Il Trionfo della Morte
Scritto da NORMA ALESSIO.
Il Signore disse ad Adamo dopo la colpa delle origini:“Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!” (Gen 3,19). Nelle Scritture la morte in sé non è stata raccontata con episodi tali da potere essere raffigurati, perciò gli artisti l’hanno interpretata fino al XVI secolo come una conseguenza del peccato alla luce del racconto delle origini, proprio come Paolo scrive nelle sue lettere: “come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.” (Rm 5- 12,14).
L’origine del tema della morte non è chiara, per molti studiosi rappresenta il fine di ogni principio vitale a cui non è possibile opporsi esulando dal significato religioso; la Chiesa invece lo fece proprio, dandone un forte valore di ammonimento verso il peccato che lo genera , e il tema del macabro irruppe nelle raffigurazioni dalla seconda metà del XIII secolo, affermandosi come una vera e propria iconografia della morte. Pochi sono gli esempi ancora conservati di immagini sulla morte realizzate all’interno delle chiese, collocate comunque in luoghi poco agevoli e poco visibili; ma quando sono presenti sono associate alla scena del Giudizio Universale come salvezza nell’aldilà.
Gli artisti tentarono di rappresentarla nel mondo cristiano in vario modo, ma tutte le interpretazioni erano destinate ad avere un’incredibile efficacia, per cui iniziarono ad aggiungersi anche immagini di corpi umani in decomposizione o scene di forte impatto emotivo: è la morte che si mostra nel suo aspetto più orribile e imprevisto davanti agli occhi degli spettatori. A partire dal secolo XIV l’immagine della morte più diffusa nell’Italia è il cosiddetto “Trionfo della Morte”, un tema che si afferma anche in letteratura, con l’opera omonima di Francesco Petrarca.
Giovanni, nell’Apocalisse, (Ap 6,1-8) fa una descrizione figurata della morte, nella chiamata dei quattro cavalieri all’apertura dei primi quattro sigilli,” Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni».Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni».Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni».Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra”.
Nelle rappresentazioni del “Trionfo della Morte” generalmente è raffigurato solo il quarto cavallo, riferito all’ultimo versetto, seguito dalla personificazione dell’Inferno, a differenza di quelle più antiche – dei secoli tra XI e XIV – dove erano rappresentati tutti e quattro i cavalieri dell’Apocalisse.
A Lucignano d’Arezzo, nella Chiesa di S. Francesco in Val di Chiana, la Morte -il cui abito nero si confonde con il colore del suo cavallo – è in procinto di scagliare una freccia non verso il gruppo dei poveri che la invocano, bensì contro i due giovanotti che conversano incuranti tra loro. Qui la morte è rappresentata come una strega, simbolo di arcane potenze demoniache, legata a Satana ed asservita al male, fornita oltre che di arco per uccidere anche di una lunga falce, per mietere e falciare le sue vittime.
Tutto in lei ha lo scopo di atterrire, di incutere paura: il volto minaccioso, la bocca spalancata nel grido: “IO NON BRAMO SE NON DI SPEGNER VITA / E CHI MI CHIAMA LE PIU VOLTE SCHIVO / GIUNGENDO SPESSO A CHI MI TORCIE IL GRIFO”
A Subiaco, l’affresco è collocato in corrispondenza di una scala che conduceva al cimitero del monastero; la Morte diviene uno scheletro dai lunghi capelli che ricordano la sua iniziale personificazione femminile, brandisce la spada e la falce e si scaglia sugli uomini cavalcando un destriero bianco sotto al quale giacciono alcuni giovani ridotti a cadaveri, mentre più indietro invece, un gruppo di poveri vecchi chiede invano di morire.
Di fortissimo impatto emotivo è, intorno alla metà del Quattrocento, l’affresco con il Trionfo della Morte attribuito ad un maestro catalano e dipinto non in una chiesa ma in un luogo laico come Palazzo Sclafani a Palermo. Il cavaliere è puro scheletro e il cavallo egualmente scheletrito. La Morte è raffigurata sullo sfondo di una siepe mentre ha appena scoccato una freccia che è andata a colpire il collo di un giovane; essa ha legata sul fianco la falce e reca con sé una faretra. In basso si trovano i cadaveri delle persone già uccise e, a differenza dei precedenti esempi, sono di ogni categoria sociale: imperatori, papi, vescovi, frati (sia francescani che domenicani), poeti, cavalieri e damigelle: è la dimostrazione che la morte è la regolatrice di ogni giustizia.
Il Trionfo della Morte di Bruegel rappresenta uno dei punti di arrivo della ricerca su questo tema: è la condanna più esplicita dei vizi e dei peccati verso i quali gli uomini sono naturalmente protesi; lo interpreta con una descrizione curatissima e di più scene macabre. Al centro la Morte dirompe a cavallo con la falce, guidando la sua armata delle tenebre, costituita dagli scheletri, che si appresta a massacrare una folla con persone di tutti i ceti sociali, soldati, laici e religiosi e che nulla possono con le loro ricchezze e il loro potere.