Il mito ieri… e oggi

11 Marzo 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da  DARIO O. COPPOLA

 

“E così, così, tu credi di poter raccontare il Paradiso dall’Inferno/ cieli azzurri dal dolore./ Riesci a narrare di verdi campi/ da un freddo binario d’acciaio? “(da Wish you were here).

Con questa domanda, che può far nascere speranze, riprendiamo il nostro viaggio nella musica rock, ancora una volta prendendo in prestito le parole dei Pink Floyd, un gruppo che è, per antonomasia, un mito. Già, un mito. Non possiamo però prima sottrarci al compito affidatoci, che consiste nell’analizzare il legame uomo-Dio, proprio trovandoci dinanzi a questo termine. In greco, mythos indica una forma di pensiero di carattere irrazionale; mentre il logos è il discorso razionale, il mythos narra, con la fantasia, le vicende riguardanti gli dei, le origini del mondo e il legame dell’uomo con ciò che a lui è superiore (inizialmente inspiegabile con il logos).

 

 

Gli egizi fecero del Nilo un mito: dipendevano infatti dal legame fruttuoso e necessario col loro fiume per l’irrigazione delle desertiche terre sulle quali vivevano; temevano inoltre le frequenti inondazioni che causavano la rovina improvvisa di molti uomini. Anche il sole divenne un mito, destinato a perdurare ancor più a lungo, per la sua inavvicinabilità, la sua (quasi) trascendenza…

 

 

I due racconti della creazione biblici anche utilizzano il discorso del mito. Il primo (Genesi 1,1-2,4a), attribuito alla fonte sacerdotale (P), è il più recente (V sec. a. C.) è probabilmente stato concepito in terra di Babilonia e fa riferimento ai miti antichi come l’Enuma Elish e al calendario delle feste caldei.

 

 

 

Il secondo (Genesi 2,4b-23) è invece il più antico (X secolo a. c.) di altra fonte (E) probabilmente, anche se entrambi utilizzano il termine Elohim per indicare la divinità – concetto che supera il genere e il numero, con buona pace di chi vi identifica degli alieni… – si rifà al mito antico di Gilgamesh: l’albero della vita e il serpente sono tra gli elementi condivisi.

 

 

Tutti conoscono gli approdi armoniosi e leggiadri della mitologia nella Grecia classica. Finché, un giorno, Platone spostò la funzione del mito: esso divenne un racconto, non fu più una fede religiosa: nel V secolo a. C. era stata imposta come religione ufficiale, in Grecia, la mitologia omerica ed esiodea e con severità venivano puniti coloro che non la professavano, come i filosofi (Senofane, Socrate, Platone…), sospettati di allontanarsene e di allontanare i loro discepoli.

 

 

Il mito divenne un racconto destinato verosimilmente a spiegare l’inspiegabile: il mito platonico della caverna spiegava la conoscenza imperfetta dell’uomo che è anamnesis, reminiscenza, il riflesso nel mondo sensibile di ciò che l’anima ha visto nel mondo intellegibile.

 

 

Evemero da Messina disse che il mito di Ercole (Eracle, per i greci), ad esempio, non è che il legame consistente in un ricordo sublimato di ciò che era stato, in vita, un grande re, che organizzò un risanamento del suo paese in dodici fasi (una manovra economica riuscita…): esse divennero le dodici fatiche!

Quando le esperienze sono passate vengono rimosse (quelle negative) o mitizzate (quelle positive). Nell’età contemporanea Freud riprende il linguaggio del mito nella psicanalisi: si pensi al complesso di Edipo, di Elettra e ogni altro che si riferisce alla mitologia greca.

Ancora oggi ciò avviene. I nostri miti (termine vivo più che mai) sono anche presenti nel cinema, nell’arte, nel rock. Dal prossimo intervento ci occuperemo, per qualche tempo, di quel mitico gruppo – i Beatles – che ha segnato la fede di generazioni nelle cose passate, esaltando l’amore sopra ogni valore, con versi come “Oh, I believe in yesterday”.

 

 

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  • Questo articolo di Dario Coppola è un ampliamento di quello pubblicato sul Corriere di Torino e della Provincia il 20/04/96

 

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