Nel mio principio…
Scritto da MARIA NISII.
Agostino esclude la nozione di un tempo anteriore alla creazione. Allo stesso modo Heidegger, per cui Sein e Zeit, essere e tempo, sono coestensivi: il tempo avviene nell’essere e essere significa essere nel tempo. Ma queste interpretazioni richiamano l’associazione con il greco en arché (Gv 1,1), parola impiegata per esprimere la ricerca del fondamento di tutte le cose. Nella tradizione giudaica invece il termine bereshit deriva dalla parola rosh, capo, di norma inteso in senso temporale e direttamente riferito alle parole che seguono. Nel nostro contesto l’espressione è posta all’inizio dell’atto creativo di Dio, sorta di premessa alle parole “Dio disse”, che rappresentano l’irrompere di tale azione creatrice.
Ora, per quel che riguarda l’inizio assoluto o i tanti inizi relativi (storici, personali), si scopre che si tratta sempre di qualcosa di inafferrabile in quanto tale: lo è l’inizio del risveglio o del sonno di cui non si può essere consapevoli, lo è ogni nascita in quanto non lascia ricordo. Nella storia poi un evento fondatore viene riconosciuto in questa sua qualità sempre a posteriori. E ogni volta che si racconta una storia si risale il tempo, ricordando e individuando un’origine. Ma l’origine è qualcosa in mano ai discendenti, mai a coloro che quell’evento l’hanno vissuto. La storia di Israele inizia da Abramo o da Giacobbe-Israele? Oppure va fatta risalire fino alla Creazione?
L’In principio dice qualcosa di più dell’inizio temporale, parla delle origini, di una genesi e derivazione di tutto quanto esiste.
“Vi sono parole che scaturiscono da migliaia di cose, e parole che scaturiscono da altre parole: senza fine… Ma vi è una Parola che scaturisce dal silenzio, la Parola a fondamento dell’universo. Questa Parola non si può comporre. Non è frutto delle nostre mani, né dei nostri pensieri. Dobbiamo attendere in silenzio, finché non si faccia udire: Avvento… Grazia. Ascoltata questa Parola, tutto il corpo risuona e ci si rende conto che è stato il mistero del nostro Essere a parlarci, dal suo oblio. Il poeta francese Mallarmé sognava di scrivere un libro con una sola parola. Pensavo fosse pazzo… Adesso […] credo di capirlo: voleva cogliere la prima parola, il principio di tutte le altre. Questa è l’essenza della poesia: il ritorno alla Parola fondante, che scaturisce dall’abisso del silenzio” (Rubem Alves, Parole da mangiare p. 13)
Temp’era dal principio del mattino,
e il sol montava in su con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle
(Inferno, I, 37-40)
Si tratta del momento in cui il pellegrino intraprende la propria avventura ultramondana: è l’equinozio di primavera, il Venerdì santo del 1300. Ma tale momento è descritto anche come un tempo corrispondente all’istante della creazione, quando Dio per un puro atto d’amore dette impulso al sole, alle stelle e alle cose belle. Nel principio creativo sta il principio del viaggio, dal quale sgorga la creazione poetica. Un principio personale nel principio universale. È la parola poetica che ritorna alla Parola fondante, sgorgando dall’abisso del silenzio.
«Nel mio principio è la mia fine… Nella mia fine è il mio inizio»
(T. S. Eliot, inizio e conclusione di East Coker, secondo dei Quattro quartetti)
Prosegue la riflessione sull’in principio e il tempo, della parola poetica nel suo fondarsi, il poeta inglese T.S. Eliot, che in questo celebre verso richiama invece Eraclito, per cui “principio e fine sono la stessa cosa”, intendendo come nell’inizio (la nascita) sia già implicita la fine (la morte). La sua ripresa, rovesciata, a conclusione del quartetto indica invece come la morte sia inizio di vita nuova. La data in cui si fa memoria dei santi è infatti quella della morte, Dies natalis, ovvero il giorno della loro nascita al cielo.