L'”Agnus Dei” di De Gregori

24 Aprile 2021Lorenzo Cuffini

 

Scritto da  DARIO COPPOLA.

 

L’iconografia ci presenta il Cristo nel simbolo zoomorfo dell’agnello. L’origine ebraica di questa rappresentazione è chiara: il popolo d’Israele ha sempre vissuto di pastorizia, al punto di correre il pericolo di idolatrare i propri armenti, i propri greggi, i propri animali. Celebri sono i richiami dei Salmi a tal proposito; noi citiamo ad abundantiam in altre occasioni il Salmo 23 (22), nel quale lo stesso salmista si identifica in una pecora che va al pascolo e che dipende totalmente dal proprio pastore, che è Dio, fuori della metafora.

Nel Cristianesimo, si giunge all’apogeo dei paradossi: Cristo fa coincidere in sé gli opposti e così redime la creazione. In lui morte e vita si legano (passando per l’una si giunge all’altra), e questo passaggio, che era la PeSaK ebraica, diventa qui – nel Cristo – un esodo verso l’aldilà, quel mondo Iperuranio che per Platone non era raggiungibile che per l’anima. Cristo è servo e Signore, a un tempo e, insegnando a farsi servi gli uni degli altri, egli realizza la propria signoria sul peccato (amartìa), sulla debolezza, sulla morte; ma soprattutto Gesù Cristo è l’Uomo-Dio, colui che essendo di natura divina e assumendo quella umana redime l’uomo, signore del creato.

 

Il Salmo 8 recita: “Dio hai fatto l’uomo poco meno degli angeli […]/ tutto hai posto sotto i suoi piedi;/ tutti i greggi e gli armenti,/ tutte le bestie della campagna: gli uccelli del cielo e i pesci del mare […]”. E’, tuttavia, un altro il paradosso più emblematico per la nostra riflessione, indubbiamente raffigurato con più frequenza nell’arte scultorea, pittorica, musiva, nei versi della poesia… E si pensi anche alla musica: le messe musicate dai più noti artisti hanno colorato di emozioni le invocazioni di pietà dell’uomo rivolte a Dio, proprio incentrandosi su quell’eccellente paradosso, legato ancora una volta al mondo della pastorizia: Cristo stesso è l’Agnello e, al tempo stesso, è il buon pastore! Un pastore che ama il suo gregge al punto di farsi – lui stesso – Agnello… e portare (questa è la traduzione corretta di tollo, e non ‘togliere’ come viene erroneamente ripetuto), come un giogo, su di sé il peccato (e non ‘i peccati’) dell’uomo.

 

Nel 1996 è pubblicato “Prendere e lasciare“, un album musicale di Francesco De Gregori. Il testo di un brano ivi contenuto – L’agnello di Dio – è interessante per noi. Intanto, vale la pena soffermarsi sulla grafia e vedere che ‘agnello’ è, nell’album del cantautore, scritto con caratteri minuscoli. L’averlo scritto con la “A” maiuscola sarebbe stato un certo riferimento al Cristo. Inoltre, leggendo il testo, nel suo procedere, siamo sempre più sicuri che l’oggetto del riferimento è proprio l’uomo, quel particolare uomo che si fa agnello, ma che è – in realtà – un lupo feroce (Mt 7, 15).

Continueremo, a breve, ad analizzare qui il testo di questa canzone.

 

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  • In copertina: Jan van Eyck (1390 – 1441)  – Agnus Dei , Ghent Altar – particolare
  • Questo articolo di Dario Coppola è tratto dalla rubrica Religione e Società, da lui curata per il Corriere di Torino e della Provincia (testata storica, non più esistente), ed è già stato pubblicato il 26/10/1996.
  • Puoi ascoltare il brano citato di Francesco De Gregori qui: https://www.youtube.com/watch?v=SKh04dw4ujU

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