Francesco, Carmen e il corpo violato delle donne

26 Agosto 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da   LORENZO CUFFINI.

 

“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Nato da donna: così è venuto Gesù. Non è apparso nel mondo adulto ma, come ci ha detto il Vangelo, è stato «concepito nel grembo» (Lc 2,21): lì ha fatto sua la nostra umanità, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Nel grembo di una donna Dio e l’umanità si sono uniti per non lasciarsi mai più:

La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna. Le donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità.” ( Papa Francesco, Omelia 1 gennaio 2020)

 

Quella dei femminicidi è ormai diventata una lunga lista di morte che si snoda lungo tutti i periodi dell’anno, in ogni parte del nostro paese, traversando fasce di età diverse e tutte le classi sociali: i giornali ne rigurgitano. Per quanto vengano scomodati analisti e sociologi, ad ogni nuovo caso si rivivono lo smarrimento e la incredulità, acuiti dal ripetersi, con poche variazioni, di un copione in larga parte sempre uguale a se stesso. Né la conoscenza del fenomeno, né la sensibilizzazione culturale sembrano  per il momento portare frutti apprezzabili.

Non che l’accanirsi sul corpo della donna da parte del maschio sia una novità dei nostri tempi. Affonda anzi le radici in qualcosa che risulta talmente radicato da sembrare primitivo. La violenza che si esprime in queste mattanze,  è sempre manifestazione di una volontà cupa e pervicace di possesso a tutti i costi  e di dominio assoluto sulla donna, e scatta nel momento in cui entrambi sono avvertiti in pericolo o, peggio, del tutto compromessi

C’è un’opera lirica che bene illustra la dinamica malata che si manifesta in queste situazioni. E’ Carmen, di Bizet. La prima volta che personalmente la vidi a teatro, trovai rappresentata  la storia di una donna mantide: una sensuale peccatrice libera e selvaggia, una pericolosa rovina/ uomini,  rovina/famiglie e rovina/società…il prototipo della donna del peccato (quale eco familiare risuona automaticamente alle orecchie di noi cattolici!)  pronta a portare dritto alla perdizione – umana, spirituale e civile – uno sciagurato brigadiere che per lei perdeva testa , decoro e anima . In realtà questo modo di narrare è  solo uno dei possibili, naturalmente,e a ben vedere  rappresentava il punto di vista del protagonista stesso,  Don José.  Forse anche  quello della società e del buon senso comune. Entrambi a considerare come una minaccia mortale questa donna molto piu’ che ai margini, fuori dalle regole, senza morale e senza principi, se non quello della propria assoluta libertà.

Occhio: questo modo di vedere le cose, non è poi del tutto tramontato. Il mito della donna in grado di portarti alla rovina con il suo solo essere pericolosamente  femmina, unito a quello gemello della donna che finisce male perché dai e dai se l’è cercata, sopravvivono intatti nello zoccolo duro del pensiero maschile e nel subconscio macista. Diceva  mio nonno a noi nipoti maschi, in dialetto: attenzione a quelle donne che sono “bestie senza coda”, tu pensi di averle e loro ti scappano senza che tu possa in qualche modo afferrarle, trattenerle, tenerle con te. Sono passate tre generazioni, ma il concetto, magari non più espresso esplicitamente, alligna, sopravvive, prospera.

La storia che vediamo raccontata in Carmen è il paradigna di ogni femminicidio: e l’opera, se fosse per me, andrebbe oggi ribattezzata ” Don José”  perché è lui, e non la procace sigararia, l’eroe negativo. Colui che distrugge e rovina persone, famiglie, vite: fno ad ammazzarle. In lui scopriamo molte delle dinamiche che i fatti tragici di cronaca di questi anni ci mettono davanti agli occhi. Uomini all’inizio e apparentemente innamorati, anche  molto innamorati, che si fanno rapidamente ossessivi, possessivi, gelosi patologici, e, al sopraggiungere della crisi del rapporto e della volontà di rompere da parte della donna ormai perseguitata da loro stessi, diventano rapidamente costrittivi, distruttivi, violenti verbalmente e fisicamente, assassini. Così è proprio Don José: un uomo d’armi, un brigadiere con un suo ruolo socialmente apprezzato e definito, una madre adorante (e vagamente opprimente) che lo attende a casa, una fidanzata (caldeggiata dalla sudddetta madre ) devota e pia e mansueta ai limiti della macchietta, che sogna di sposarlo, su insistenza di mammà che, naturalmente, lui pare disposto ad accontentare. Lavoro, posizione, ruolo di buon figlio, di  ragazzo di campagna di sani valori, attaccato al reggimento, pronto al grande passo: tutto sembra ben avviato per lui sulla strada della rispettabilità canonica e del si fa cone si deve fare. L’incontro con Carmen butta all’aria questo bel  castello? Certo che sì: ma, prima di tutto, perché si trattava di un castello di carte fragilissimo. Certo, il ragazzo perde la testa completamente per quella sigaraia sensualissima, carnale  e provocante che gli si offre, lo induce a lasciarla fuggire una volta sotto la sua custodia, e ne determina  così l’arresto e l’essere degradato, militarmente parlando. Ma, all’inizio, la cosa pare stargli bene così, e il brigadiere si fa senza fiatare due mesi di galera , dai quali esce più inamorato e convinto di prima alla ricerca di Carmen. I due si trovano, e la cosa va avanti.Ma i primi segni di una gelosia possessiva compaiono già da subito.

Al primo screzio, la scena è questa.

DON JOSÉ ( con violenza) Tu m’ascolterai! Sì, tu m’ascolterai !Io lo voglio, Carmen, tu m’ascolterai

(Con la mano sinistra ha preso bruscamente il braccio di Carmen; con la mano destra cerca sotto la giacca dell’uniforme il fiore di gaggìa che Carmen gli ha gettato al primo atto. Mostra il fiore a Carmen)

E successivamente, in un rapido crescendo di scena in scena:

DON JOSÉ : Dai, Carmen… Se ti ho parlato troppo duramente, ti chiedo scusa, facciamo la pace.

CARMEN No.

DON JOSÉ: Allora non mi ami più?

CARMEN

Quello che è certo è che ti amo molto meno di prima… e se continui a prendere quegli atteggiamenti, finirò per non amarti del tutto… Non voglio essere tormentata, né soprattutto comandata. Quello che voglio è di essere libera di fare quello che mi piace.

DON JOSÉ : Sei il diavolo, Carmen?

CARMEN

DON JOSÉ… Se tu mi parli ancora di separarci e se tu non ti comporti con me come io voglio che tu ti comporti…

CARMEN : Mi ucciderai, forse? Alla buon’ora! Ho visto più volte nelle carte che noi dobbiamo finire insieme.

DON JOSÉ: Sei il diavolo, Carmen?

CARMEN: Ma sì, te l’ho già detto…

Da notare che Carmen, come risulta da molte delle storie che finiscono in tragedia ai nostri giorni, sa e capisce che c’è una volontà di distruzione e di morte da parte dell’uomo che ha di fronte. Ma questo non la salva , dal momento che è il maschio che in tutti questi casi non si rassegna, bracca sempre piu’ da vicino la sua preda e alla fine la uccide veramente.

DON JOSÉ (a Carmen, minaccioso, ma trattenendosi): Bada a te…Carmen, Sono stanco di soffrire!

(Carmen gli risponde con una scrollatina di spalle e s’allontana da lui) Poi, quando lo invita ad andarsene:

DON JOSE’: Tu mi dici di andare…Perché tu… possa correre dietro al tuo nuovo amante! No! no davvero! Dovesse costarmi la vita, No, Carmen, non partirò! E la catena che ci lega ci legherà fino alla morte!… Dovesse costarmi la vita, No, no, no, non partirò! Ah! ti tengo, dannata,Ti tengo, E ti forzerò a subire il destino che unisce la tua alla mia sorte! Dovesse costarmi la vita, No, no, no, non partirò!

 

Così si arriva alla conclusione. All’ ultimo atto, di nome e di fatto: anche qui la scena si muove sui binari che abbiamo imparato a conoscere dai drammi che la cronaca ci racconta. Carmen l’ha lasciato, se n’è andata per la sua strada, ora ha un altro uomo e un’altra storia: ma è Don Josè che non se ne vuole andare, non se ne va, e che la cerca, e la ritrova e la pedina e vuole incontrarla ancora. E’ “l’ultimo incontro“, la richiesta di un ultino chiarimento, quel pasaggio che gli esperti in psicologia e i criminologi di oggi esortano a NON accettare mai: è quasi sempre in quell’occasione che il delitto si concretizza e la donna viene uccisa. Anche sulla scena, le due amiche di Carmen, che hanno scorto Don José tra la folla a pedinare Carmen, la consigliano a fuggire, o perlomeno ad evitarlo. Come hanno fatto tante sue colleghe odierne di sventura, Carmen non ascolta e va all’incontro. Come pare che accada anche nella realtà vissuta, è il culmine della tragedia. L’uomo mette in opera tutto l’armanetario che ha a disposizione; lusinghe, promesse, sentimenti, scuse, minacce, proposte di nuovi inizi  di mirabolanti cambiamenti. Davanti alla negazione reiterata da parte della donna di ogni possibilità di futuro, la condanna, già prestabilita, preordinata, consumata mentalmente infinite volte, ha il suo sanguinoso compimento.

Se è vero, come lo è, che da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità, c’è da chiedersi in cosa ci si possa considerare evoluti, colti. O, piu’ semplicemente, umani.

 

 

Guarda e ascolta la scena finale di Carmen qui di seguito:

https://www.youtube.com/watch?v=PfUmc1kLzdw

 

 

 

 

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