Il potere dell’assenza
Scritto da Gian Luca CARREGA
Forse sono passati i tempi in cui Nanni Moretti si chiedeva: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”, ma le assenze continuano ad avere il loro peso. Perché gli assenti potrebbero anche avere torto, ma di certo a volte assumono un rilievo fondamentale nella trama di una narrazione. E i vangeli non fanno eccezione. La centralità di Gesù come protagonista assoluto del racconto è garantita dal fatto che in sua assenza la trama non può procedere. Se ci sono eccezioni, bisognerà considerarle con grande attenzione. L’evangelista Giovanni fa ruotare ogni situazione e ogni dialogo attorno a Gesù, ma si concede una breve pausa nella guarigione del cieco nato (capitolo 9) in un episodio particolarmente prolungato, nel quale Gesù riveste il solito ruolo di mattatore al principio, discutendo coi discepoli sulla teologia del peccato e poi sanando il poveraccio. Da questo momento esce di scena lasciando solo l’ex cieco a vedersela dapprima coi curiosi e poi con le autorità giudaiche, salvo poi ricomparire nel finale per tirare le somme. Diversamente da altri racconti di guarigione, qui il risanamento è solo un aspetto iniziale della vicenda, che poi si dilunga sul significato del gesto e, ovviamente, sulla vera natura di colui che lo ha operato. Ora, tutte le vicissitudini a cui il risanato va incontro (confronto all’americana coi suoi genitori per provare che davvero era cieco, onere di dimostrare che veramente le cose sono andate come ha detto, ecc. ecc.) non potrebbero verificarsi se Gesù restasse nei paraggi. L’uomo avrebbe potuto scaricare su Gesù la “colpa” di essere stato guarito ed esimersi dal prendere posizione. E invece è proprio l’assenza di Gesù a responsabilizzarlo, a fare di lui un uomo che deve riflettere sull’accaduto e schierarsi pro o contro Gesù.
Passiamo a un secondo caso, l’assenza dei discepoli nell’incontro fra Gesù e la samaritana (Gv 4,1-42). Il loro allontanamento per andare a fare provviste sembra secondario rispetto a quello del protagonista, ma in realtà il loro compito è quello di fare da testimoni degli eventi e delle parole della vita di Gesù. Dato che erano assenti, come facciamo a sapere cosa si sono detti Gesù e la samaritana? Certo, la samaritana, divenuta credente in Gesù, potrebbe avere riferito questo dialogo alla chiesa nascente e così se ne sarebbe tramandata la memoria. Ma è una questione che non sembra sfiorare il narratore onnisciente del Quarto Vangelo. Ciò che gli interessava era allontanare dalla scena i discepoli perché la loro presenza risultava ingombrante. L’incontro fra Gesù e la donna di Samaria avviene presso un pozzo, un cliché ben noto alla Scrittura che ambienta spesso in queste circostanze l’incontro tra due futuri sposi. Perché si mantenesse questa connotazione erotica era necessario far sparire i discepoli, che altrimenti avrebbero fatto la figura degli indiscreti e avrebbero messo in imbarazzo i protagonisti.
L’ultimo caso di assenza che prendiamo in considerazione è quella dei familiari di Gesù in occasione della sua sepoltura. Sappiamo che il Quarto Vangelo è meno drastico circa l’abbandono di Gesù da parte dei suoi familiari rispetto ai sinottici, in particolare Marco. Sua madre è presente sotto la croce e il Discepolo Amato pare essere incorporato nella famiglia di Gesù (Gv 19,25-27). Tuttavia né l’una né l’altro sono menzionati al momento della sepoltura di Gesù e questo è un dato abbastanza significativo perché l’onere della sepoltura spettava ovviamente ai familiari del defunto. Anche qui l’impressione è che l’assenza dei familiari sia necessaria per permettere a due discepoli sui generis, Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, di compiere il pietoso ufficio che in un certo modo sancisce il nuovo legame familiare che lega Gesù ai suoi discepoli.