Pietà

20 Giugno 2020Lorenzo Cuffini

Scritto da  MARIA NISII.

«Amo questo momento. L’abbraccio di mia madre è di una dolcezza estrema, ci ritroviamo per l’ultima volta, sento le sue carezze e il suo amore, le madri a cui muore un bambino hanno bisogno del corpo del figlio scomparso, proprio perché così, ai loro occhi scomparso non sia. Tanto avevo detestato incontrare mia madre dopo la prima caduta sotto il peso della croce, quanto adesso amo stare un’ultima volta tra le sue braccia. Non piange, quasi percepisce il mio benessere, mi dice parole adorabili, mio piccolino, mio passerotto, mio agnello da latte, mi bacia sulla fronte e sulle guance, l’emozione mi fa trasalire, e stranamente non ho dubbi sul fatto che lei se ne accorga. Non sembra triste, al contrario. Ciò che chiamano la mia morte l’ha ringiovanita di trentatré anni, com’è bella la mia mamma adolescente!…

Nella Pietà all’entrata della basilica di san Pietro Maria sembra avere sedici anni. Potrei essere suo padre. Il rapporto tra noi è talmente invertito che mia madre è diventata la mia orfana. Comunque sia, le rappresentazioni della mater dolorosa sono sempre inni all’amore. La madre riceve il corpo di suo figlio con tanto più trasporto sapendo che quella sarà l’ultima volta» (AmélieNothomb, Sete, p. 89-91).

 

In una riscrittura è sempre un azzardo dare la parola a Gesù di Nazareth. Quale voce sarà credibile o quantomeno in grado di rendere un personaggio che nei testi originari è raggiunto solo dallo sguardo di altri? In questo recente libro di Nothomb, autrice belgo-nipponica di grande successo, Gesù parla da un tempo successivo (come visto, conosce le opere d’arte riprodotte nei secoli), sebbene appaia ancora vincolato al presente raccontato. Per l’interesse di questo breve pezzo, soffermiamo la nostra attenzione sulla scena della Pietà ritratta in numerose varianti dagli artisti, ma esemplarmente celebre nella versione di Michelangelo. Anche il Gesù di Nothomb la ricorda, evidenziando il volto di una madre ringiovanita, che diventa «figlia», figlia del suo Figlio appunto come nel Paradiso di Dante (canto XXXIII). La Maria ritratta è di nuovo la giovanissima madre che ha stretto tra le braccia il suo piccolo – per questo il suo volto non è distrutto dal dolore ma possiede un’insolita dolcezza.

 

 

L’immagine della madre che tiene tra le braccia il corpo del figlio ha suscitato una serie di interpretazioni che sembrano rimandare l’una all’altra. Ne vediamo qualcuna. A proposito del ringiovanimento di Maria, ci sembra acuta la lettura che ne dà Massimo Cacciari in Generare dio, quando sostiene che l’incarnazione del figlio «disincarni» la madre, che sin dal parto è già subito la mater dolorosa della croce: «nel momento stesso in cui lo stringe a sé dolcemente, ne prova anche pietà, e insieme pietà per se stessa, poiché avverte di doverlo perdere. Vorrebbe trattenerlo, ed ecco è come già le fosse strappato. Appena partorito è già come deposto sul suo grembo» (p. 100). È così che il filosofo vede una corrispondenza tra alcune rappresentazioni delle Madonne con bambino e le Pietà, dove il corpo senza vita ritorna nel grembo della madre.

Adesso la mia sventura si fa piena, indicibilmente

mi fa colma. Sto rigida come lo è

nell’intimo una pietra…

Ora giaci attraverso, sul mio grembo,

ora te non posso più

io partorire.

(Rainer Maria Rilke, Pietà da Vita di Maria)

 

Nel suo poemetto dedicato a Maria, Rilke ritrae a sua volta questa dimensione richiamando il grembo e il parto. Ma nella rigidità del dolore vi è già la «pietra», ovvero il richiamo alla fissità marmorea che meglio d’altri mezzisembra riuscire a esprimere la materialità del dolore, che blocca, irrigidisce, impietrisce. Qualcosa di analogo compare anche nel romanzo Lei, che Mariapia Veladiano ha dedicato alla storia evangelica dal punto di vista della madre: «io e lui un filo, un cordone di sangue di nuovo fra noi… Poi lo hanno deposto fra le mie braccia e di colpo la danza si è fatta roccia. Solo poco ho trattenuto il suo calore, poi è diventato freddo, già marmo pronto per le pietà. Ho respirato, ancora respirato, al posto suo» (Mariapia Veladiano, Lei, p. 156-7). Il cordone, il legame di sangue e sotto il segno del sangue. Poi la danza – il movimento che ha condotto la madre fino al Golgota – si interrompe, in un passaggio dal fermo immagine alla statua.

La riscrittura romanzata e poetica sembra in questo caso più debitrice dell’opera michelangiolesca che dei vangeli, in cui – come noto – questa scena non esiste. L’arte ha infatti ampliato l’immaginario tradizionale della passione con una serie di raffigurazioni divenute «canoniche», quali la deposizione dalla croce, il compianto sul Cristo morto o l’abbraccio iconico «non piangere, madre mia» (vedi sotto).Nel Messia di Roberto Rossellini, pellicola del 1975, Maria segue il figlio durante la vita pubblica, insegnando a sua volta – come gli stessi discepoli – alcuni dei detti evangelici di Gesù. Questa madre ha lo stesso volto consapevole del figlio e dunque non teme durante la passione, né piange alla sua morte, a differenza delle altre donne. Ma soprattutto questa Maria non invecchia e resta giovane fino alla fine quando, sotto la croce è inquadrata in primissimo piano. La scena successiva [2.10.50] ritrae quindi la «pietà», mostrandola donna nell’atto di ripulire il (poco) sangue da una mano di Gesù, per poi accostarsela alla guancia. Un’immagine quasi statica inevitabilmente mirata a riprodurre la celebre icona.

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In copertina:

Michelangelo, Pietà (1499)

 

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