’incendio su questo altare, anche se non più materialmente presente il sacro telo, evoca quello che Giovanni Paolo II aveva detto durante la visita pastorale a Torino il 24 maggio 1998 :
“La Sindone è immagine del silenzio. C’è un silenzio tragico dell’incomunicabilità, che ha nella morte la sua massima espressione, e c’è il silenzio della fecondità, che è proprio di chi rinuncia a farsi sentire all’esterno per raggiungere nel profondo le radici della verità e della vita. La Sindone esprime non solo il silenzio della morte, ma anche il silenzio coraggioso e fecondo del superamento dell’effimero, grazie all’immersione totale nell’eterno presente di Dio. Essa offre così la commovente conferma del fatto che l’onnipotenza misericordiosa del nostro Dio non è arrestata da nessuna forza del male, ma sa anzi far concorrere al bene la stessa forza del male. Il nostro tempo ha bisogno di riscoprire la fecondità del silenzio, per superare la dissipazione dei suoni, delle immagini, delle chiacchiere che troppo spesso impediscono di sentire la voce di Dio.”
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[1] Laureato in architettura, Dottore di ricerca in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica presso il Politecnico di Torino (1992), Post-dottorato all’Università di Torino (1994). Ha coordinato per la Cappella della Sindone (2002-2006), a seguito dell’incendio del 1997, le ricerche e i rilievi che hanno consentito di ricostruire le tecniche progettuali e costruttive messe in opera da Guarini.