La Resurrezione di Gesù a Ivrea
“La Resurrezione di Gesù” affresco di Martino SPANZOTTI nella Chiesa di San Bernardino a Ivrea (TO) -1485
Scritto da NORMA ALESSIO
Il momento della Resurrezione di Gesù non è raccontato nelle Sacre Scritture, vengono solo descritti i suoi effetti: la pietra rotolata, la tomba vuota, le apparizioni, così che gli artisti di ogni tempo lo hanno liberamente interpretato oppure hanno eseguito quanto richiesto dai committenti. La Resurrezione probabilmente non viene raffigurata prima del XII secolo, quando compaiono le donne al sepolcro lasciato vuoto, senza Gesù, che invece compare dal XIII secolo; da questo momento si sviluppa il nucleo drammatico e la scena è arricchita di particolari come i soldati posti a guardia, ma addormentati e riversi da una forza soprannaturale.
A differenza degli artisti orientali che hanno rappresentato la resurrezione come significato salvifico in cui Gesù, risorto con il corpo glorioso, scende agli inferi per liberare gli spiriti prigionieri, gli artisti occidentali mettono in luce il momento dell’uscita dal sepolcro, anche se questo non è citato nel Vangelo. Questa scena, soprannaturale in sé, deve trovare dei modi di rappresentazione reale per spiegare quanto è avvenuto senza discostarsi dalla verità: abbiamo così la scena di Gesù che esce dal sepolcro librandosi nel cielo come per una liberazione di energie, la più frequente, oppure Gesù che “emerge” dal sepolcro e appare ancora con corposa fisicità terrena.
Elemento simbolico pressoché sempre presente in tutti i dipinti con questo soggetto è lo stendardo con la croce, sorretto da Gesù risorto e, vicino al sepolcro, i soldati messi a guardia in numero e atteggiamenti diversi. In alcuni casi vi è anche l’angelo che avrebbe rimosso la pietra del sepolcro (Mt 28,2).
Martino Spanzotti a Ivrea raffigura, probabilmente nel 1485, sul tramezzo che separa il presbiterio dall’aula liturgica della Chiesa di San Bernardino, nel ciclo di affreschi sulla Passione di Gesù, in un unico riquadro tre diversi momenti salienti degli ultimi istanti della passione di Gesù. Tutti riconducono al tema della Resurrezione, ma se li confrontiamo con i Vangeli non troviamo la precisa corrispondenza. Infatti quello principale è tratto dal racconto di Matteo (28,4): per lo spavento che ebbero di lui [l’angelo del Signore, che qui non è raffigurato] le guardie tremarono tramortite; al posto dell’angelo però è presente Gesù benedicente, con nimbo cruciforme riferimento dell’evento pasquale (morte e resurrezione) con solo la ferita nel costato, caratteristica tangibile del Risorto accennata da Luca, che non esce del sarcofago, ma è di nuovo “fisicamente terrestre” con i piedi poggiati saldamente a terra ed è davanti ad una roccia, forse il sepolcro. Lo stendardo, completamente bianco, segno della vittoria sulla morte, è privo del simbolo comune della croce, che viene invece ripreso nella raffigurazione delle tre croci sul calvario, sullo sfondo. In lontananza una città con dei campanili o torri, cenno all’attualizzazione dell’avvenimento e le tre donne, che si stanno avvicinando al sepolcro reggenti ognuna un vasetto di unguenti: il loro nome è citato sia in Marco che in Luca: per il primo sono Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome; per il secondo, sono Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo.
La preoccupazione dell’artista è stata quella di passare attraverso un linguaggio semplice per comunicare il messaggio evangelico, altrimenti incomprensibile alle menti dei semplici, contribuendo a far diventare la bibbia la “biblia pauperum” ossia di coloro che non avevano ricevuto un’istruzione e che, non potendo leggere, dovevano accontentarsi di guardare le immagini, imparando da esse.