La terra si scosse
Scritto da MARIA NISII.
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 27,51):
50 E Gesù, emesso un alto grido, spirò.51 Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, 52 i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. 53 E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.
Al momento della morte di Gesù, solo Matteo parla di terremoto e di una serie di altri eventi “apocalittici”: lo squarciarsi del velo del tempio, lo spaccarsi delle rocce, l’apertura dei sepolcri, la resurrezione dei santi, l’ingresso nella città. Alcuni di questi eventi riproducono l’episodio delle ossa inaridite di Ez 37 (terremoto, apertura sepolcri, resurrezione, ingresso nella terra santa). In particolare il terremoto torna anche in Apocalisse all’apertura del sesto sigillo:
E vidi, quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a sangue (6,12)
e quando il settimo angelo versa la sua coppa:
Ne seguirono folgori, voci e tuoni e un grande terremoto, di cui non vi era mai stato l’uguale da quando gli uomini vivono sulla terra (Ap 16,18).
Si tratta di immagini teofaniche, volte a indicare l’irruzione di Dio nella storia degli uomini. Se infatti Dio è ritenuto autore e padrone della natura e di tutti i suoi fenomeni, l’evento sismico è percepito come una manifestazione della sua presenza attiva e sconvolgente. Questo linguaggio apocalittico è da un lato tradizionale e già ben noto nell’Antico Testamento (e in specie in taluni profeti Ezechiele, Amos, Zaccaria), ma pure criticato al suo interno come emerge nel ciclo di Elia:
Gli disse: «Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. 13Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.(1Re 19,11-13)
Trattandosi di un elemento suggestivo e foriero di divagazioni, ci si aspetterebbe di vederlo rifiorire oltremisura nelle riscritture. E invece il terremoto è un tratto tutt’altro che frequente all’interno della cornice narrativa in cui è inserito quel momento drammatico che è la morte di Gesù. Seguiamo solo una scelta di quattro proposte provenienti da altrettante forme espressive.
In questa crocifissione di Giuseppe Maria Crespi (1729), alla morte di Gesù il movimento terrestre riferito da Matteo è qui rappresentato dai soldati che cadono a terra terrorizzati. Il buio alle spalle del corpo di Cristo contrasta con la luce riflessa sul petto, una luce che dirada man mano nella parte inferiore del dipinto. Notiamo ancora come alla compostezza dell’uomo senza vita (in alto) corrisponda il caos degli uomini (in basso), dei soldati in particolare, i rappresentanti dell’ordine costituito. Questo terremoto appare così espressione di contro-creazione e di ricaduta del kosmos (ordine creativo) nel caos (il disordine prima della creazione). Tra gli uomini c’è una figura che rispetto agli altri si solleva, levando sguardo e braccio verso l’alto (il crocifisso), non è chiaro se per implorazione o imprecazione: la seconda se si considera la sua immersione nei colori scuri del cielo, la prima se fosse il centurione. Di fronte a costui vi è un uomo di spalle, su cui ricade parte della luce divina che promana da Cristo, ma che rivolge sguardo e braccio verso un altrove orizzontale (altri uomini, disorientamento?). Kaos e kosmos, luce e tenebre. Due mondi diversi ma non separati.Ne Il vangelo secondo Matteo di Pasolini (1964), Gesù ripreso in primo piano alza lo sguardo al cielo ed emette un forte grido al quale la terra reagisce tremando. La scena è ripresa mostrando il movimento sulle vecchie case arroccate, il crollare dei muri cittadini e il fumo che si leva dalle macerie.Segue una carrellata che sale verso il cielo a mostrare il sole velato da una spessa coltre di nubi, per poi registrare la corsa di un gruppo di donne spaventate. Quando la videocamera conclude il suo giro dalla città al Golgota, torna a inquadrare il cielo, dove questa volta il sole è tornato a brillare, un attimo prima di rivelare (ancora in primo piano, ma piegato di lato) il volto senza vita di Gesù.
https://www.youtube.com/watch?v=Awaso0MNprY
(2.05.41-2.06.47)
Tutta la sequenza è accompagnata dal sottofondo musicale di Mozart, MaurerischeTrauermusik K 477 (https://www.youtube.com/watch?v=–sDBQuz6DY).
Dalla mozartiana musica funebre modulata su un tempo di marcia passiamo agli adagi delle Ultime sette parole di Cristo sulla croce di Haydn (1796), dove il terremoto è stato messo in musica. Si tratta dell’ultima sequenza, preceduta da 8 adagi (introduzione e sette parole) e da una pausa di sospensione. La breve sequenza è introdotta da corni (come a riprodurre una chiamata dal cielo), mentre il terremoto vero e proprio è interpretato musicalmente da timpani e trombe, utili a dare il senso del crollo totale di cielo, terra e umanità tutta. Si tratta di un brano di soli due minuti e dunque di una chiusura decisamente veloce alle lunghe sequenze di adagi di dolore. È la ribellione violenta dell’universo alla morte di Cristo.
https://www.youtube.com/watch?v=oBsZKF3mcv8
(da 1.04.48 alla fine)
Nelle varie riscritture letterarie, il motivo del terremoto appare raramente e anche in quei casi è appena accennato. Lo sguardo di Gesù di Riccardo Bacchelli invece lo ripropone con una suggestiva variante. La narrazione costruisce la vicenda evangelica a partire da Itamar, l’ex indemoniato di Gerasa che segue Gesù sempre da lontano, per avvicinarsi ancora a colui che l’ha guarito solo sotto la croce, dove ne emula involontariamente il tragico destino,ucciso a sua volta dal nemico che lì ha ritrovato – Miasma, terrifica personificazione del male, come il nome suggerisce.
Itamar aveva desiderato da subito seguire Gesù ma ne aveva dovuto subire il rifiuto, attorno al quale si era a lungo arrovellato. Ma quando infine può di nuovo riavvicinarlo è troppo tardi e può solo assistere alla sua agonia. L’amore per il suo guaritore non può trovare allora migliore approdo che seguirne la sorte:
E fu il grido della morte, quand’emise lo spirito, e si fecer le tenebre, e la terra tremò, e i sepolcri restituirono corpi e spettri di morti, e si ruppe il velo del tempio. Ma quegli ch’era stato un tempo l’indemoniato della riva gerasena, Itamar, nel sentire che gli fuggiva dagli occhi la luce e che la terra gli mancava sotto i piedi per le tenebre cadute sul mondo e per il terremoto che lo scuoteva, non dava più mente a Miasma e alla feroce promessa dell’antico compagno. In quelle tenebre e in quella scossa, in quel grido supremo, accolse coscienza di morire insieme a Gesù.
Qui tenebre e terremoto non sono più causa di terrore, ma “coscienza di morire con Gesù”, pace ritrovata. Paradosso dell’amore.