La pasqua laica della Liberazione.
Scritto da LORENZO CUFFINI.
Dal punto di vista laico, civile, etico, il 25 aprile rappresenta per il nostro paese un momento di svolta e di ribaltamento. Dalla dittatura alla libertà riconquistata. Dalla guerra alla pace. Dall’oscurità alla speranza. Momento di passaggio, di cesura, di rinascita.
All’orecchio del credente, questi termini e questa situazione evocano direttamente il concetto della pasqua.
Quella dell’ Antico Testamento: dalla schiavitù sotto il Faraone alla libertà di Israele. Quella del Nuovo: dal buio del sepolcro, alla pietra rotolata via.
Si potrebbe obiettare che entrambi i casi riportati dalla Scrittura, sono manifestazioni principe dell’intervento di Dio, mentre le vicende della Liberazione sono espressione della azione umana, anzi di azioni umane in lotta e contrapposte fra di loro. Vero. Se non fosse che anche là si trattava di vicende dove c’è un oppressore e un oppresso, una tirannide che prevarica , una violenza assassina che si impone con la forza.
Si potrebbe osservare che quella della Liberazione è stata nient’altro che una delle tante guerre civili nei secoli, in cui alla fine una parte ha prevalso sull’altra, dettando a quel punto valori, lettura della storia, nuove forme sociali e politiche, fissando anche nuovi riferimenti culturali, nuove celebrazioni e perfino “liturgie” pubbliche. Insomma: niente di diverso dalla consueta dinamica vincitori/vinti, con i primi a stabilire le nuove regole del gioco e i secondi costretti alla “damnatio memoriae”. Vero. Se non fosse che ci sono stati uomini e donne, tanti, che al contrario hanno vissuto questa lotta come riproposizione dello scontro atavico tra il Bene e il Male; e, fra di loro, alcuni lo hanno fatto con una forte ispirazione religiosa concretamente cristiana, incarnata e “attualizzata” in quel momento; decidendo di testimoniare e di sacrificarsi personalmente sulle orme e in nome di Gesù Cristo, alla cui croce hanno aderito con la propria, in uno spirito di offerta e di martirio.
Uno legge le loro storie e non può che concludere di trovarsi di fronte a persone che hanno veramente “fatto Pasqua”, questa volta scrivendola con la P maiuscola, dopo aver avuto la coscienza e la volontà di passare per il Gestsemani e per il Calvario.
Una eco formidabile di questo modo di vedere, e soprattutto, di vivere le cose, si ritrova della celebre preghiera del ribelle di TERESIO OLIVELLI:
Signore,
che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce
segno di contraddizione,
che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito
contro le perfidie
gli interessi dominanti,
la sordità inerte della massa,
a noi,
oppressi da un giogo numeroso e crudele
che in noi e prima di noi
ha calpestato Te, fonte di libera vita,
dà la forza della ribellione.
Dio
che sei Verità e Libertà,
facci liberi e intensi:
alita nel nostro proposito,
tendi la nostra volontà,
moltiplica le nostre forze,
vestici della Tua armatura.
Noi ti preghiamo, Signore.
Tu che fosti respinto,
vituperato,
tradito,
perseguitato,
crocifisso.
Nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria:
sii nell’indigenza viatico,
nel pericolo sostegno,
conforto nell’amarezza.
Quanto piú s’addensa e incupisce l’avversario,
facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra.
Spezzaci, non lasciarci piegare.
Se cadremo,
fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente
e a quello dei nostri Morti
a crescere al mondo giustizia e carità.
Tu che dicesti:
“Io sono la resurrezione e la vita”
rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa.
Liberaci dalla tentazione degli affetti:
veglia Tu sulle nostre famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe della città,
dal fondo delle prigioni,
noi Ti preghiamo:
sia in noi la pace che Tu solo sai dare.
Signore della pace e degli eserciti,
Signore che porti la spada e la gioia,
ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.
Teresio Olivelli (Capitano degli Alpini ucciso da un kapo a Dachau – Medaglia d’Oro V.M.)
Qui, l’intervento di Dio è richiesto e pregato esplicitamente, con invocazioni secondo il linguaggio dell’Antico Testamento – Signore della pace e degli eserciti – e del Vangelo – Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso. E la prospettiva pasquale direttamente evocata: “Tu che dicesti: “Io sono la risurrezione e la vita” rendi all’Italia una vita generosa e severa.
Il cattolico resistente vede il suo destino unito e in prosecuzione a quello di Gesù Cristo. Scrive Olivelli: se cadremo, fa che il nostro sangue si unisca al tuo innocente. Per il credente, quella del sangue versato per non è “solo” (!) atto di sacrificio personale e totale per un bene collettivo e superiore, come per tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà. Ma è rimando immediato e vivo al significato sacramentale , a “ questo è il mio sangue” dell’Ultima cena, è risposta concreta all’invito “ fate questo in memoria di me”.
I Ribelli per amore, ciascuno secondo la propria indole e secondo la propria vocazione personale, scelgono e vivono l’offerta di sé in unione a quella di Gesù nell’orto, in strettissima partecipazione e comunione con lui stesso. Basti pensare a GINO PISTONI, il ragazzo che raggiunge le formazioni partigiane, ma a patto di agire disarmato, colpito a morte in montagna, mentre cerca di soccorrere un fascista ferito in una azione. Lo ritrovano cinque giorni dopo, morto dissanguato, con accanto il tascapane, sulla cui tela è riuscito a scrivere, con il dito intinto nel proprio sangue: “Offro la mia vita per l’Azione Cattolica e per l’Italia. Viva Cristo Re!”
O a IGNAZIO VIAN, imprigionato per mesi, torturato per giornate intere , per poi essere impiccato a un albero di un viale di Torino, che ebbe modo di scrivere con il sangue sul muro della sua cella: «Meglio morire che tradire». Su una pagnotta che venne ritrovata successivamente e che ora è conservata dai familiari incise un brevissimo messaggio per la madre: «Coraggio mamma».
Resistenti. Resistenti ed eucaristici, questi cattolici della Liberazione.
La Resistenza non fu che una << rivolta dello spirito >> fatta di dolore e di fierezza contro una aberrante ed allucinante concezione del mondo, della storia e dell’uomo, che veniva a sovvertire i valori supremi della esistenza, le basi stesse della civiltà umana e cristiana. Proprio per questo noi cattolici, sentiamo vivi più che mai i valori della Resistenza. Perchè prima come Italiani, e sopratutto per coerenza religiosa,abbiamo opposto e vogliamo continuare ad opporre con estrema fermezza alla materia lo spirito, alla dittatura la libertà, al culto dell’odio e della vendetta,l’aspirazione cristiana ad una fraternità di uomini, di classi, di popoli. …. I cattolici aderirono perciò al movimento della Resistenza con un bagaglio ideologico e psicologico ben preciso. Erano in alternativa la dittatura con il suo retaggio di violenze e sopprusi, e la libertà, prerogativa dei popoli che si ispirano ad una civiltà cristiana. Essi scelsero la libertà e fu una strada dura, di torture, di sofferenze e di sangue…
“Dobbiamo ancora insegnare che la Resistenza non è finita. Perchè la libertà è un bene che, conquistato si mantiene con una continua vigilanza. Libertà di essere noi stessi nel rispetto degli altri,.La Resistenza ha posto le premesse per un mondo migliore, ci ha indicato che il totalitarismo è una offesa alla dignità dello spirito. Per questo i cattolici celebrano la Resistenza più come un impegno per il futuro che come un ricordo del passato…
Mario Deorsola, Centro Studi Giorgio Catti, https://www.centrostudicatti.it/wp-content/uploads/2017/03/2017-04-04_Mostra01.pdf
Relativamente a questo “impegno per il futuro”, che riguarda il nostro oggi, ma sarà centrale anche per il domani e il dopo, vale la pena ricordare le parole di RENATO VUILLERMIN, giovane avvocato cattolico, militante e popolare che “pagò il suo impegno con l’emarginazione prima, con il confino politico poi e, infine, con la fucilazione quando le camicie nere da arrabbiate che erano diventarono selvagge. Agli albori del fascismo, ne aveva già individuato le contraddizioni e la pericolosità che denunciò senza rancore ma anche senza timidezza, specie in un Discorso in veste di Presidente regionale piemontese della Gioventù Cattolica Italiana letto a Novara nel luglio 1923. Intervento quasi profetico il suo”
Di questo discorso, ritrovato e ripubblicato di recente, segnaliamo alcuni passaggi che si addicono anche al nostro contesto oderno , in modo particolare alla inconciliabilità tra cattolicesimo e determinate prese di posizione e visioni del mondo e azioni conseguenti. Esse restano antitetiche e inaccettabili per il cattolico, anche se coperte e accompagnate da pubbliche manifestazioni di atteggiamenti formalmente religiosi e devoti.
“Venne il fascismo… ha evitato di compromettersi con qualsiasi dichiarazione ufficiale impegnativa, ma, per bocca di autorevoli capi, protesta il suo riconoscimento alla grandezza del Cattolicismo, fa un gran parlare di religione o almeno di religiosità, anche se richiesto non sa che contenuto abbia la sua religione . Passiamo decisamente all’esame della questione che ci assilla: è compatibile il fascismo col Cattolicesimo? Questo è il problema centrale. Risolto questo, poco importerà a noi il sapere se esso, per false concezioni e per tattica, si proclami rispettoso del Cattolicismo o magari anche Cattolico, se dal suo esame ne avremo rilevato il contenuto anticattolico. È un terreno oltremodo intricato quello che devo percorrere, perché il fascismo non è un partito con programma definito, con una faccia sola, ma un poliedro di diecimila lati diversi e sovente opposti, è un metodo più che altro, una specie di arca di Noè, in cui omne genus animalium è dominato dalla superiorità di chi ha esplorato molti ed opposti campi ed è più attività che pensiero.”
Vuillermin nota innanzitutto come il fascismo, dopo un periodo di ostilità e poi di ambiguità, si stesse rivolgendo ai cattolici in modo equivoco e strumentale: una mera patina di religiosità esteriore (“una fungaia di parole a tinta religiosa, in una coreografia a tinta mistica”) per conquistare l’appoggio politico dei cattolici e svuotarli così dal loro interno. Questo potrebbe portare a far sì che la Chiesa diventi serva del potere fascista, “carica di onori e d’oro ma serva”. Un rischio sempre vivo nella storia, tra le alterne vicende, quello di una Chiesa che si metta al servizio, non del Vangelo, ma dei valori dominanti del potere di turno.
Una precisa condanna del fascismo,la sua, che non ha avuto bisogno di attendere le “leggi fascistissime” del 1925-26, né l’asse Roma – Berlino del 1936, né le leggi razziali del 1938, né l’entrata in guerra nel 1940, per cogliere l’assoluta inaccettabilità della sua ideologia e della sua azione. Un discorso ammirevole, che conserva tutta la sua attualità, non solo contro i fascismi storici, ma anche contro le tentazioni nazionalistiche, imperialistiche, assolutistiche e violente (guerra compresa) che potrebbero esercitare un certo perverso fascino anche sui cattolici di oggi. (Paolo Milani)
_________________________
I materiali utilizzati per la stesura dell’rticolo provengono dalla consultazione di alcuni siti che ringraziamo:
- https://www.anpisondrio.it/wp-content/uploads/2016/11/TERESIO-OLIVELLI.pdf
- https://www.centrostudicatti.it/
- http://www.sdnovarese.it/
- https://www.isacem.it/