In principio, bereshit

18 Febbraio 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da  MARIA NISII.

 

Bereshit – quel “principio” arriva dopo, quando si stava appunto ri-leggendo la propria storia a partire da un’esperienza forte che aveva bisogno di fondarsi nelle origini. L’in principio non ha quindi un significato cronologico né storico bensì di carattere sapienziale. Ed è in questa accezione che bereshit esprime il senso fondativo, “il principio ordinatore dello spazio che si prepara a contenere l’infinito di cui ignoriamo tutto e che da alcune migliaia di anni ci facciamo raccontare dalla magnifica storia di Bereshìt” (Erri De Luca, “Bereshìt” in Nocciolo d’oliva). L’umanità non ignora solo l’infinito, ma pure – nonostante la pretesa dell’incipitquello stesso inizio, come racconta il Nobel per la fisica Steven Weinberg:

All’inizio si ebbe un’esplosione. Non un’esplosione come quelle che possiamo vedere sulla terra, che partono da un centro determinato e si estendono inglobando un volume sempre maggiore dell’aria circostante, ma un’esplosione che ebbe luogo dappertutto simultaneamente, riempiendo tutto lo spazio dall’inizio, fuggendo ogni particella tutte le altre. Qui ‘tutto lo spazio’ può significare tanto lo spazio dell’universo infinito, quanto tutto lo spazio di un universo finito, ricurvo su se stesso come la superficie di una sfera. Né l’una né l’altra di queste eventualità è facile da concepire, ma questa difficoltà non ci fermerà: che lo spazio sia finito o infinito praticamente non ha importanza alcuna all’inizio dell’universo.

Dopo circa un centesimo di secondo, l’istante più antico di cui noi possiamo parlare con una certa sicurezza, la temperatura dell’universo è salita a circa cento miliardi di gradi centigradi…” (Weinberg, I primi tre minuti dell’universo, p. 14)

Un centesimo di secondo non è l’inizio, anche se ci va molto vicino. Dunque che cosa sia successo all’inizio non lo sappiamo, a dispetto dell’attacco. E poi, a ben pensarci, chi l’avrebbe mai detto che avremmo trovato una riscrittura di Genesi persino in un racconto del big bang!

 

Giovanni di Paolo, Creazione del mondo ed espulsione dal paradiso terrestre (1445)

 

Nel libro di Genesi però di inizi ce ne sono due, in quanto compaiono due racconti, due diverse tradizioni della creazione. Composte in epoche differenti e dunque riflesso delle rispettive sensibilità culturali, queste due storie sono tuttavia state lette in continuità, quasi obliando che alla fine della prima si ricominciasse daccapo con un’altra come se niente fosse.

1 In principio Dio creò il cielo e la terra. 2 La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.3 Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. 4 Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre 5 e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.6 Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». 7 Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. 8 Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno…

Il primo racconto (Genesi 1) risale a un periodo che va dalla seconda metà del VI secolo al IV secolo, attestando una riflessione maturata alla fine dell’esilio. Di tale esilio si trova traccia per l’affinità con analoghe rappresentazioni che circolavano nel contesto culturale babilonese, di cui il popolo aveva recente esperienza (epopea di Gilgamesh, poema di Atrasis, Enuma Elish). Inoltre questo capitolo di Genesi pare particolarmente influenzato dal sistema cosmogonico babilonese, che nei secoli VI e V disponeva di metodi elaborati di osservazione degli astri, il che non esclude “che esso testimoni, al di là del mitico tradizionale, uno spirito protoscientifico di cui Babilonia è uno dei luoghi di nascita” (Pierre Gibert, Bibbia miti e racconti dell’inizio, Queriniana, p. 57).

Il racconto biblico della creazione è dunque il frutto di un momento traumatico nella storia del popolo, quando cioè tutti i punti di riferimento sono venuti meno (terra, monarchia, tempio). Ci si interroga allora se vi sia un punto fermo nonostante tutto (la distruzione di Gerusalemme, del tempio e la deportazione). In questo periodo Israele ritorna al Dio dell’esodo con nuovo vigore, dando vita al corpo delle Scritture che fissa il millenario patrimonio religioso-culturale. Ed è in questa ripresa che si compie inoltre il passo dell’universalizzazione: il Dio di Israele è il Dio di tutte le genti, ragion per cui il racconto fondatore di Israele non può che aprirsi con la creazione.

4 Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, 5 nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo 6 e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo -; 7 allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente…

Da Genesi 2,4 inizia un altro racconto probabilmente più antico del precedente, risalente almeno al VI a.C. ma per alcuni potrebbe risalire fino all’epoca regale prima o dopo lo scisma del 931. In ogni caso la distanza temporale che separa queste due tradizioni è di circa tre o quattro secoli. Questo secondo racconto conserva tratti di miti mesopotamici: l’uomo impastato con l’argilla, i due alberi, i quattro fiumi, il serpente astuto. La storia di “Adamo ed Eva”, nonostante il carattere generico dei nomi (Uomo e Donna), si è fissata con l’immagine di questi progenitori tanto che essi sono diventati esseri personalizzati; e la drammatizzazione del racconto che li riguarda spiega perché questa storia sia la più presente nell’immaginario collettivo, a discapito della precedente.

Il secondo racconto segue il primo senza cesure apparenti, con il versetto 4 che sembra fungere da cerniera, come chiusura del primo e apertura del nuovo: Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo. In molti altri testi biblici confluiscono varie e, a volte, eterogenee tradizioni precedenti, esse però vengono per lo più fuse in un unico racconto; la scelta compiuta di tenere distinte queste due narrazioni è quindi alquanto singolare. Più che indicare un’incertezza, sembra voler esprimere una sorta di duplicità insita nella creazione tutta e in particolare nell’essere umano, la cui origine avviene sia sotto il segno della grandezza, per essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio (1,27), sia della fragilità per il fatto di provenire dalla polvere del suolo (2,7). E secondo il nostro schema, perché no?, potrebbero essere anche considerati uno la riscrittura dell’altro.

Una collezione di venerabili ma ancora piuttosto primitive leggende”, pare li abbia definiti A. Einstein in un tempo in cui gli studi biblici avevano già chiarito il carattere mitico dei racconti delle origini, su cui – pare – non tutti abbiano ancora oggi le idee chiare, come il parco a tema creazionismo del Kentucky sembra attestare (riscrittura kitsch di un certo protestantesimo made in Usa).

 

https://creationmuseum.org/

https://www.youtube.com/watch?v=KsrtuvxDfrs

La Torà non è un testo scientifico! Essa non è impegnata nella ricerca delle origini antropologiche dell’uomo, né della sua evoluzione fisica e materiale. La Torà è una guida per la nostra ricerca ideologica ed etica della ragion d’essere, della creazione e della posizione dell’uomo nella creazione. Se insistessimo sulla sua verità scientifica, ci esporremmo inevitabilmente alle critiche degli scienziati. Che, d’altronde, navigano anch’essi nella più completa incertezza, annaspando alla ricerca della verità nell’imperscrutabile mistero della nascita dell’universo, dei mondi, dell’uomo […] Fin dall’inizio della Torà, quindi, ci rendiamo conto che le Sacre Scritture si interessano dell’Universo etico-spirituale piuttosto che di quello fisico” (Elia Kopciowski, Invito alla lettura della Torà, Giuntina p. 19).

I racconti di Genesi non sono un testo scientifico, anche perché la mentalità scientifica moderna ha origine nel XV d. C. circa. Questo però non significa che prima di allora non ci fosse altro che mito, teologia e metafisica, come il biologo François Jacob ci ricorda: “La scienza occidentale è fondata sulla dottrina monastica di un universo ordinato, creato da un Dio che resta fuori dalla natura e la governa per mezzo di leggi accessibili alla ragione umana” (Le Jeu des possibles. Essai sur la diversité du vivant).

 

William Blake, Urizen (1824)

 

Per questi racconti e in genere per i primi 11 capitoli del libro di Genesi si usa molto genericamente la categoria di “mito”. E per mito biblico si intende “una storia che mette in scena Dio, con tutte le prerogative dovute alla sua natura, ma in cui l’uomo svolge il ruolo di creatura familiare da lui giudicata. Come il mito pagano, esso ha lo scopo di rispondere alle grandi domande che l’umanità si pone: il che fa sì che ciascuna generazione, da quando si legge la Genesi fino ai giorni nostri, vi ha proiettato i propri pensieri più profondi” (Gilbert, cit., p. 81). Rispetto ai miti pagani, gli studiosi considerano i racconti di Genesi già un’opera di demitizzazione che Israele avrebbe prodotto, integrandoli nella storia biblica tanto da caratterizzarli appunto con i tratti della storia (concatenazione degli eventi e reazioni dei personaggi fuori da qualsiasi regime di fatalità che ne annullerebbe la responsabilità). L’umanità messa in scena in Gen 2 è infatti tutt’altro che idealizzata, in quanto mostra i caratteri dell’umanità di sempre, chiamata a scegliere liberamente, a confrontarsi con il limite e la possibilità di trasgressione che la legge simboleggia.

Per essere ancora più precisi dobbiamo perciò parlare di eziologie, ovvero racconti intesi a spiegare l’origine di uno stato di cose, di un costume, di una festa, di un luogo sacro, di un nome proprio. L’eziologia mostra cioè il valore fondativo che si riconosce a un evento del passato, in quanto capace di dare valore alla storia presente. Perché ogni evento viene prima vissuto come tale e solo dopo può assumere un significato ulteriore, diventando eventualmente evento di inizio. Nello specifico dei racconti delle origini, cioè che è accaduto in principio è stato desunto da quanto conosciuto e sperimentato nel presente storico della scrittura. L’intento è stato produrre una storia simbolica dell’umanità, affinché il lettore potesse comprendere che quanto è sotto i suoi occhi (ad es. guerre fratricide) è così da sempre (Caino e Abele).Le narrazioni bibliche di conseguenza sono molto di più di un’ipotesi scientifica, molto più di una venerabile leggenda primitiva. Le narrazioni bibliche creano e fondano l’identità di un popolo (P. Ricoeur).

 

 

[continua]

 

 

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