I testimoni della Crocifissione di Gesù
Scritto da NORMA ALESSIO
La Crocifissione di Gesù, intesa come avvenimento, è menzionata in tutti i Vangeli canonici e in alcuni apocrifi. Ho riportato alcuni esempi di rappresentazione della Crocifissione in alcuni precedenti miei post su questo blog, a cui rimando per una rilettura d’insieme dell’argomento: “La crocifissione di Gesù nella chiesa di Santa Maria Assunta di Elva”,15 maggio 2016; “La passione di Gesù”,1° aprile 2017 e 8 aprile 2017; “Tutto è compiuto”, 2 aprile 2021; “Anche gli angeli piangono”, 10 novembre 2018. Qui riprendo il tema, soffermandomi su quali personaggi al di fuori di quelli consolidati nell’iconografia, non citati nei vangeli, sono presenti intorno alla Croce in alcune opere d’arte di autori anche non cristiani o dichiaratisi atei.
Nei Vangeli canonici i testimoni presenti sono: in Mt 27 versetti 35 “(i soldati) si spartirono le sue vesti tirandole a sorte”, 41 “Anche i sommi sacerdoti congli scribi e gli anziani lo schernivano”; 48 “E subito uno di loro (i presenti) corse a prendere una spugna e, imbevuta di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere”; 55 “C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo”; 56 “Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo”.
In Lc 23, versetto 35 “Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano”.
In Gv 19, versetti 25“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala”; 26 “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava…”.In Mc 15 ai versetti 29-31 “I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: «Ha salvato altri, non può salvare sé stesso!”.
Nelle trascrizioni pittoriche si passa da una scena con solo la Madre di Gesù, sorretta da Maria Maddalena, Maria di Cleofa e Giovanni Evangelista, a quella con una folla costituita da vari personaggi, anche di un certo impatto scenografico, testimoni dell’avvenuta esecuzione della Crocifissione di Gesù, sia suoi contemporanei sia vissuti in vari momenti storici seguenti. Gli artisti dal XII al XIX secolo furono condizionati sia dalla committenza civile e religiosa -che dettava loro chi doveva essere inserito nelle varie rappresentazioni- sia da trattatisti, come Giovanni Paolo Lomazzo che nel 1584 raccomandava di non inserire nelle scene tristi elementi che riconducessero all’allegria, quali “fanciulli che scherzino e uomini che ridano”, definendo l’ordine secondo il quale raffigurare la “sofferenza” dei personaggi presenti a una Crocifissione.
L’impostazione di questo soggetto nell’arte del frate domenicano Beato Angelico, vissuto nel quattrocento, fu orientata verso la massima essenzialità, perché doveva guidare i monaci nella preghiera. Lo storico dell’arte Carlo Giulio Argan lo definì una “una personalità artistica e riflessiva, lontana da un’interpretazione drammatica degli eventi” dove “I personaggi agiscono in conformità di un disegno divino che segue una logica superiore. Consci del loro ruolo, essi lo interpretano serenamente, con levità di gesti e atteggiamenti”. Insieme ad aiuti, BeatoAngelico affrescò in ogni cella del Convento di San Marco a Firenze, una serie di quarantatré lunette o riquadri con le Storie di Cristo, attraverso una fitta, e a tratti ossessiva, ripetizione di Crocifissioni che ogni monaco, nella propria cella doveva avere solo per sé, su cui meditare e avere spunti di contemplazione. In sette Crocifissioni decorate nelle celle del convento compare san Domenico, il santo fondatore, sempre inginocchiato, che abbraccia la croce, oppure prega a mani giunte o intrecciate o con le braccia incrociate sul petto, che si copre il volto per il dolore, si autoflagella, apre le palme delle mani.
Talvolta è presente San Pietro Martire, anch’egli domenicano, raffigurato con la testa spaccata e sanguinante. Nella Sala Capitolare del convento, importante luogo comunitario dove i monaci si riunivano, tra altre importanti attività, per prendere le decisioni relative alla gestione, sempre il Beato Angelico dipinse nella grande lunetta la “Crocifissione e i Santi”, ma con altro scopo rispetto quello delle celle. Ai piedi della croce, oltre alle quattro consuete figure femminili, ci sono una serie di martiri, santi, beati, papi, cardinali, vescovi, maestri provinciali, semplici padri predicatori, patroni di Firenze e del Convento, fondatori e riformatori di vari ordini monastici che vissero e prescrissero l’attività di predicazione, di conversione ad imitazione di Dio, nei periodi antecedenti e nei luoghi più disparati. Altre due schiere di santi domenicani sono dipinte sul fregio orizzontale, alla base della lunetta.
Questa è stata considerata una raffigurazione ecumenica e punto di riferimento morale e dottrinale.“Fra Angelico è rimasto nella memoria della Chiesa e nella storia della cultura come uno straordinario religioso-artista (…) col pennello espresse la sua“summa” dei misteri divini, (…). Guardare al Beato Angelico è guardare a un modello di vita in cui l’arte si rivela come un cammino che può portare alla perfezione cristiana…”, con queste motivazioni Giovanni Paolo II nel 1984 lo proclamò patrono degli artisti.
Un’iconografia dal punto di vista protestante, si trova nella Crocifissione nella Chiesa luterana dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a Weimar, in Germania, dove predicò Martin Lutero, iniziata dal pittore tedesco Lucas Cranach detto il Vecchio, poi completata dal figlio nel 1555, dove manca ogni riferimento ai presenti citati nelle Scritture. Sono rappresentati: il pittore stesso, a cui il sangue che esce dal costato di Cristo cade direttamente sulla testa, l’Agnus Dei, l’agnello che tiene tra le zampe una croce astile, San Giovanni Battista che addita Cristo e Martin Lutero con la Bibbia aperta in mano e il dito puntato su di essa. Singolare e significativo poi è il Cristo risorto a sinistra della croce che calpesta uno scheletro e il diavolo in segno di vittoria sulla morte. Alle sue spalle completano la scena, oltre il sepolcro aperto e l’annuncio della nascita di Gesù ai pastori, diverse scene dell’Antico Testamento, come la cacciata di Adamo dall’Eden e Mosè con le tavole della Legge, l’accampamento degli Israeliti e i serpenti. Il pastore Heiner Bludau, decano della Chiesa Evangelica Luterana in Italia, ha definito gli elementi presenti in quest’opera “una predica dipinta, rappresentativa della teologia della Riforma”.
Nel XX secolo e nell’arte contemporanea gli artisti diventano più liberi nelle loro modalità di espressione artistica e del loro personale senso religioso. Il crocifisso continua a ispirare gli artisti ma non è più preponderante il suo significato cristiano come sempre è stato inteso. La figura dell’uomo crocifisso diventa l’archetipo dell’umano sofferente, maltrattato, schiacciato, così che sono numerose le Crocifissioni realizzate con questo intento. Pablo Picasso, ad esempio, nella Crocifissione surrealista del 1930, conservata al Museo Nazionale di Picasso di Parigi, di difficile comprensione se non la si analizza a fondo nei suoi particolari, composta come una specie di rebus, concentra un insieme di allusioni. Le figure sono orribilmente deformate e la loro disposizione disordinata; i colori violenti contribuiscono a nascondere le diverse scene della narrazione biblica riportate. Un piccolo personaggio rosso sale su una scala, ai piedi due figure (i due ladroni?), i soldati romani intenti a giocare a dadi su un tamburo, sotto la croce, una donna priva di colorazione (la Vergine o la Maddalena?), sembra voler mordere l’asta. A sinistra, un essere informe con un lungo mantello viola e sopra un uccello sovrastato da un enorme macigno; un volto blu e bianco di profilo (Marie Therese, modella e amante?). A lato una figura scarmigliata, di cui si ignora il significato, dai denti affilati, le cui braccia gialle si alzano al cielo in un gesto di supplica. Gesù ha la testa piccola, mentre è enorme la lancia tenuta dal piccolo cavaliere che lo trafigge.
A mio parere l’opera esclude la speranza, manca di una dimensione spirituale, non traspare alcun aspetto sacro, è di fatto priva di una congruenza anche minima con il messaggio cristiano; è possibile che si riferisca anche alla profonda crisi che Picasso stava attraversando all’epoca.
Di ben altra partecipazione emotiva è la famosa Crocifissione bianca realizzata nel 1938, ora presso l’Istituto d’Arte di Chicago,dal pittore ebreo bielorusso Marc Chagall. Gesù è rappresentato come un uomo, con accessori dichiaratamente ebraici, tra varie scene di distruzione e persecuzione subite proprio dal popolo ebraico nel primo Novecento in Europa: un fuoco bianco brucia alcuni volumi delle Sacre Scritture; un uomo scappa con un sacco di oggetti sulle spalle, un altro mette in salvo i rotoli della legge; le due tavole dei dieci comandamenti riposte in alto e accanto a loro la stella di Davide; i soldati avanzano sventolando le bandiere rosse. Tre uomini e una donna accanto alla croce aprono le braccia e pregano. Tre case capovolte in preda alle fiamme e tre persone fuggono dal disastro; alcuni viaggiatori su di una barca cercano di attraccare a riva. Un altro gruppo di uomini invece mette in salvo una Torah arrotolata e ai piedi della Croce, una lampada a sette bracci (la Menorah simbolo della religione ebraica) illumina il corpo di Cristo crocifisso. Infine, una madre accanto alla Menorah protegge il piccolo figlio coprendo il suo viso con la mano.
“Mi è sempre sembrato e mi sembra tuttora – affermava Chagall riferendosi alla Bibbia – che questa sia la principale fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora, ho sempre cercato questo riflesso nella vita e nell’arte”.
Francis Bacon, pittore irlandese del ‘900, trasgressivo dell’iconografia cristiana, fu attratto dalla crocifissione come “rituale di sangue” e come disse, da una “magnifica armatura su cui innestare ogni tipo di sentimento e di sensazione”. Nel suo trittico Tre Studi per Figure alla Base di una Crocifissione, dipinto nel 1944, vi sono tre personaggi sospesi in una dimensione tra l’umano e l’animale; quello a sinistra china remissivamente la testa, quello al centro sembra quasi braccato tra i due e digrigna i denti, mentre la figura a destra lancia un urlo atroce con la bocca rovesciata sullo sfondo arancio acceso. Può essere che questi Tre Studi volessero catturare la disperazione dell’umanità all’apice della sua crudeltà e della sua violenza insensata, prima della conclusione delle atrocità della Seconda Guerra Mondiale?
“Gli artisti contemporanei sanno scrivere e raccontare il dolore del giusto ingiustamente ucciso. Ma sanno raccontare anche la speranza?”. È questo l’interrogativoposto dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini nel 2022 durante l’inaugurazione della mostra “La Passione. Arte Italiana del Novecento dai Musei Vaticani” al Museo Diocesano di Milano.
Ed è è anche il mio.