Hagar, il nostro capitano

21 Dicembre 2019Lorenzo Cuffini

Scritto da LORENZO CUFFINI.

 

«Hagar è una schiava», dice la donna che ha delle ciocche castane che le fuoriescono dal foulard verde.

«Non mi importa cosa dice la Bibbia, la mia di Hagar, il mio capitano, non è la schiava di nessuno».

Il giorno 8 dicembre, nel corso di Più libri più liberi, la fiera della piccola editoria che si tiene ogni anno  a Roma, è stato ufficialmente presentato  “HAGAR, IL NOSTRO CAPITANO – La schiava di Abramo”, il nuovo libro della collana «Scrittori di Scrittura», pubblicata da Effatà Editrice. Secondo quanto prevede il progetto editoriale, promosso dall’Ufficio di Pastorale della Cultura della Diocesi di Torino in collaborazione con la Facoltà Teologica di Torino e Amici Torino Spiritualità, anche questa opera presenta al pubblico la riscrittura di un brano biblico secondo la sensibilità e l’ispirazione dell’autore. Pure questo volume, come tutti gli altri, è corredato della breve introduzione esegetica di un biblista e della traduzione del testo originale dall’ebraico o dal greco.

 

 

In questo caso, è IGIABA SCEGO a cimentarsi con la sfida della riscrittura, raccolta e sviluppata in un un racconto al femminile, che porta il lettore nell’Africa contemporanea. La storia prescelta e sottostante al racconto, come riportato nel sottotitolo, è quella di Hagar, la schiava di Abramo, raccontata in Genesi ai capitoli 16 e 21.

Sara, sterile, non riuscendo a dare un figlio al marito Abramo, gli offre la propria schiava, una straniera di nome Hagar, con l’obiettivo di garantirgli un erede: che viene difatti concepito e nascerà, col nome di Ismaele. Ma le cose progressivamente si complicano. Rimasta incinta, Hagar perde ogni rispetto per la sua padrona, che finisce col maltrattarla. Successivamente, quando anche Sara riuscirà a generare suo figlio, Isacco, vedendolo scherzare col fratellino, sarà travolta da  una  rabbia indomabile, al punto che Abramo sarà costretto ad allontanare sia Hagar che Ismaele. Entrambi rischieranno la morte nel deserto, ma verranno salvati per intervento di un angelo del Signore.

Come si vede, e come spesso capita con le storie narrate dalla Bibbia, si tratta di una vicenda dura, anche cupa, passionale, istintuale, in cui i progetti degli uomini e i progetti di Dio viaggiano su piani diversi e spesso conflittuali. Vicenda che sorprendentemente si carica, all’orecchio di un lettore o ascoltatore contemporaneo, di molti echi che rimandano all’attualità: la schiavitù, la maternità surrogata, l’emarginazione, il rifiuto dello straniero, per citarne alcuni.

Non stupisce per nulla quindi, che Igiaba Scego sia stata colpita proprio da uno di questi temi, quello della schiavitù, sul quale, per sua ammissione, la scrittrice sta molto lavorando in questo periodo: anche se quella di cui si sta occupando è in realtà  la schiavitù mediterranea.

In una intervista raccolta da TV 2000 per la trasmissione Terza Pagina, la scrittrice dichiara:

Ho ripreso i personaggi e le situazioni della Bibbia, ma li ho portati in un “paese X” africano, in guerra civile, dove le donne sono costrette da limitazioni sociali. Ho preso dalla Bibbia questa figura, quella di una donna schiava. Si parla sempre di altro, quando si parla di Hagar, ma non si parla di schiavitù. A me interessava invece mettere l’accento proprio su questo aspetto. La mia è una trasposizione molto spericolata, ma io spero che piaccia. Sono stata  attenta e sensibile verso il testo sacro, ma non ho voluto fare un commento alla storia biblica – come avrei potuto – quanto riprendere le tematiche che erano nascoste dentro la storia biblica e modernizzarle, in qualche modo. Anche se, in realtà, la storia di Hagar è già di suo molto moderna.” (1)

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  • Igiaba Scego è nata in Italia da una famiglia di origini somale. Dopo la laurea in Letterature straniere presso la Sapienza di Roma, ha svolto un dottorato di ricerca in Pedagogia all’Università di Roma Tre e si occupa di scrittura, giornalismo e di ricerca incentrata sul dialogo tra culture e la dimensione della transculturalità e della migrazione. Collabora con molte riviste che si occupano di migrazioni e di culture e letterature africane tra cui «Latinoamerica», «Carta», «El Ghibli», «Migra» e con alcuni quotidiani come «la Repubblica», «il manifesto»,  e «Internazionale».

Nel 2003 ha vinto il premio Eks&Tra di scrittori migranti con il suo racconto Salsicce e ha pubblicato il suo romanzo di esordio, La nomade che amava Alfred Hitchcock.

Nel 2007 ha curato assieme a Ingy Mubiayi la raccolta Quando nasci è una roulette. Giovani figli di migranti si raccontano.Storia di sette ragazzi e ragazze di origine africana, nati a Roma da genitori stranieri (o arrivati in Italia da piccoli): la scuola, il rapporto con la famiglia e con i coetanei, la religione, il razzismo, i sogni.

Ha curato dal 2007 al 2009 la rubrica di opinioni I colori di Eva, per la rivista Nigrizia.

Dal 2006 partecipa al Festival della letteratura di Mantova. Nel 2007 partecipa al workshop di WikiAfrica Così come nel 2008 in occasione delle tre tavole rotonde di WikiAfrica organizzate dalla Fondazione lettera27 . Collabora alla sezione “suoni e parole delle migrazioni” del progetto confini promosso dalla stessa fondazione .

Nel 2011, ha vinto il Premio Mondello come autrice italiana, con La mia casa è dove sono edito nel 2010 da Rizzoli.

Nel 2017 è coautrice, insieme a Ilvo Diamanti, Luigi Manconi e Pietro Massarotto del libretto “Per cambiare l’ordine delle cose“, pubblicato in contemporanea all’uscita del film del regista Andrea Segre “L’ordine delle cose”.

 

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