Riscritture in lingua.

23 Marzo 2019Lorenzo Cuffini

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

 

Tra tutte le forme di riscrittura, la traduzione, letteralmente il trasferimento di un testo in una lingua diversa da quella originale, apparentemente sembra essere la più tecnica e la meno creativa: almeno secondo il significato che noi, oggi, diamo ai due termini.

Sappiamo benissimo che non è così: la scelta di un vocabolo, di un verbo, o la stessa risistemazione della punteggiatura , in una pagina di Scrittura, possono sollevare un nugolo di questioni interpretative, teologiche e dottrinali su cui gli esperti possono dibattere per anni.

D’altro canto, anche  riscrivere un passaggio secondo una  traduzione dagli antichi testi  più vicina e fedele all’originale di riferimento, va a sollevare gli stesi problemi, con, in più, l’aggiunta della opportunità o meno di modificare un qualcosa ormai sedimentato nell’ascolto, nella tradizione auditiva, e, più banalmente, nell’abitudine generata dalla ripetitività del sentire.

La questione della riscrittura in lingua, dunque, nasce come questione di accademia, ma immediatamente si trasforma in materia viva e palpitante, con rimandi immediati anche sul semplice fedele che si accosti al risultato finale, ignaro di tutto il travaglio e il lavoro precedente,

Senza spingerci oltre in questo campo sterminato, ci limitiamo a fornire qui tre esempi diversi di riscrittura in lingua. Differenti per motivazione, resa, espressione e utilizzo. Ma, tutti e tre, capaci di mostare come la veste semantica, sia in grado di impattare profondamente ed emotivamente nel “fruitore” finale della storia.

 

Il primo caso è quello, recentissimo, della Bibbia  in  friuliano .Saldamente piantato nello spirito del Concilio, è  frutto di un’opera pluridecennale immensa, ed è stata presentata  ufficialmente  dal presidente della Cei a Udine pochi mesi fa. Ai fini esemplificativi, in estrema sintesi, si tratta di un’operazione che si propone- a detta degli autori stessi – la salvaguardia e la trasmissione alle generazioni successive delle radici culturali di un territorio e di una popolazione, entrambi marcati in modo definitivo dal nocciolo cristiano e cristiano/giudaico espressi dalla Scrittura, mescolato in modo indivisibile alla storia stessa e tutta intera di questo pezzo di mondo.

«In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno». (Gen 1,1-2)

«Tal imprin Diu al creà cîl e tiere. Ma la tiere e jere un vuluç e vueide, gnot fonde e jere sul mâr, e il spirt di Diu al svolampave parsore des aghis. Diu al disè: “Che e sedi la lûs“ e la lûs comparì: Diu al viodè che la lûs e leve ben e al metè la lûs di une bande e il scûr di chê altre. Diu al metè il non di dì a la lûs e di gnot al scûr. E passà una sere e une buinore: prime zornade». (Gen 1,1-2)

Il secondo esempio che portiamo è  SU RE ( film del 2013, di Giovanni Culumbu) . Qui c’è non solo la traduzione in lingua sarda di parti della Scrittura ( il film è recitato integralmente in sardo, con sottotitoli), ma storia del Messia crocifisso viene ambientata e rinarrata in terra di Sardegna, girata nei paesaggi sardi, portata in scena da interpreti sardi. Anche in  questo caso, dunque, gioca la volontà di esprimere un radicamento nella cultura di un territorio, spinto al massimo dalla potenza moltiplicativa delle immagini e dei suoni.

 

 

Terzo caso che vi proponamo è  il discusso THE PASSION di Mel Gibson, dove la storia della Passione viene resa attraverso dialoghi in aramaico, ebraico e  latino: con l’obiettivo dichiarato di portare lo spettatore ad ascoltare “il vero suono” di quelle frasi mille  volte riascolatate nelle letture liturgiche e non solo.

 

 

 

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