Il principio… nella Scrittura

25 Febbraio 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da MARIA NISII.

 

Se la presenza di due racconti della creazione (Gen 1 e Gen 2) implica l’inesauribilità del tema, il loro accostamento quasi aproblematico sembra indicare che nessuno dei due possa essere bloccato e fissato come unico detentore del marchio di autenticità. La verità nella Bibbia va cercata su un altro piano e certo non nella letteralità della narrazione. Tale molteplicità suggerisce peraltro la presenza di una comunità orante, dialogante e battagliera (con Dio, tra di loro, con l’altro…). Una comunità che ri-leggendo, ri-scrive i racconti che circolano, li ri-pensa e ri-mastica a ogni nuova ripetizione.

Il racconto della creazione è ancora presente, in modo quantitativamente e qualitativamente rilevante, in altri testi biblici, specie nei Salmi, nei profeti e nel libro di Giobbe, senza escludere il Nuovo Testamento. Ma più ancora della creazione, il fenomeno della riscrittura all’interno della Bibbia è particolarmente evidente nell’evento dell’Esodo, in quanto ritenuto momento fondativo della costituzione del popolo e dunque da ripensare costantemente (persino quale esodo escatologico). Proprio per questo è interessante notare come il racconto dell’Esodo riproponga elementi desunti dai testi della creazione. La comunità che rilegge la sua storia ha infatti la coscienza di non essere sempre stata in quella terra, ma di provenire da altrove, da luoghi dai quali ha avuto bisogno di essere “salvata”:

“Dio ha creato il suo popolo salvandolo dalle forze di annientamento, si trattasse di ostacoli naturali, di nemici o degli uni e degli altri messi insieme. Dio ha separato gli elementi perché Israele potesse venire alla vita e perché ricadessero nel caos originale le forze di morte capaci di distruggerlo” (Gibert, Bibbia miti e racconti dell’Inizio, p. 170).

 

 

Marc Chagall, Mosè e l’attraversamento del mar Rosso

 

 

21Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero22Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. 23Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.24Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. 25Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!».26Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». 27Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. 28Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. 29Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. (Es 14)

Le acque divise e poi di nuovo riunite, il vento d’oriente che fa ritirare il mare, l’asciutto e il cammino in mezzo al mare, rinviano tutte alla terminologia del primo racconto di creazione e in parte al racconto del diluvio: siamo di fronte ai concetti di creazione e de-creazione. Le acque minacciose prima e separate poi rimandano infatti al primo racconto, ove devono essere separate affinché la terra possa emergere e con essa vegetazione, animali e umani. E tale separazione avviene su una parola divina, in Esodo come in Genesi, mentre prima di tale parola tutto è avvolto dal caos, gli ebrei come la terra informe e deserta. Dall’altra parte del mare, gli egiziani fanno appunto esperienza di tale ritorno al caos primordiale al pari dell’umanità del diluvio.

 

 

 

 

Troviamo altre riscritture della creazione nel libro del Salterio, che invita l’orante a pregare Dio nella sua qualità di creatore e a innalzare lodi alla bellezza e maestosità del creato: Se guardo il cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate (Sal 8, 4). Simone Weil sostiene che la bellezza presente in natura sia una delle forme implicite dell’amore di Dio. Per questo il riferimento va nella duplice direzione: si loda il creato per lodare il Creatore e si accede al Lui tramite la contemplazione delle sue opere.

Il Salmo 19 si apre con un altro richiamo alla creazione: I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani (v. 1). La creazione parla del Creatore, suo fattore, ma lo fa nel silenzio (senza discorsi e senza parole– v. 4); insieme ne proclama il senso, il suo essere portatrice di significato (il giorno affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette la conoscenza– v. 3). Non casualmente infatti il primo atto creativo secondo Gen 1 è la separazione della luce dalle tenebre, ovvero un’azione capace di portare alla conoscenza-luce. Riconoscervi un atto creativo implica accettarne l’offerta di senso (e non credere che si tratti di una verità scientificamente intesa). Ma il senso ivi contenuto si dà nel silenzio della parola divina, in contrapposizione al rumore delle parole umane. I cieli sono personificati, fungendo da testimoni dell’opera creatrice, annunziando e narrando.

Ancor più spostato sul versante della lode gioiosa e di ringraziamento è il Salmo 104, che appare meno una riscrittura e più una contemplazione della creazione agli occhi di colui, che vi riconosce la propria dipendenza dal Creatore  –Tu stendi i cieli… ponesti la terra sulle sue basi… Tu fissasti loro un confine… Tu fai scaturire le fonti… Tu fai piovere… fai crescere i prati… Tu hai fatto la luna… Tu distendi le tenebre… Quante sono numerose le tue opere, Signore! Tutte le hai fatte con sapienza… Tutti fanno conto su di te, per ricevere il cibo a suo tempo… Mandi il tuo spirito – in una riflessione che rilegge quell’atto del passato come qualcosa che avviene nel presente. Qui Dio non ha creato, ma crea. E questo fa guadagnare una prospettiva attualizzante alla vita stessa del salmista: “Dio crea parlando… Dio crea tacendo… Dio crea ora…” (Paul Beauchamp, Salminotte e giorno, p. 220).

Non mi soffermo su tutti, ma segnalo che sono rinvenibili richiami alla creazione anche nei Salmi 29, 33, 65, 67, 145-149, 150.

 

 

Tintoretto, La creazione degli animali (1550-53)

 

 

Credo in un solo Dio,

Padre onnipotente

Creatore del cielo e della terra

E di tutte le cose visibili e invisibili.

L’attributo di “creatore” è essenziale nella confessione di fede cristiana, indispensabile a dire chi sia il Dio in cui si crede. L’oggetto di tale creazione è molto genericamente rivolto a “tutte le cose”, come a dire che non c’è niente che non sia frutto di tale creazione. Di fronte alla domanda filosofica “perché esiste qualcosa e non il nulla”, il cristiano crede che se esiste qualcosa è perché Dio lo ha voluto. Non è volontà dell’uomo né il puro caso, ma vi è una volontà divina a chiamare le cose all’esistenza. Tale fede vede in Dio l’origine (il principio) della propria identità. Parlare di creazione è allora parlare dell’origine, della provenienza. La creaturalità, l’essere creatura, dice quindi che tutto quello che esiste è in relazione con Dio.

 

 

 

 

Oltre alla versione poetica dei salmi, si può esprimere tutto questo anche in forma narrativa. Come fanno due bellissimi romanzi, in cui la fede dei protagonisti– persino nei momenti estremi – si mostra pure nella capacità di contemplare il mondo naturale:

“Oggi piove. La montagna d’agosto ama la pioggia che spesso ci sorprende senza preavviso nel mezzo del pomeriggio, quando il sole d’alta quota ha accumulato calore nell’aria per tutta la giornata. All’inizio le gocce non arrivano a toccare la terra. Poi il caldo le trasforma in vapore sottile che aleggia appena sopra i prati. Poi il vapore diventa uno scroscio e sembra di essere nel mezzo della creazione, quando i fiori e le piante uscivano nuovi e brillanti dalle mani di Dio (Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve p. 148).

 

 

 

 

È ancora un personaggio in fin di vita a tornare alla creazione come all’origine datrice di senso e insieme alla bellezza di cui è prodiga, che non si finisce mai di ammirare e lodare:

“Quanto amo la prateria! Quante volte ho visto l’alba arrivare e la luce inondare la regione e ogni cosa risplendere all’improvviso, con quella parola, ‘bene’, tanto profondamente incisa nella mia anima da farmi stupire che mi sia concesso assistere a un simile spettacolo. Forse c’è stato un primo momento più meraviglioso ‘mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio’, ma, a dispetto di ogni indicazione contraria, ancora continuano a gioire e a plaudere, e certamente dovrebbero farlo. Qui nella prateria non c’è nulla che distolga l’attenzione dalla sera o dal mattino, nulla all’orizzonte che abbrevi o ritardi. Da questo punto di vista, le montagne sarebbero un’insolenza (Marilynne Robinson, Gilead, p. 256).

 

 

 

 

Chiudiamo allora, per una volta, con la riflessione di una filosofa che tiene insieme i diversi piani qui presentati, quello della fede (anche implicita) catturata dal sentimento del bello che nella bellezza del mondo trova la sua via più naturale:

“Nella nostra epoca, nei paesi di razza bianca, la bellezza del mondo rimane quasi la sola via attraverso la quale si possa lasciar penetrare Dio […] Il sentimento del bello, sebbene mutilato, reso deforme e corrotto, persiste irriducibilmente nel cuore umano come un forte movente. Se ne scorge la presenza in ogni preoccupazione della vita profana. Qualora diventasse autentico e puro, trasporterebbe tutta la vita profana in blocco ai piedi di Dio, rendendo così possibile la totale incarnazione della fede.” (Simone Weil, “Forme dell’amore implicito di Dio” in Attesa di Dio)

 

 

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