Quando a riscrivere sono i giovani

18 Marzo 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da MARIA NISII.

 

 

Ho proposto a un gruppo di ragazzi la riflessione che avevo condiviso nel post  “Samaritani  improbabili” pubblicato qualche tempo fa  (https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/samaritani-improbabili), chiedendo loro di dividersi in gruppetti e produrre una riscrittura che raccontasse la storia dal punto di vista del ferito e individuando nel ruolo del samaritano quello che a loro sembrava meglio incarnare l’idea del nemico. Di seguito ripropongo, al meglio spero, i loro racconti.

 

Un giovane è afflitto da conflitti familiari che gravano su di lui come un macigno. Non sa con chi parlarne e vorrebbe tanto aprirsi con i suoi amici, ma nessuno di loro si accorge del suo malessere. Così tutto quello che gli resta da fare, quando sopportare le urla in casa gli sembra troppo, è uscire. Uscire, togliersi di casa e camminare, camminare il più a lungo possibile. In una di queste uscite, in cui il movimento e l’aria gelida sono già da sole un piccolo conforto, non si accorge di essere arrivato in un quartiere periferico della città. Ad un certo momento però la sua solitudine angosciata è interrotta da un ragazzo che gli si avvicina, cercando di vendergli qualche pasticca di acido. Un po’ per ingenuità, un po’ per disperazione il giovane accetta la proposta. Ma mentre si avvia alle trattative, spiega all’altro perché ha bisogno precisamente di quell’oblio e pian piano vuota il sacco, riferendo tutto quello che aveva trattenuto fino a quel momento. Lo spacciatore ascolta parola per parola e quando il giovane ha finito, cambia idea: “Questi non fanno per te, ti farebbero male”. E rifiuta di venderglieli.”

 

 

A una festa di compleanno, un sedicenne ha un attacco di panico. Era lì con i suoi amici, stava bene ed era allegro. Ma da sempre prova un terrore inesprimibile ogni volta che ode un rumore improvviso, e quel giorno alla festa i suoi amici hanno portato palloncini, vuvuzelas e tutto quello che può aiutare a divertirsi con il rumore giocoso e semplice, prediletto dai ragazzi di quell’età. Alla sua reazione di panico di fronte all’esplosione di un palloncino, tutto subito gli amici appaiono stupiti, ma molto presto attaccano con le prese in giro, che si fanno sempre più pesanti, perché certo in quell’atmosfera di caos sfrenato sono tutti galvanizzati. E questa paura dei palloncini è per loro semplicemente esilarante! Insomma, la storia non è nuova. Gli capita sin da quando era molto piccolo e suo fratello, maggiore di lui di alcuni anni, si divertiva a fargli esplodere dei petardi il più vicino possibile per osservarne le reazioni. Fintanto che era piccolo i genitori l’hanno consolato e coccolato. Ma ora è cresciuto, è grande. Quindi basta con queste paure ridicole. Un palloncino che scoppia è solo un palloncino che scoppia e non c’è niente da temere:che impari a farsene una ragione! Ma a quella festa il ragazzo non riesce a farsene una ragione e l’ansia sale al punto tale da non riuscire più a respirare. La stanza gli gira tutt’attorno, sente un dolore tra le costole… e non sa che fare… A quel punto gli si avvicina il fratello maggiore, che lo abbraccia e ne guida la respirazione finché non si fa più regolare.”

 

 

Siamo a Scampia. Il protagonista è un giovane cresciuto in una famiglia di malavitosi. Quel mondo è l’unico che egli conosca. Nessuno gli ha mai mostrato niente di diverso, nessuna riflessione morale è arrivata a intralciare la sua vita, a mostrarne il lato inefficace e debole. Infine arriva il giorno della sua iniziazione alla pistola: gli dicono quello che deve fare, lo istruiscono per filo e per segno. Era una cosa inevitabile come inspirare ed espirare; per questo lui non si stupisce, sapeva da sempre che sarebbe dovuto accadere. Così esce e si incammina verso la strada che gli hanno indicato, ripetendosi nella mente tutti i singoli passaggi che avrebbe dovuto compiere per portare la missione a buon fine. Non si sta chiedendo se sta facendo la cosa giusta, se può non farlo. Sta andando come tutti si aspettano che lui faccia. Ma mentre cammina, vede una volante. E senza averci riflettuto, d’istinto, sente all’improvviso che deve fare quella cosa: la ferma e si autodenuncia, raccontando della sua famiglia e di quello che avrebbe dovuto fare e che,senza sapere perché, ha deciso che non vuole più fare.

 

Ascoltando i racconti di questi ragazzi mi sono stupita di quanto fossero efficaci, di quanto un racconto (di Luca Bottura prima e di Carola Susani poi) fosse riuscito a mostrare all’opera il meccanismo di una parabola potente, tutt’altro che pacificante, con un’immagine degli attanti decisamente fuori dagli schemi, ma ancor più con un’idea di Gesù ben più complessa (quindi evangelica) del santino da immaginetta votiva.

Mi chiedo se questa riflessione-laboratorio si possa tradurre in gioco, in scenetta, in altri racconti ancora (a scuola, in parrocchia…). I nostri giovani sono creativi, pieni di inventiva e immaginazione; inoltre si immedesimano facilmente nelle situazioni, specie pensando a un protagonista che sia loro coetaneo. A partire dai loro racconti, si può proseguire riflettendo sul modo in cui li hanno costruiti e la ragione delle scelte operate.

Io ho deciso di concludere chiedendo loro perché Gesù sia sovente rappresentato nelle vesti del buon samaritano, oltre che in quelle del ferito. Infine ho mostrato questa riscrittura inaudita di Timothy Schmalz, Ama il tuo nemico, perché la commentassero liberamente. E ha funzionato. Un racconto e un’immagine per dire il Vangelo, riscritture e interpretazioni personali per comprendere e fare propri pochi versetti, ascoltati innumerevoli volte, eppure forse mai davvero compresi.

 

 

 

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