Se c’è Dio ci sono anch’io
Scritto da DARIO O. COPPOLA.
“Beati sono i santi,
i cavalieri e i fanti.
Beati i vivi e i morti
ma soprattutto i risorti.
Beati sono i ricchi
perché hanno il mondo in mano
Beati i potenti e i re,
beato chi è sovrano.
Beati i bulli di quartiere
perché non sanno quello che fanno
e i parlamentari ladri
che sicuramente lo sanno.
Beata è la guerra,
chi la fa e chi la decanta
Ma più beata ancora è
la guerra quando è santa.
Beati i bambini
che sorridono alla mamma,
beati gli stranieri
ed i soufflé di panna.
Beati sono i frati,
beate anche le suore.
Beati i premiati
con le medaglie d’oro.
Beati i professori,
beati gli arrivisti,
I nobili e i padroni
specie se comunisti.
Beata la frontiera,
beata la Finanza
Beata è la fiera
e ogni circostanza.
Beata la mia prima donna
che mi ha preso ancora vergine
Beato il sesso libero,
(se entro un certo margine).
[Beati i sottosegretari e i sottufficiali]
Beati i sottoaceti
che ti preparano al cenone,
Beati i critici e gli esegeti
di questa mia canzone.
(Le beatitudini)
Ho appreso, in una conversazione con un mio caro amico di Como, che prevale tra alcuni fans di Rino Gaetano la tendenza a voler eliminare il significato spirituale delle sue beatitudini: qualcuno ha proprio asserito che queste beatitudini di Rino non abbiano nulla a che fare col discorso della montagna. Ma è proprio così?
Chiariamo allora subito alcuni dettagli:
1) il testo delle beatitudini di Rino Gaetano è ispirato certamente dal vangelo secondo Matteo e non da quello di Luca. Matteo fa parlare il Cristo in terza persona plurale riferendosi agli astanti; Luca, invece, fa parlare Cristo più direttamente, in seconda persona plurale (Beati voi) e aggiunge anche le cosiddette maledizioni (Guai a voi). Perciò, se il problema è il riferimento al discorso della montagna (quello di Matteo) o al discorso della pianura (quello di Luca), non v’è dubbio: Rino si riferisce a Matteo.
2) Nel testo di Luca i riferimenti alla povertà sono certamente più materiali e concreti: si tratta di una povertà economica (la si associa proprio solo alla fame) mentre Matteo dice: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia» (Mt 5 ,6 ) riferendosi non solo agli affamati; infatti, all’inizio, Matteo dice: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5, 3), mentre Luca dice «Beati voi, poveri» (Lc 6, 20) e «Beati voi che avete fame» (Lc 6, 21). In questo senso, Rino allarga il suo riferimento a tutte le categorie sociali, non certamente solo considerando la povertà economica. E parla pure di guerra, come anche Matteo: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5, 9).
3) Rino scrive un testo ironico. Cosa significa? Parla al contrario! Il termine εἰρωνεία (ironia) indica proprio la dissimulazione di chi afferma il contrario! Cioè come quando esclamiamo che è una bella giornata ma fuori diluvia (l’ironia non è riducibile allo scherzo tout court, come purtroppo molti pensano). Perciò se Rino dice beati, egli intende il contrario. Oppure se dice che beati sono coloro che fanno la guerra egli intende proprio che beati sono gli operatori di pace: tema tipico del discorso della montagna, come detto sopra. Nella sua ironia, dunque, i “beati” di Rino stanno sulla terra e sguazzano (incuranti della giustizia terrena e divina) nel benessere, non nella precarietà. Perciò il cantautore sta sferzando criticamente, con l’ironico termine beati coloro che abusano del loro potere e della propria situazione sociale dominando sugli altri: questo è molto vicino allo spirito del discorso della montagna. Forse, l’unica cosa che manca in queste beatitudini è la speranza in una vita migliore sia nell’al-di-qua sia nell’al-di-là… Ma come facciamo a dirlo, con certezza? Vedremo, per questo, altri testi di Rino…
4) Se egli non avesse voluto riferirsi a Cristo stesso, e a quel discorso di Matteo, non avrebbe scelto quel titolo (Le beatitudini) e quel brano molto allusivo al discorso della montagna. Avrebbe potuto scegliere mille altri riferimenti a testi già scritti. Rino, però, è stato indubbiamente colpito dal testo che ha scelto. Questo era già avvenuto con Pasolini e De Gregori, come abbiamo già avuto modo di vedere.
Le Beatitudini di Matteo sono il manifesto del Regno dei cieli, mentre quelle di Rino Gaetano sono il manifesto dei vari e inquieti regni, regnanti e servi della gleba, in cerca della pace mai trovata.
Le suggestioni spirituali, il tono profetico, lo sguardo distaccato dalla realtà, l’amore per le donne e per la vita… sono i temi fondamentali del cantautore calabrese.
Rino ha colto in modo chiaro alla fine degli anni settanta, purtroppo solo affacciandosi sugli anni ottanta, i temi che ancora ci avrebbero visti a discutere, con una differenza: la sua epoca conobbe maggiormente, rispetto a oggi, il sapore della libertà di espressione e dell’innovazione. E i suoi testi cambiarono le mentalità passatiste, tanto da rimanere ancora attuali e, anzi, troppo scomodi ai perbenisti e ai potenti:
Beati sono i ricchi perché hanno il/ mondo in mano./ Beati i potenti e i re e beato chi è/ sovrano./ Beati i bulli di quartiere perché non/ sanno ciò che fanno./ Ed i parlamentari ladri che sicuramente lo sanno./ Beata la guerra, chi la fa e chi la/ decanta.
L’ironia può riferirsi forse alla critica di Platone a Omero – non dimentichiamoci che Rino nacque e visse gran parte della sua breve vita nella Magna Grecia, e soprattutto amò quella terra e la sua gente… – ma è indubbia l’attualità di questi versi, che, senza averle viste, sembrano alludere a certe guerre di oggi, oltre che a quelle di ieri…
Ma più beata ancora è la guerra/ quando è santa./ Beati i bambini che sorridono alla/ mamma./ Beati gli stranieri ed i soufflé di/ panna./ Beati sono i frati, beate anche le/ suore/. Beati i premiati con le medaglie/ d’oro./ Beati i professori, beati gli arrivisti, i nobili e i padroni specie se/ comunisti./ Beata la frontiera, beata la finanza/ beata è la fiera ad ogni circostanza./ Beata la mia prima donna che mi ha/ preso ancora vergine./ Beato il sesso libero sì ma entro un/ certo margine./ Beati i sottosegretari, i sottufficiali. / Beati i sottaceti che ti preparano al/ cenone./ Beati i critici e gli esegeti di questa/ mia canzone.
L’ultimo riferimento raggiunge anche noi che scriviamo, come già faceva l’ironia di Cervantes.
Rino seppe amare molto, tanto da raggiungere ancora le ultime generazioni con questa sua passione; ha sempre amato e cantato, anche utilizzando temi mitologici, le donne: da Berta a Maria, da Lucia a Mary, da Marianna ad Aida, da Jaqueline a Gianna. Tutto questo, anticipando una concezione libera dell’amore:
Ma la notte, la festa è finita/ evviva la vita/ la gente si sveste/ comincia un mondo/ un mondo diverso/ ma fatto di sesso:/ chi vivrà vedrà.
(da Gianna).
Non è una visione solo materialista, come superficialmente potrebbe apparire. C’è molta spiritualità… c’è una forza nascosta che nel pensiero di Rino Gaetano si muove per produrre immagini, che ancora ci stupiscono per l’intelligenza anticipatrice e la serenità equilibrata, che scaturiva talora dalla difficile accettazione del dolore personale (Visto che mi vuoi lasciare), talora dalla lotta continua al fianco degli oppressi (Metà Africa, metà Europa), e dal conseguente superamento critico dei problemi sociali, per i quali Rino si è battuto e impegnato come impareggiabile aedo.
“Visto che posseggo/ un panino/ un’aranciata/ ed ho una donna in/ testa/ sia beninteso che/ per pochi intimi/ stasera io darò/ una festa/ e tu che Dio ti/ benedica/ non portarti appresso/ la tua amica/ ma vieni da sola/ perché da solo con/ te grazie a Dio grazie a/ te […] e dopo un poco ci/ provo e va tutto/ okey/ grazie a Dio grazie a lei”.
(da Grazie a Dio, grazie a te).
Il tema della festa, già a partire dalla musica orecchiabile e popolare, è molto presente nei testi di Rino, come in una vera liturgia, e supera il momento del dolore con l’amore per la vita nella sempre ironica, perciò efficace, lotta per la vera pace.
“Mi alzo al mattino con una nuova illusione,/ prendo il 109 per la rivoluzione […] io cerco il rock’n’roll al bar e nei metrò,/ cerco una bandiera diversa senza sangue sempre tersa/ Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po’/ e mi accorgo che son solo,/ in fondo è bello però […] in fondo è bella però è la mia guerra e io ci sto”.
(da E io ci sto)
Sembra di rivedere il fanciullo, emblema dell’oltreuomo che Nietzsche descrive in La Gaia Scienza, nella sua serena accettazione dell’eterno ritorno, simboleggiata dal mordere il serpente uroborico. Rino aveva accettato, fedele a questa terra, i suoi dolori e le sue gioie e ha saputo comunicarcelo:
Insieme a te vivo il mio momento strano/ mi mordo una mano mi sento divino/ divento un bambino insieme a te/ mi compro un turbante e mi invento un’amante/ ma solo con io solo con io/ solo con io […]”.
(da Solo con io)
Sapeva e sa ancora comunicare continuando a farci cantare Ma il cielo è sempre più blu.
E, inequivocabilmente, ascoltiamo – non senza un brivido – cosa ci dice qui Rino:
[…] sempre il gioco è la vita mia/ che poi finirà/ ma se c’è Dio ci sono anch’io/ buon Dio lo sai/ e c’è Dio di notte ti sento ci/ sei […] e c’è Dio di notte ti sento ti/ voglio ci sei.
(da Ma se c’è Dio)
Non è bastato un incidente, quel giugno del 1981, a far tacere la sua voce e a far cessare quello che di materiale e di spirituale ancora Rino ci dice.