Il vecchio e il bambino
Scritto da LORENZO CUFFINI.
Riscrittura Inconsapevole *
«L’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà la famiglia umana». Lo ha affermato Papa Francesco durante l’udienza generale di oggi, mercoledì 17 agosto, nell’Aula Paolo VI . Proseguendo il ciclo di catechesi dedicate alla vecchiaia, il Pontefice ha preso spunto dalle parole del profeta Daniele per ricordare che «la testimonianza degli anziani unisce le età della vita e le stesse dimensioni del tempo: passato, presente e futuro».
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Non so che viso avesse, e nemmeno come si chiamava.
Da dove mi vengono queste parole che mi suonano in testa? Tornano e mi ritornano, mentre vi guardo in faccia. Uno a uno, tutti quanti, mentre passo davanti ai vostri occhi. Voi che leggete. Che visi siete? Che nomi avete? Chi siete? Vi conosco? Vi dovrei conoscere? Qualcuno mi guarda con affetto, e mi sorride -chissà perché- incoraggiante: ma mi incoraggi a fare cosa? I più mi scrutano, come per indagarmi, per capire: cosa, non saprei. Qualcuno non mi guarda proprio e finge indifferenza: ma non è un bravo attore, se della sua finzione mi accorgo benissimo . Voi: chi siete? E IO: voi sapete chi sono io? Dal fatto che siete qui, dovrei dedurre di sì. Ma il fatto è che ho smesso da tanto tempo di dedurre. Guardo, registro quello che posso, passo oltre. Non ho tempo da bruciare in convenevoli e ricordi. Men che meno in deduzioni. E poi non ho pazienza per curarmi ancora di quello che di me si pensa o si crede di sapere.
Di tempo ne ho talmente tanto addosso, che ho smesso di guardarmi negli specchi: non mi riconosco più. Nemmeno lontanamente. Anche quella faccia che vedo riflessa non so che viso avesse e nemmeno come si chiamava. Ho imparato a farmi la barba guardando la pelle, non il viso: osservando i centimetri intorno al rasoio, non l’immagine che mi guarda incorniciata. La mie giornate sono così. Il mio tempo è così. Tantissimo addosso, pochissimo in tasca. Il tempo degli altri ( figli, nipoti ) scorre in modo diverso dal mio: un dolore, all’inizio, le prime volte che me ne rendevo conto. Adesso, è così e basta. Le mie giornate sono così e basta. Così e basta è la mia storia. Il mio domani è adesso, e non so quanto questo adesso duri. D’altra parte Il mio ieri è talmente spesso, compatto, palpitante, che è una fatica andare a metterci le mani dentro. Solo che, per quanto io sia stanco e non abbia energie da sprecare inutilmente, ogni tanto si muove da solo e mi salta addosso e si impossessa di me completamente. Allora io lo lascio fare, gli lascio mano libera, campo aperto, briglia sciolta. Ma, fuori da quei momenti, se ne sta tranquillo, e a me non piace stuzzicarlo.
La gente- voi non offendetevi- non mi piace piu’. A parte questo bambino che mi ritrovo accanto. Volete ridere? Io non so sempre chi sia . Anche per lui , non so sempre che viso avesse, e come si chiami per davvero. Le prime volte mi agitavo immensamente: poi ho imparato che , se è con me, è perché ci sarà una ragione. Ed è talmente tranquillo, naturale nello stare con me, che è lui che mi tranquillizza. Non so sempre chi sia: se sia un nipote, il figlio o il nipote di un vicino. Ho smesso di chiedermelo. E certo non lo chiedo a lui: sarebbe una inutile indelicatezza. Quando so chi è, bene. Diversamente, so che mi è amico: e questo mi basta. Non è da pazzi? Con tutti gli amici che ho avuto nella vita, non ne vedo più nessuno. Invece ho un amico bimbo. Un amico, sì. Di un vecchio elefante, come me? Proprio. Lui arriva, mi saluta con il mento, mi guarda serio e mi prende per mano. Quanti secoli sono che qualcuno non lo fa più? Bene:lo fa lui, serio serio. M i da la mano, prende con la sua la mia e, tirandomi pianino, perché è un tappetto alto appena così, cosa vuoi che tiri,mi dice: andiamo?
Sai che c’è di strano? Che non fa domande. Mi prende la mano e va. Cammina vicino a me, e va. Aspetta che io parli. Aspetta che io racconti. Ma ho ormai capito che, anche se non parlo e non racconto nulla, gli va bene uguale: mano nella mano, l’altra mano in tasca, cammina vicino a me. Tutto qui. Sembrerebbe poco: non lo è. Chi sta con me, chiunque, che io sappia chi lui sia o no, che io sappia chi io sia o no, è sempre preoccupatissimo di domandarmi roba e ancor piu’ preoccupato di quello che rispondo e di come gli rispondo. Per non parlare delle occhiate che lancia agli altri, se ci sono dei presenti. E senza contare che ogni tanto si mette a parlarmi come si parla a un bambino, per giunta molto piccolo e molto disattento… ecco, a questo proposito, è per questo che io al mio amico bimbo non parlo mai come a un bambino. Dove c’è scritto che chi è bambino non deve capire le cose? Cretinate.
Facciamo lunghe camminate, io e il mio bimbo amico. Almeno, a me pare così. Non giurerei su quel lunghe, però. Non mi importa nemmeno, d’altra parte. E certamente non importa a lui. Non saprei nemmeno dire dove andiamo, camminando insieme. Adesso, per esempio, con voi che mi guardate: dove staremmo andando? Le luci stanno calando, quindi stiamo andando incontro alla sera, questo sì: c’è una bellissima polvere rossastra, che si alza in lontananza, come in certe tavole di fumetti degli anni cinquanta. Il sole brilla ancora- il sole nel cielo è una palla di fuoco, da dove mi viene questa? – ma la luce non scalda più, e pure lui mi sembra più un sole da film che un sole vero. Io mi guardo intorno, e so che dovrei vedere qualcosa, così come vedo le vostre facce: ma a perdita d’occhio c’è solo una pianura immensa, calma, in silenzio, e, per quanto io guardi, senza un’ anima viva da nessuna parte. Solo, indefinite, a perdersi sull’orizzonte, delle vaghe lontanissime colonne di fumo, almeno così mi sembrano, forse le stesse che spandono quel pulviscolo rossastro che colora la luce intorno.
Non so dove sia questo posto, ma lo conosco molto bene. E’ il posto dove mi trovo tutte le volte che la mia mente si allontana, e si allontana tutto il resto, e io vivo, ma non so bene dove, come, con chi, e chi sono. Ma non mi spavento: appunto perché il posto lo conosco, e so che da quel posto si ritorna; io almeno, ci sono sempre ritornato. Anche se magari non so più bene dove. E come si fa ad agitarsi poi con quella piccola mano in mano? Basta che io dia una piccola stretta, ed eccola lì. Nella mano ho la mano del mio amico bimbo, placida e riposta, tranquilla e fiduciosa. Noi stiamo lì, camminiamo , che il giorno cada pure e sprofondi, che importa? Finisce che mi commuovo, come sempre in questi casi. Generalmente faccio di tutto per non darlo a vedere, e soprattutto, cerco disperatamente di non piangere se ci sono presenti i miei figli e i miei nipoti: papà! Piangi?! E perché Piangi ? papà! Non piangere! Citrulli, li avrebbe bollati mia nonna, quella che quando la prendevo in giro per i suoi ohi! So’ tutta un dolo! mi diceva: te verrai vecchio anche tu, che credi? Citrulli, sì. Non sanno che i vecchi piangono, e lo fanno a ragion veduta? Si ritrovano così: con l’anima che ogni tanto si fa assente, oppure, così acutamente presente da risultare intollerabile. Con tutti i miti dell’età giovane, la consapevolezza che fossero soltanto dei gran miti, e la voglia pazza di poterli ancora rivivere – una volta sola! – con il sapore di quel tempo. I vecchi subiscono, impavidi, una dopo l’altra, le ingiurie degli anni, non sanno più distinguere sempre il vero dai sogni, e non sanno sempre, nel loro pensiero, distinguere nei sogni il falso dal vero. Questo spaventa loro, spaventa chi sta con loro, spaventa tutti.
Ma non il mio amico bimbo.
Il quale, se parlo, ascolta. Se sto zitto, tace con me. Se piango, mi lascia piangere: un po’ triste, ma senza dire nulla. Aspetta. E resta, aspettando. E se, e quando, racconto, si fa tutto orecchie: attento, vivace, a non perdersi una parola sola. A dire il vero, non sono sicuro di quel che gli racconto. Ma , oggi è uno di quei giorni, per esempio, so che lo faccio e ascolto un po’ sorpreso la mia voce, che parla di cose e tempi e posti e volti lontani per me, sconosciuti per lui. Ma a tutti e due va benissimo così.” Immagina questo coperto di grano, Immagina i frutti e immagina i fiori E pensa alle voci e pensa ai colori….” Man mano che ascolto la mia voce, il mio paesaggio assente, quello che ci circonda, quello che conosco bene, piano piano cambia, e si popola e si colora: e la pianura, un albero dopo l’altro, si riempie di verde e di boschi, freschi come dopo una rigenerante pioggia di primavera, tutta luccicante sotto il brillare limpidissimo del sole.
Quanto dura? Quanto è durato? Non saprei dirlo. A un tratto sbatto gli occhi, mi riscuoto e mi ritrovo seduto in poltrona. Mi guardo in giro: sono in casa, sparita la pianura e tutto il resto. Ma il mio amico bimbo, no. E lì, seduto sul bracciolo della mia poltrona, un piede che spenzola e gli occhi pieni di chissà che immagini sognate. Quegli occhi ricordo di averli avuti anch’io, come no: tutte le volte che mi raccontavano una storia che avesse avuto la forza di attirarmi dritta dritta nel suo mondo. Che viaggi! Capisco dalla luce dello sguardo e dal respiro un poco accelerato che l’amico bimbo ha appena viaggiato, ed è appena appena di ritorno. Fa un piccolo, impercettibile sorriso: poi mi stringe un pelo la mano e mi dice, a voce bassissima: mi piacciono le tue storie! Raccontane altre.
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Il vecchio e il bambino
Brano di Francesco Guccini