Nato da donna ( Myriam, 2)
Scritto da MARIA NISII.
Le attestazioni neotestamentarie – “Nato da donna” (Gal 4,4), “figlio di Maria” (Mc 6,3) – sottolineano il legame del Figlio alla madre invece che al padre, come avrebbe voluto la cultura patriarcale. Un legame indispensabile a dire la condizione carnale di Gesù, sebbene della figura storica della madre sappiamo davvero poco e al massimo possiamo desumere per differenza. Lavorare sui silenzi dei testi canonici non è un buon approccio per biblisti e teologi, ma è precisamente il filone su cui si è mossa la tradizione narrativa, dapprima apocrifa e poi letteraria, con interessanti intersezioni. Un ulteriore percorso di ricerca sarebbero poi le sacre rappresentazioni, nate per nutrire una fede popolare colorata di toni affettivi, ma altrettanto frutto dell’immaginazione.
“Vorremmo sapere dove ella (Maria) passò, come ella passò quei tre anni di vita pubblica del suo Figliuolo; specialmente dopo la morte di Giuseppe, che avvenne quasi subito. Vorremmo sapere se le giungevano notizie di lui, della sua predicazione in Galilea e Giudea, dei miracoli che egli faceva per consolare madri e padri con la guarigione e la risurrezione dei loro figliuoli. Vorremmo sapere se era al corrente del fatto accaduto alla vedova di Naim, cui aveva resuscitato l’unico figliuolo. Vorremmo sapere… Vorremmo sapere se qualche volta l’ha visto tornare – magari segretamente – al paese, varcare la soglia della povera casa, sedersi al povero desco e raccontare, raccontare, raccontare… tra le sue lagrime e i suoi baci” (Cesare Angelini, La Madre del Signore, 1961)
Il desiderio di colmare i vuoti evangelici è stato dunque il motore di questa vastissima produzione di testi, mossa da interessi e intenzioni differenti, dagli esiti talvolta eccezionali, altre volte problematici. Un panorama irriducibile che obbliga qualunque indagine alla necessità di porre un argine entro il quale muoversi, perché mentre ancora si sta lavorando il magma tentacolare della elaborazione attorno al tema mariano procede inarrestabile, inafferrabile, smisurato.
In Lei di Veladiano, l’indubbio ricorso all’immaginazione che ci si attende da ogni romanzo è tuttavia calibrato con cautela e delicatezza. L’io narrante aggiunge dettagli a una storia che essenzialmente non corregge, fin troppo attenta a restare negli argini della tradizione – sbilanciandosi volontariamente sul fronte della teologia e meno su quello della letteratura, capace tuttavia di dire molto anche laddove sembrerebbe tradire. Se infatti le riscritture letterarie non hanno necessariamente l’ambizione di interpretare un dato biblico, storico e teologico, offrono però un notevole contributo sul versante della recezione, mettendo in luce l’insoddisfazione delle storie ricevute o cercando nella via narrativa una possibilità di dialogo col mondo, che dai propri dubbi apra un fronte percorribile altro.
Anche Veladiano nutre le sue insoddisfazioni e così rivela, ad esempio, che la scena dell’annunciazione non può funzionare senza Giuseppe, che quindi inserisce come una presenza già stabile e legato a Maria da un rapporto d’amore, indubbiamente più necessario alla nostra odierna comprensione che alla storicità degli eventi – «Solo chi non sa niente dell’amore può pensarmi sola il giorno dell’Angelo» (p. 22). Giuseppe c’era ma non ha partecipato e Maria ha scelto anche per lui, da donna emancipata, in contrasto con il suo tempo – come un notevole filone interpretativo l’ha immaginata. Al cosiddetto “padre putativo” ridona pertanto nuovo spessore, in linea con le altre riscritture letterarie che tentano di far uscire questa figura dall’ombra in cui è relegata nei Vangeli: «Giuseppe è vero padre… ha trovato il riparo dove il Bambino è nato, ha messo il suo mantello sulla mangiatoia, è stato marito, madre, levatrice nell’ora del parto, ha tagliato il cordone e ha consolato il Bambino del primo brivido di vita terrena… Giuseppe è stato chiamato a essere padre del Bambino e padre anche mio, ha protetto chi gli è stato affidato… chi può dire che Giuseppe non sia padre?… Nessuno dica putativo. Giuseppe è padre come io sono madre. Per grazia. Gesù ha avuto due padri, per grazia» (p. 135).
Se Lei rilegge la tradizione canonica tutto sommato con estrema accortezza, corregge invece le riscritture apocrife con altrettanta forza. È il caso dell’episodio degli uccellini di argilla a cui il piccolo Gesù avrebbe dato vita, descritto nel Vangelo dell’Infanzia secondo Tommaso e qui riproposto in una scena di grande tenerezza, in cui Maria si accorge che il suo bambino, inconsapevole delle conseguenze, stringe troppo forte nella mano un uccellino. Preoccupata dell’effetto che potrà produrre sul piccolo la scoperta di aver tolto la vita all’animale, gli si avvicina per scoprire che l’uccellino è nuovamente in grado di riprendere il volo non appena liberato dalla presa. Quel primo miracolo inconsapevole sarebbe poi passato di bocca in bocca, uscendone naturalmente deformato, quasi a offrire il resoconto di come possano essersi formati quei racconti non tradizionali (p. 83).
Caro Crivelli, Madonna col bambino
Pinturicchio, Bambin Gesù delle mani.