In principio…era la Parola

21 Aprile 2023Lorenzo Cuffini

 

Scritto da MARIA NISII.

 

Nel principio era la Parola. La Parola era presso Dio, significava la Parola di Dio, la Parola che era Creazione. Ma, nel corso di secoli di cultura umana, la parola ha acquisito altri significati, tanto secolari che religiosi. Avere la parola è divenuto sinonimo di autorità suprema, di prestigio, di potere, di persuasione enorme e talvolta pericoloso, di facoltà di apparire nella fascia oraria di massimo ascolto o in un talk-show televisivo, di dono dell’eloquenza o delle lingue. […]” (Nadine Gordimer, Scrivere ed essere)

Quando riceve il Nobel nel 1991, Nadine Gordimer ( nell’immagine di copertina ritratta con Nelson Mandela) pronuncia questo discorso richiamando l’incipit giovanneo per la potenza del termine Logos. Il significato assunto dalla scrittrice comprende infatti un asse semantico molto ampio, che va potenzialmente dalla scrittura (il suo è un Nobel per la letteratura) alla politica (è stata un’attivista anti-apartheid in Sudafrica).

 

 

Sta scritto: “In principio era la Parola”.

Ed eccomi già fermo. Chi m’aiuta a procedere?

M’è impossibile dare a “Parola

tanto valore. Devo tradurre altrimenti,

se mi darà giusto lume lo Spirito.

Sta scritto: “In principio era il Pensiero”.

Medita bene il primo rigo,

ché non ti corra troppo la penna.

Quel che tutto crea e opera, è il Pensiero?

Dovrebb’essere: “In principio era l’Energia”.

Pure, mentre trascrivo questa parola, qualcosa

Già mi dice che non qui potrò fermarmi.

Ma dà aiuto lo Spirito! Ecco che vedo chiaro

E, ormai sicuro, scrivo: “In principio era l’Azione”!

(Goethe, Faust, vv. 1224-1237)

 

Il dottor Faust ha trascorso la sua vita alla ricerca di un sapere che si è rivelato vano e deludente. Al colmo della disperazione pensa di non avere altra via che il suicidio, ma quando sta per bere il veleno ode il suono delle campane di Pasqua e i cori liturgici lo frenano da quel gesto anticonservativo. Ripensa all’infanzia e si commuove. Alla sera nel suo studio si accinge a tradurre i primi versi del vangelo di Giovanni, ma il cane che ha portato con sé dalla strada si rivelerà essere Mefistofele. È l’inizio della storia. Un inizio che, non casualmente, attinge al principio fondativo.

Hitler richiamerà questo passo del Faust deformandolo a suo piacimento, ma pure cogliendone la portata: “Io non amo Goethe. Ma sono disposto a perdonargli molto per via di una sola parola: ‘In principio era l’azione”.

Victor Klemperer, docente ebreo di letteratura francese nell’università di Dresda, che scampa al lager solo perché la moglie ariana si rifiuta di lasciarlo come avrebbe dovuto fare secondo le leggi dell’epoca, lavora come operaio in fabbrica nei reparti speciali dedicati agli ebrei, e dal 1933 al 1945 tiene un diario. Nel suo diario, egli racconta le parole in quanto fatti, realtà oggettive, testimonianze. Parole che raccontano chi le pronuncia, magari in modo inconsapevole o automatico. La lingua che per dodici anni un popolo ha usato per comunicare. In breve Klemperer racconta come le parole siano diventate “azioni”.

Anche la lingua del Terzo Reich ha quindi mostrato la sua potenza rivelatrice (nel senso che ha mostrato il vero volto delle cose) nell’occultare, distorcere, mistificare: “perfino in coloro che erano le vittime più perseguitate e che necessariamente dovevano essere nemici mortali del nazismo, perfino fra gli ebrei, dappertutto, nei loro discorsi, nelle loro lettere e anche nei loro libri finché poterono pubblicarli, altrettanto onnipossente quanto povera, resa anzi onnipossente dalla sua povertà, regnava la lingua del Terzo Reich”. Secondo Kemplerer, finendo col parlare la stessa lingua, si spiega come sia stato possibile che le vittime diventassero vittime di se stesse, accettando di consentire a quella logica perversa. Perché la lingua “ dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei”.

 

 

 

Della lingua allora bisogna essere consapevoli, attenti al suo potenziale manipolativo. Il poeta polacco Czesław Miłosz, a sua volta Nobel per la letteratura, che ha vissuto la persecuzione e l’esilio, osserva a questo proposito: “Chiunque detenga il potere può controllare anche il linguaggio, e non solo con le proibizioni della censura, ma cambiando il significato delle parole”. E chi con le parole lavora è più consapevole di altri che cambiare i significati o eliminarne (oggi si parla anche di cancel culture) cambia il modo di pensare. “I confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo”, diceva infatti Wittgenstein. Se non conosco le parole, se non so nominare le cose, non so neppure pensarle.

L’in principio è stato riscritto molte volte e in molti linguaggi da chi le parole le possedeva e sapeva maneggiarle. Non sempre a buon fine. Il riscrivere ha infatti anche un potenziale perverso, piegabile a ideologie malate e l’unico nostro vaccino è l’abitudine alla lettura, attenta paziente attiva. Leggi, lettore! Leggi! Sii co-creatore del testo che hai davanti e dagli forma plasmandolo con la tua immaginazione.

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