In principio…tu, dov’eri?

1 Aprile 2023Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da MARIA NISII.

 

Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? (Gb 38,4)

 

Dio chiede a Giobbe dove fosse lui In principio, nell’incipit del mondo. E prosegue, rispondendo alle accuse di Giobbe, apparendo in mezzo all’”uragano”. Quindi gli pone davanti agli occhi, in una serie di domande, gli elementi della creazione (terra, mare, fenomeni metereologici, stelle) e l’ordine che regna nella vita dei diversi animali, per dimostrargli in questo modo la potenza e la maestà del Creatore, il solo a conoscere l’ordinamento del mondo, perché è stato Lui a crearlo con sapienza.

La risposta divina esibisce la bellezza del creato, ponendosi su un piano estetico:

 Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai,
o chi ha teso su di essa la misura?
Dove sono fissate le sue basi
o chi ha posto la sua pietra angolare,
mentre gioivano in coro le stelle del mattino
e plaudivano tutti i figli di Dio?
Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando erompeva uscendo dal seno materno,
quando lo circondavo di nubi per veste
e per fasce di caligine folta?
Poi gli ho fissato un limite
e gli ho messo chiavistello e porte
 e ho detto: «Fin qui giungerai e non oltre
e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde».
(Gb 38)

Nei capitoli precedenti Giobbe si rivolge ripetutamente a Dio, perché desidera ottenere ragione del male ingiusto che sente di vivere. È il tema del giusto colpito da ogni sorta di sofferenza (negli affetti, nei beni e nella sua stessa carne). I tentativi di consolazione degli amici vorrebbero che se ne cercasse la ragione in un qualche torto commesso (secondo la tradizionale teoria della retribuzione), ma Giobbe rifiuta questo paradigma sostenendo instancabilmente la propria giustizia di fronte a Dio e agli uomini. Al lungo protrarsi del grido giobbico Dio infine risponde, ma la sua è una risposta non poco misteriosa e certo non risolve tutti i dubbi sollevati. Si tratta infatti di una affermazione della massima alienazione e inaccessibilità dell’ordine del mondo alla mente umana.

 

La risposta di Dio a Giobbe, serafini e cherubini che suonano musica galleggia in circoli intorno alla terra. In mezzo al vortice le lettere ebraiche per Jaweh

 

 

 Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine:
Chi è costui che oscura il consiglio
con parole insipienti?
Cingiti i fianchi come un prode,
io t’interrogherò e tu mi istruirai.
Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra?
Dillo, se hai tanta intelligenza!
(c. 38)

Dio parla a lungo (per 4 capitoli), ma non risponde con il linguaggio degli uomini. Le immagini di grandiosità divina espresse in forma poetica rappresentano soprattutto l’alterità irriducibile del divino all’umano. E tuttavia Giobbe, a suo modo, comprende:

 Comprendo che puoi tutto
e che nessuna cosa è impossibile per te.
Chi è colui che, senza aver scienza,
può oscurare il tuo consiglio?
Ho esposto dunque senza discernimento
cose troppo superiori a me, che io non comprendo.
«Ascoltami e io parlerò,
io t’interrogherò e tu istruiscimi».
Io ti conoscevo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti vedono.
Perciò mi ricredo
e ne provo pentimento sopra polvere e cenere
.(c. 42)

Che cosa resta all’uomo, nella prospettiva di questo libro biblico, quando il mondo così com’è non può essere accettato né spiegato razionalmente? Quel che resta è la protesta di Giobbe, che rivendica l’ordine in mezzo al caos, lottando alla ricerca di una visione unitaria di un mondo contraddittorio. E la visione unitaria, inutile dirlo, riporta sempre a quell’in principio, origine e fonte di tutte le cose.

 

 

 

 

Eccezionale riscrittura di questo brano è Tree of life di Terence Malick, film del 2011, in cui compare una citazione esplicita del libro di Giobbe: “Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri?”. La vicenda della famiglia viene infatti accostata al celebre antenato biblico. Ma quello che ci pare più rilevante è l’aver rappresentato la risposta divina nella lunga sequenza cosmogonica, in cui si mostra l’origine dell’universo, dalla nascita delle stelle alla prima divisione cellulare. La scena è preceduta da una fiamma circondata dall’oscurità, segno della luce divina, mentre nello sfondo risuona la voce della madre che chiede conto a Dio della morte del figlio: “Signore, perché? Tu dov’eri? Rispondimi”. E la risposta di Dio si dispiega nel racconto della creazione, qui rappresentato dal punto di vista divino. Un tentativo audace quanto efficace.

https://www.youtube.com/watch?v=W6w_znQYEF4

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Nel Corano (Sura 36 Ya-Sin 77-8) troviamo un tema simile, ancora dal punto di vista divino, in un testo che richiama i libri di Giobbe ed Ezechiele:

“Non vede l’uomo che lo abbiamo creato da una goccia di sperma? Ed eccolo in spudorata polemica. Ci propone un luogo comune e, dimentico della sua creazione, [dice]: «Chi ridarà la vita ad ossa polverizzate?».

La Sura 86 At-tariqu 5-6ne ripropone il motivo:

“Consideri dunque l’uomo da che cosa fu creato! Da un liquido eiaculato”.

I riferimenti coranici fanno risuonare la medesima alterità tra il divino e l’umano che appare nel testo giobbico. E certo tale risposta ha attraversato i secoli e scaldato gli animi di molti esegeti e commentatori. Secondo Karl Barth è un’accozzaglia cosmologico-zoologico-mitologica, ma anche Paul Claudel non usa mezzi termini: “Che delusione! L’Architetto orgoglioso ci porta su e giù per le sue costruzioni”. Guido Ceronetti sostiene invece che “al culmine della carrellata teofanica non entra l’uomo”, in quanto la manifestazione divina mira a strappare Giobbe “dalla galera atroce dell’Io”.

Seguiamo allora in conclusione l’interpretazione che ne dà George Steiner in Grammatiche della creazione:

La litania dell’interrogatorio ci assorda. Un dio vulcanico è in piena eruzione di poesia disumana. (Credo incondizionamente a coloro che affermano che nessuna traduzione o perifrasi, né quelle di Wyclif o di Tyndale o dei virtuosi del tempo di Giacomo I, né le imitazioni di Dante o di Goethe si avvicinano all’enormità dell’ebraico originale in questo testo dei testi. Questa grandezza sostenuta e questa inventiva linguistica senza pari suscitano, almeno in me, perplessità quanto al suo autore. È possibile che un uomo o una donna, con doti accessibili anche a noi, abbia inventato Giobbe 38-41 e trovato il linguaggio adatto alla sua espressione, un linguaggio che permette a Giobbe di vedere Dio attraverso l’ascolto?). […]

La sua risposta è quella di un Maître che agita il catalogue raisonné della sua oeuvre. Essa si situa nella categoria dell’estetica, e mette in mostra un disegno e una bellezza incommensurabili: l’alba, le stelle mattutine, le ali che lo sparviero spiega verso sud, la grazia dell’unicorno. Esibisce forme di forza sovrana: i leoncini nella tana, il fulmine, le ‘piazzeforti’ dell’aquila. Il supremo artigiano allude ai segreti della sua abilità: le fonti del mare, i serbatoi della neve. E nel passato più noto, Dio esibisce con particolari stupefacenti Behemot e il Leviatan, due mostri altrettanto affascinanti e di casa nei nostri incubi di quelli che ruggiscono e smaniano nei Jurassic Park della nostra industria cinematografica. Come un Leonardo perfetto, Dio ci porta in visita guidata attraverso una galleria di capolavori, primi schizzi, motivi misteriosamente codificati, esseri grotteschi e studi anatomici… Dio si rivolge a Giobbe dal suo atelier di artista. (p. 47-9)

 

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