L’Annunciazione a Maria
Scritto da NORMA ALESSIO.
Le raffigurazioni sacre si distinguono tra opere religiose, devozionali e per la liturgia.
Se nell’arte cristiana gli artisti hanno interpretato, soprattutto nei secoli passati, le sacre scritture condizionati dai committenti e dalla destinazione finale dell’opera per contesti ecclesiastici, nell’arte religiosa vi è solo una rappresentazione di scene derivate o ispirate dalla Bibbia, ma non destinata necessariamente al culto; rappresenta il divino, ma non fa esclusivo riferimento alla religione cristiana, in quanto anche le altre religioni hanno le loro espressioni artistiche, esprime la fede personale dell’artista e il proprio rapporto con il divino.
Prendendo come esempio l’evento dell’annuncio a Maria del concepimento e nascita di Gesù da parte dell’Angelo Gabriele , riportato solo dall’evangelista Luca, vediamo l’interpretazione originale data da alcuni artisti che, nonostante fossero liberi da vincoli dettati dai committenti, hanno comunque mantenuto della simbologia riconosciuta.
Il dipinto di Orazio Gentileschi, eseguito nel 1623 per il Duca Carlo Emanuele di Savoia per la cappella della sua residenza a Torino a Palazzo Reale – oggi esposta alla Galleria Sabauda di Torino – presenta diversi particolari iconografici che si discostano da quelli che si vedono in altri di soggetto analogo appartenenti al primo Medioevo : un libro delle Scritture, le braccia incrociate sul petto, l’angelo che benedice, Maria inginocchiata. Lo schema compositivo non è quello tradizionale per raccontare l’Annunciazione, con l’incontro frontale tra l’Angelo a sinistra e la Vergine a destra; qui i due personaggi sono l’uno di fronte all’altro e la loro posizione è invertita, privi entrambi di aureola. L’evento è rappresentato come un incontro privato nella vita di Maria: l’ambiente intimo di una stanza domestica con un grande letto con le lenzuola scomposte e sopra il letto una tenda rossa aperta quale motivo non solo decorativo, ma anche iconografico, quale rivelazione di Dio come Verbo che divenne carne “e pose la sua tenda in mezzo a noi” (Gv. 1,14). Alla finestra c’è una colomba, non menzionata nel passo del Vangelo di Luca, ma riconosciuto simbolo dello Spirito Santo, a rappresentare il concepimento, sul fascio di una luce che filtra da essa senza infrangersi. L’angelo Gabriele, inginocchiato, ha l’indice alzato ad indicare la provenienza del messaggio – particolare, questo, nuovo – ma permane il tradizionale giglio fiorito simbolo della verginità di Maria. La mano della Vergine ha il palmo rivolto verso l’esterno ad indicare il riserbo iniziale; l’altra è ripiegata sul petto mostrando il dorso, simbolo del consenso avvenuto.
Anche nell’interpretazione del pittore Dante Gabriel Rossetti, la cui religiosità è di ispirazione protestante e anglicana, dal titolo ”Ecce ancilla domini” dipinto tra il 1849-50, si va al di là del modello iconografico tradizionale. L’evento è rappresentato con estremo realismo, l’ambiente volutamente ascetico e simile ad una cella; l’Angelo Gabriele è dipinto in forma completamente umana, si trova in piedi di fronte al letto della vergine e le porge un giglio; come Maria è avvolto in una veste candida, il cui orlo inferiore porta forti riflessi dorati. Maria appare spaventata e timorosa, l’espressione stupefatta, raffigurata nell’atto di destarsi da un sogno e di accoccolarsi su se stessa. Tutti gli elementi presenti nel quadro possiedono un preciso valore simbolico come la stola rossa e la tenda azzurra vicino alla finestra, oltre alla colomba, simbolo dello Spirito Santo. I toni bianchi creano un senso di ambiguità spaziale suscitando l’inquietante illusione che vi sia un vero angelo in carne ed ossa fluttuante nello spazio[1].
Un’opera più tarda, del 1898, che rappresenta lo stesso soggetto è quella di Henry Ossawa Tanner, artista afro-americano. La sua interpretazione raggiunge il culmine nella raffigurazione dell’Angelo come un ectoplasma luminoso, in contrasto col realismo del resto della scena, anch’essa ambientata in un povero interno orientale. Unici oggetti sono vasellame e tessuti. Quasi come in una cella, né porte né finestre sono visibili, la chiusura dell’ambiente inquadrato è totale. La luce tende a essere artificiale o, meglio, interiore. Seduta sul suo giaciglio, una giovanissima Maria è tornata a guardare verso l’apparizione, con atteggiamento perplesso più che interdetto. Solo le mani, congiunte e strette in grembo, ne tradiscono l’emozione.
Nella lettera agli artisti del 4 aprile 1999, Giovanni Paolo II ricorda che “… la Chiesa ha continuato a nutrire un grande apprezzamento per il valore dell’arte come tale. Questa, infatti, anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha un’intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle condizioni di maggior distacco della cultura dalla Chiesa, proprio l’arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso l’esperienza religiosa”.
[1] Rossetti appartenne alla Confraternita dei preraffaelliti. I temi sono quelli biblici, sovente del Nuovo Testamento e si rifanno a un cattolicesimo delle origini. I Preraffaeliti recuperarono il simbolismo dell’arte cattolica primitiva, venendo addirittura accusati di lanciare oscuri messaggi religiosi. Nessuno di loro però era un cattolico praticante e consideravano la Bibbia un libro che conteneva piuttosto storie letterarie e poetiche che non temi teologici. A differenza di quello che avveniva nei secoli precedenti, le figure assumono caratteri psicologici; invece di concentrarsi esclusivamente sul simbolismo dei gesti e degli oggetti, gli artisti ritraggono anche sentimenti ed emozioni. La sfida per gli artisti protestanti era quella di trovare un modo di far rivivere l’arte religiosa senza però ripiegare su un’idealizzazione delle convenzioni rappresentative di matrice cattolica. La Bibbia era considerata una fonte di drammi umani, cui attingere per i suoi significati letterari e poetici, piuttosto che per i messaggi teologici in essa racchiusi.