L’unzione e la bellezza

21 Marzo 2020Lorenzo Cuffini

Scritto da  MARIA NISII.

 

Nel primo libro di Samuele, dopo la riprovazione di Saul, primo re d’Israele, il profeta è chiamato a compiere una nuova unzione, che significa investitura divina per una missione, ovvero un compito e una responsabilità per chi la riceve. «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re» (1Sam 16,1): Samuele esegue le indicazioni del Signore e si reca nella casa di Iesse a ungere il nuovo eletto. Ma a partire dal figlio maggiore nessuno dei giovani presenti nella casa sembra adatto: «Non guardare al suo aspetto né alla sua statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (v. 7). I commentatori fanno notare come l’elezione chieda di non guardare all’aspetto fisico, di cui il primogenito pare dotato (come già lo era Saul – cfr 1Sam 9,2); la scelta di Davide poteva dunque limitarsi a indicare la rettitudine del cuore. Invece anche di Davide si sottolinea l’avvenenza («Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto», 1Sam 16,12), forse anticipando quello che sarà l’ascendente esercitato su uomini e su donne oppure rimarcando la bellezza (e il potenziale di grandezza) presente negli ultimi e negli emarginati.

 

 

«Il fiume di tempo fluito da quel giorno non ha sfibrato il ricordo smagliante del forte pastore, muscoli, impeto, che mi sorprese, mi cadde addosso, mentre sul monte pascevo le pecore di mio padre, non lontano da Betlemme, estate piena, l’afa bruciava l’erba, avevo undici anni, era mezzogiorno» , racconta il Davide di Carlo Coccioli ( “Davide”, p. 20) in un romanzo che sposta il punto di vista dalla narrazione biblica onnisciente al racconto in prima persona del protagonista. E non è un cambiamento da poco. Nei due libri di Samuele, Davide è soprattutto raccontato, descritto come soggetto d’azione e interlocutore in dialogo con gli altri personaggi – dei suoi pensieri non si sa quasi nulla fino all’età matura e dopo la crisi per l’adulterio con Betsabea e l’omicidio di Uria. Nel romanzo il discorso appare rovesciato: sono gli altri a essere osservati da Davide e da lui raccontati. E il Davide narratore qui concede ampio spazio a quell’evento originario che è l’unzione, ritornandovi più volte, come se non si potesse mai esaurirne il senso (non è così anche per il racconto di vocazione sulla via di Damasco?).

Alla seconda rinarrazione l’episodio è riportato dalla voce del profeta Samuele, che successivamente riferisce a Davide la paura avuta di non ben comprendere. «E, quando ti vidi, ti riconobbi all’istante. Sì, ti riconobbi all’istante, Davide, ma come, perché ti riconobbi?, e ora te lo dico: ti riconobbi dalla ferita che ti divideva in due: il tuo essere doppio, e il dialogo interminabile tra i tuoi due abitanti» (p. 39): con queste parole Samuele intende quella dualità con cui Davide stesso si racconta – quasi una versione narrativa della complessità del personaggio, utile a mostrare la contraddittorietà umana. Davide infatti è uno dei personaggi biblici più elaborati, vero e proprio personaggio letterario e insieme figura dell’uomo di fede in tutte le sue contraddizioni.

 

Michelangelo,David (1504)

 

Più avanti nel racconto il protagonista torna ancora sulla sua investitura, soffermandosi sulla percezione sensoriale: «Un liquido tiepido mi bagnò la fronte, i capelli. E le mani di Samuele mi toccarono, appesantendosi sul mio corpo. Poi restò fermo davanti a me dandomi l’impressione di un’immensa lassitudine» (p. 47). Ma subito dopo sente il bisogno di fuggire: una reazione di rifiuto tipica dei racconti di vocazione – da Giona che cambia strada a Geremia che dice di essere giovane e non saper parlare.

I successivi accenni all’unzione sono invece offerti in forma di domanda: «ero stato l’oggetto di una scelta di cui ignoravo i criteri» (p. 53); la sua elezione ha infatti rappresentato la reiezione di Saul e la conseguente afflizione del re, che Davide subirà in termini di persecuzione e costrizione all’esilio. Infine, ripensando alla risposta che a suo tempo aveva dato il giovane Samuele [1] e alle parole dello shemà [2] – Davide comprende: è nell’ascolto e nell’abbandono che è chiamato a vivere (ma sempre insieme alla tentazione di fuggire!). E conclude: «Siamo liberi; ognuno risponde secondo la propria anima» (p. 94).

Sul bell’aspetto e il fascino di Davide, che accompagna il racconto d’investitura del futuro re d’Israele, il biblista Paul Beauchamp offre un’accattivante esegesi seguendo una linea estetica, nella quale evidenzia come questo elemento rispecchi l’essere a immagine di Dio. In perfetta continuità con tale interpretazione si pone la versione romanzata: «Siamo differenti dagli Altri anche perché siamo belli. La malevolenza delle nazioni ci circonda anche a causa della nostra bellezza, e della consapevolezza che ne abbiamo. Non ci perdonano, insomma, la Tua immagine in noi» (p. 32).

Ma questo Davide coccioliano non è solo bello, egli ama la bellezza che traduce in versi e canti, secondo la tradizione che lo vuole autore di diversi salmi biblici: «Tu sei il più bello dei figli di Adamo, sulle tue labbra è sparsa la leggiadria… mirra e aloè e cassia profumano le tue vesti, in palazzi di avorio ti rallegrano gli strumenti a corda» (p. 21 – cfr Sal 44).

 

Marc Chagall, Il re Davide (1951)

 

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  • In copertina: Samuele unge David (Dura Europos, Siria, III secolo)

[1]                    «Parla, perchè il tuo servo ti ascolta!» (1Sam 3,10)

[2]                    «Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio…»: si tratta della preghiera che ogni ebreo recita quotidianamente al mattino e alla sera.

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