La questione della “legatura” di Isacco (1). Un sacrificio inaccettabile.

14 Luglio 2016Lorenzo Cuffini

Scritto da Maria Nisii.

 

La liturgia cattolica propone il brano del tentato sacrificio di Isacco (Gen 22,1-19) durante la veglia pasquale, leggendola come prefigurazione del sacrificio della croce. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (Gv3,16): ma l’atto d’amore per il mondo da parte di Dio è una giustificazione inadeguata nella società contemporanea, culturalmente distante dall’idea di sacrificio ritualmente inteso. E se, inevitabilmente, non può comprendere un Dio che ha bisogno del sangue per salvare il mondo, mostra ancora più fatica con un Dio che chiede a un padre di sacrificare l’unico figlio per dimostrargli fedeltà – “il signore non [è] gente di cui potersi fidare”, commenta infatti il caustico narratore del Caino di José Saramago (p. 66), introducendone il racconto. Quanto comprensibile resti allora quel padre, Abramo, che accetta di compiere il sacrificio del figlio è una questione che tento di abbozzare in prospettiva letteraria, grazie alla lettura di due voci del nostro tempo.

Margherita Oggero, uno degli autori di “Scrittori di Scrittura”, decide di riscrivere la storia di Isacco, personaggio da lei stessa definito uomo da “tragedia greca”. Sceglie quindi di ritrarlo negli ultimi giorni di vita, quando il patriarca si ritrova solo e stanco di vivere, a rievocare il passato con lo sguardo duro e impietoso di chi non trova pace. Segnato per sempre da quel sacrificio mancato, si arrovella attorno al dubbio di un Dio incomprensibile e di un padre, disposto a trattare per Sodoma e Gomorra, ma non per il proprio figlio. Nel tormento del dolore rivissuto emerge allora la grande domanda rivolta a Dio – perché? -, segno di un’inquietudine che accomuna gli uomini e le donne tutti, credenti o meno che siano. L’Amen, che dà il titolo al racconto e con cui si conclude il monologo del protagonista, chiude la sua scommessa su Dio con l’opzione negativa, consegnando l’ultima parola allo scetticismo e al suo timore.

Un altro autore contemporaneo, anch’egli non credente, ne propone un’interpretazione di tutt’altro tenore: la “legatura” è infatti per Erri De Luca il vincolo tra padre e figlio, per cui “Isacco si lega da solo alla volontà del padre” (E disse, p. 56). Da solo e volontariamente, si lega a quella promessa paterna a Dio e non compie atti che potrebbero svilirne l’ “eccomi”. Questa sua fede “seconda” è più grande di quella del padre, sostiene in un altro testo in cui aveva già commentato il racconto (Penultime notizie circa Ieshu/Gesù, p. 65). Una sola cosa desidera Isacco mentre sale su quel monte: che il padre sia disposto a esprimere anche a lui quella disponibilità. E quando la riceve – «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio» (Gen 22,7) – sorride, compiendo in questo modo la profezia che è il suo nome, Isacco, ovvero risata.

 

Erri De Luca, E disse, Feltrinelli, Milano, 2011

Margherita Oggero, Amen. Memorie di Isacco, Effatà, Cantalupa (Torino), 2014

José Saramago, Caino, Feltrinelli, Milano, 2012

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