Riscrivere vivendo
Scritto da GIAN LUCA CARREGA.
Ci sono davvero tanti modi di riscrivere la Bibbia e il nostro blog considera diverse forme artistiche che si cimentano nell’impresa di riproporla in maniera più o meno fedele. Non dovremmo, però, dimenticare che uno degli ambiti più creativi della riscrittura biblica è quello della vita. È noto che, ad esempio, Francesco d’Assisi venne indicato come “alter Christus”, non soltanto in ragione delle stimmate che riprendevano le ferite del Crocifisso, ma per un percorso di vita che si modellava su quello del maestro. Di molte sante e santi si potrebbe dire che hanno rivissuto la vicenda biblica, imitatori dei discepoli e fedeli seguaci dei primi pastori, ma forse è più stimolante esaminare quelle forme di riscrittura che sono meno intuitive, cioè quelle vite che sono rimaste laiche pur essendo pienamente intrise dello spirito biblico.
Se pensiamo ai profeti della Scrittura, hanno meno epigoni rispetto ad altre figure. E non c’è da meravigliarsi: il profeta è un personaggio scomodo che riconosce i segni della presenza di Dio nella storia, li indica e interviene con un coinvolgimento diretto che spesso comporta gravi disagi per la sua vita. Certamente c’erano anche i cosiddetti profeti di corte che si allineavano ai gusti e al pensiero del sovrano di turno, ma di questi è bene dimenticarsi in fretta. Le grandi figure profetiche sono invece anime travagliate che sentono l’intimo tormento del messaggio che devono portare, come Geremia, o il peso della sfida alle istituzioni corrotte, come Elia. C’è una dimensione pubblica in questi profeti che non deve sfuggirci e – soprattutto – una dimensione politica.
Oggi molti credenti guardano con fastidio al coinvolgimento politico, urtati da commistioni indebite e da compromessi vergognosi che hanno screditato la chiesa nel suo cammino. Ma i profeti sono l’esatto opposto di questi accomodamenti. Nel suo linguaggio colorito, don Lorenzo Milani aveva come progetto di vita “star sui coglioni a tutti, come sono stati i profeti”. Il loro ruolo di denuncia non fu lo sfogo personale di chi sposa una causa, ma la missione che incarnavano a nome di Dio che li accreditava come portavoce autorevoli davanti all’autorità. E i re ne avevano rispetto anche quando erano in disaccordo, come mostrano molti esempi da Acab con Elia a Erode con Giovanni Battista.
Il 9 maggio 2021 è stato beatificato Rosario Livatino, primo magistrato nella storia a salire agli altari. Riconoscendo che il suo assassinio ad opera di quattro killer della stidda è avvenuto “in odio alla fede”, la sua morte si configura come un martirio. Tornano alla mente le parole di Gesù in Matteo 23,35 dove richiama il sangue innocente versato da Abele a Zaccaria, cioè dalla A alla Zeta.
Si dirà che la vita di un uomo che ha scelto di impegnarsi nella magistratura è diversa da quella di uno che il Signore ha chiamato direttamente dal suo lavoro di coltivatore di sicomori come Amos… Certamente sì! Ma la scoperta di una missione all’interno di un vissuto quotidiano rendono simile il cammino interiore del profeta biblico e quello del credente impegnato. Il senso del limite che sperimenta un Geremia o un Elia sul finire della sua opera assomigliano a ciò che scriveva nella sua agenda Livatino: “Il peccato è ombra, e per giudicare occorre la luce. Ma nessun uomo è luce assoluta”. Colpisce molto, poi, l’accostamento tra la nota espressione di Elia “per la vita del Signore alla cui presenza io sto” e la frase con cui Livatino iniziava i suoi appunti, “sub tutela Dei”. Il postulatore della sua causa ha evidenziato bene come il senso proprio di questa espressione sia non tanto “sotto la custodia” ma “sotto lo sguardo” di Dio, che sottolinea una presa di coscienza dell’agire davanti a Lui.
Riscrivere, dunque, la Bibbia con la vita è un modo di raccogliere la testimonianza che si è ricevuta e ciò che è scritto col sangue è ancora più efficace di ciò che è vergato solo con l’inchiostro.