Qual è il giorno? Qual è l’ora? Troppo tardi!

17 Luglio 2021Lorenzo Cuffini

Scritto da  NORMA ALESSIO.

 

Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!». Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono». Le sagge risposero: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene». Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, signore, aprici!». Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco». Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.” (Mt. 25, 1-13)

 

L’evangelista Matteo, unico degli evangelisti che riporta questa parabola, sviluppa un insegnamento sulla fine dei tempi e la utilizza per esortare a essere pronti nell’ attesa del ritorno di Cristo. Il fatto è ripreso dalla vita quotidiana in un villaggio palestinese: il giorno precedente le nozze, al tramonto, il fidanzato si recava con gli amici a casa della fidanzata, che lo attendeva insieme ad alcune amiche al proprio posto dopo un preciso segnale. Questa parabola fu spesso sintetizzata con l’immagine delle dieci vergini distinte in stolte (o folli) e sagge (o savie, prudenti) come nelle sculture a tutto tondo poste ai lati dei portali di ingresso di edifici religiosi romanico-gotici del XII-XIII secolo, soprattutto francesi e tedeschi, nell’ambito delle rappresentazioni del giudizio universale poste nel timpano centrale. Le figure delle vergini erano in origine colorate, i capelli, ad esempio, giallo vivo, alcuni anche castani, gli elementi decorativi come fasce per capelli e cinture erano dorati, le vesti, se non anche dorate, offrivano una in vari toni locali e con i loro ornamenti una vista magnifica.

 

In Francia, a Strasburgo, statue delle vergini decorano i piedritti laterali del portale principale della Cattedrale di Notre-Dame, come allusione al giudizio finale e al diverso destino degli eletti e dei dannati. Le vergini sagge sono ritratte sorridenti con le loro lampade a olio, accolte e benedette dallo sposo divino. Le vergini stolte invece, rovesciano e buttano via le lampade ormai prive d’olio e divenute inutili, cedendo alle lusinghe del Tentatore, un giovane sorridente ed elegante, che le attrae con la simbolica mela di Eva.

 

 

In Germania, a Erfurt, nel portale Est della cattedrale gotica, in corrispondenza del transetto, lo scultore ha rappresentato nelle giovani i loro diversi sentimenti: le sagge sicure di sé sorreggono con orgoglio le loro lampade nella mano, mentre all’opposto, le stolte hanno le lucerne cadute.

 

 

A Magdeburgo, nel transetto Nord della cattedrale, lo scultore accentua i sentimenti elementari di felicità, da un lato, in cinque gradazioni dei sorrisi, da dolcemente sobri ad ampi; di tristezza, dall’altro, con l’espressione che va dalla contemplazione silenziosa ai gesti di lamento e di pianti esagerati. In questo modo lo spettatore medievale, a cui era rivolta la scena, viene posto subito di fronte al giudizio finale con la forza tremenda dell’accostamento tra beatitudine eterna e dannazione eterna.

 

 

 

 

 

Nelle pitture questo tema talvolta è utilizzato in occasione di nozze; le vergini sono a simboleggiare l’attesa dello sposo. In quelle dipinte a Parma tra il 1530 e il 1539 da Francesco Mazzola detto il Parmigianino sull’intradosso dell’arco trionfale nella chiesa della Madonna della Steccata di proprietà dell’omonima confraternita, le ragazze, in numero ridotto, forse per mancanza di spazio, sono tutte esili, aggraziate, eleganti e bellissime con sul capo vasi colmi di gigli: in ombra le stolte con le lanterne spente, cupe e riflessive e in luce le sagge, con le lanterne accese, sorriso sulle labbra, volto luminoso, ma tutte prive di impulso religioso. In questo caso il soggetto ha anche un altro preciso riferimento: la donazione della confraternita per la dote del matrimonio alle giovani povere e oneste che sfilavano in processione per le vie cittadine.

 

 

Lo stesso soggetto viene trattato nel dipinto del 1890 da Giulio Aristide Sartorio, artista romano (1860-1932), non come un tema teologico, ma come una storia letteraria e poetica, distante dalla pittura sacra medioevale, pur traendone ispirazione, in cui è evidente un’atmosfera tipicamente preraffaellita dove è recuperato il simbolismo dell’arte cattolica primitiva. Quest’opera è conservata a Roma presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna, non era, quindi, destinata a un luogo sacro, ma fu commissionata per le nozze del nobile romano Giuseppe Primoli, amico dell’artista. Sartorio inserì questa parabola in un trittico, elemento caratterizzante i dipinti dei secoli precedenti:  un’opera d’arte sacra, che consiste in un insieme di tre dipinti in qualche modo collegati, di cui uno centrale più grande e due laterali ad esso incernierati (vere e proprie ante, talvolta chiudibili). Il trittico  bene si conviene a tutti e tre i momenti del racconto che lui interpreta: la parte centrale con la ripartizione fra sfera celeste, con il coro di angeli, e sfera terrestre, con la porta del cielo semichiusa, ripresa dalle Porte del Paradiso del Battistero di San Giovanni a Firenze, attraverso cui è possibile intravvedere le scale che conducono a una dimensione altra;  le due parti laterali, dove sono raffigurate nello scomparto di sinistra le vergini savie e nello scomparto di destra quelle stolte, legate alla festa di nozze che si stava svolgendo. L’artista ha dato molto risalto alla preziosità dei particolari come il pavimento cosmatesco, le aureole in stucco dorato degli angeli, le vesti femminili che richiamano i costumi quattrocenteschi, con la resa dei tessuti con l’effetto della seta nei veli che coprono il volto delle ragazze (modelle dell’aristocrazia romana), conferendo loro un corpo esile ed etereo.

 

 

Rimane comunque fondamentale, nella lettura delle opere d’arte religiose, il rapporto tra l’esperienza dello studio del bello e l’esperienza conoscitiva. Da entrambe riceviamo informazioni, entrambe si completano e si integrano a vicenda per rivisualizzare il messaggio evangelico.

Indipendentemente dal soggetto, come afferma il giovane storico dell’arte Jacopo VENEZIANI, «in un’opera d’arte, c’è sempre da vedere più di quanto non sembri. A chi mi chiede quale sia il modo migliore per guardare un quadro rispondo ogni volta dicendo: “Guardarlo per davvero”. Che si sia esperti o meno di storia dell’arte, appassionati o meno di pittura, più si resta a osservare un dipinto e più i dettagli si scoprono, riuscendo così a leggere progressivamente l’opera osservata».

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