Stelle: leva gli occhi al cielo!

8 Gennaio 2022Lorenzo Cuffini

Scritto da  MARIA NISII.

Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. (Mt 2)

Se il termine “magi” (magòi) va probabilmente interpretato nel senso di astrologi, ovverosia osservatori di quel cielo stellato che da sempre suggestiona gli uomini, la “stella” (astér) è un segno tutto da comprendere. Dalla profezia di Balaam (Nm 24,17) sappiamo che gli israeliti attendevano il Messia come un “astro”:

Io lo vedo, ma non ora,
io lo contemplo, ma non da vicino:
Una stella spunta da Giacobbe
e uno scettro sorge da Israele,
spezza le tempie di Moab
e il cranio dei figli di Set

La stella di cui parla il vangelo di Matteo è dunque più una figura messianica che un astro luminoso del cielo, tanto che in Apocalisse Cristo si autoproclama «la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (22,16).

Nonostante questo c’è chi si è ingegnato a cercarne l’identificazione con la cometa di Halley, ma neppure questo funziona visto che, secondo i calcoli, il suo passaggio sarebbe avvenuto il 12 a.C., all’incirca 6 anni prima della nascita di Gesù.

Nel Nuovo Testamento però troviamo altre “stelle”:

E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino. (2Pt 1,19)

Nella seconda lettera di Pietro la “stella del mattino” è segno della fede, associata alla lampada che brilla nell’oscurità, immagine già presente nei vangeli. D’altra parte è su questa simbologia che il Natale del Signore cade il 25 dicembre sostituituendosi alla nascita di Mitra, dio del sole, nel Diesnatalis Solis invicti, stabilita dall’imperatore Aureliano nel solstizio d’inverno.Come alcune icone mostrano al di là di ogni sospetto, Cristo è il Sole di giustizia (Mal 3,20), Sole che sorge dall’alto (Lc 1,78).

 

 

 

 

Dalle stelle al sole, lo stesso tema è ulteriormente rimodulato come “luce”, una simbologia abbondantemente presente nel quarto vangelo dove, sin dal prologo, Cristo è luce e luce che splende nelle tenebre:

In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

la luce splende nelle tenebre,

ma le tenebre non l’hanno accolta. (1,4-5).

È per questo che, pur non avendo la narrazione della nascita, il prologo giovanneo è letto il giorno di Natale per quell’annuncio della venuta nel mondo di Cristo, luce vera:

Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.(1,9)

La luce nel vangelo di Giovanni è Cristo, la cui presenza negli uomini è segno della fede in Lui, che rende i credenti “figli della luce”:

Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce (12,36)

Se il credente è figlio della luce, non sarà più “cieco” ma vedente. Non più incredulo, ma credente. Da qui le guarigioni dei ciechi e in specie del cieco-nato (Gv 9). Analogo riferimento è anche presente nel matteano discorso della montagna:

Voi siete la luce del mondo … Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini (Mt 5,14.16).

Come noto l’antitesi giovannea luce-tenebre richiama la prima pagina della Bibbia – già evidente dall’attacco: In principio…(Gen 1,1 e Gv 1,1)  in cui il fare ordinatore di Dio fa sgorgare la luce laddove regnava il caos. Di questo racconto fondativo il quarto vangelo si offre come riscrittura (già la Bibbia riscrive se stessa!), arricchendo il linguaggio dualistico di altre coppie antitetiche: verità-menzogna (vv. 9-10), accogliere-rifiutare (vv. 11-12).

L’autoproclamazione giovannea di Gesù Io sono la luce del mondo (Gv 8,12) riecheggia in Cristo luce del mondo!, acclamazione nella liturgia della luce che dà il via alla veglia pasquale, dove il gioco di luce e buio è al centro della ricca simbologia liturgica. Qui il cero pasquale, immagine di Cristo, viene acceso, al buio, dal fuoco predisposto all’esterno della chiesa. E dal cero attingono le fiaccole per illuminare i “figli della luce”.

 

 

Stelle, sole e luce paiono allora varianti sul tema. Una simbologia ricca, adatta alla cristologia, la quale oltre che narrativa è invariabilmente poetica – come la modulazione in versi del prologo giovanneo evidenzia. E tuttavia non si può negare che tali associazioni di Cristo a stelle, sole e luce siano di gusto vagamente paganeggiante, come le tante divinità cosmiche ricordano. Qualcosa di questa preoccupazione è evidente nel timore del teologo Bonhoeffer di profondersi in un inno al sole:

«Io amo in modo particolare il sole; esso mi ha spesso ricordato che l’uomo è stato creato dalla terra, e non è fatto di aria e di pensieri. Ciò fino al punto che un giorno a Cuba, quando mi fu chiesto di formulare una preghiera – si era in periodo natalizio -, arrivando io dal ghiaccio del Nord America in quella lussureggiante vegetazione, stavo per lasciarmi sopraffare dal culto per il sole, e quasi non sapevo che cosa avrei detto nella preghiera. Fu una vera crisi, e qualcosa di simile mi capita ogni estate, quando sento il sole. Per me il sole non è una realtà astronomica, ma qualcosa come un potere vivo, che amo e temo».(Dietrich Bonhoeffer)

L’ambiguità delle immagini luminose è già naturalmente nota a quel florilegio di simboli che è Apocalisse ove, oltre alla già citata stella messianica del mattino, vi è un’altra stella di tutt’altro segno:

Il terzo angelo suonò la tromba: cadde dal cielo una grande stella, ardente come una fiaccola, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque.La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono a causa di quelle acque, che erano divenute amare.(Ap 8,10-11)

La stella Assenzio è uno dei flagelli del settenario delle trombe, che si abbattono sulla terra provocando effetti terrificanti e mortiferi. Se infatti le stelle cadenti richiamano il desiderio (nell’etimo: de-sidera) che ci fa stare con il naso all’insù nelle notti estive, esse suscitano pure paure più o meno fondate. È su questo secondo caso che si basa il recente film (con un cast stellare!) Don’t look up, la cui trama è incentrata attorno alla minaccia di una cometa che sta per abbattersi sulla terra, provocandone la distruzione. Che la storia sia raccontata in modo irridente nulla toglie al carattere apocalittico di questo grande simbolo che ha attraversato la storia dell’umanità.

 

 

E in fondo la biblica cometa che spinge i magi a mettersi in viaggio non dice come un fenomeno celeste possa segnalare eventi eccezionali a chi quel cielo sia disposto a scrutare? Origene in Contra Celsum (I, 58-59) cita il trattato Sulle comete dello stoico Cheremone, precettore di Nerone, ricordando come prassi consolidata l’apparizione di comete o di nuovi astri in occasione della nascita di personaggi importanti. E se Origene ha bisogno di confutare le tesi del suo avversario su questo punto, possiamo dedurre che si trattava di un fenomeno dalla controversa interpretazione.

Evidentemente il cristianesimo primitivo conosceva l’ambigua simbolica religiosa, ma tutto sommato non se ne preoccupa troppo nella misura in cui Dio creatore genera la luce e le luminarie celesti (opera delle sue mani, Sal 19) senza identificarsi in esse. Le rappresentazioni artistiche in questo sono più efficaci di tante parole, quando distinguono tra la luce naturale e la luce soprannaturale, divina – come nelle tele di Caravaggio, tanto per citare uno dei nomi più noti.

 

Caravaggio, Cena in Emmaus

 

Nei testi biblici la luce è essenzialmente simbolo della rivelazione di Dio e della sua presenza tra gli uomini – che scalda, illumina, guida e conforta. Ed è così che la troviamo nella Commedia di Dante, ove le tre Cantiche di Inferno, Purgatorio e Paradiso si congedano ogni volta invitando il lettore a sollevare lo sguardo.

salimmo su, el primo e io secondo,

tanto ch’i’ vidi de le cose belle

che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

(Inferno, XXXIV, 136-139)

Se le “stelle” rimandano alla “conoscenza rivelata e resa visibile” (V. Sermonti), Dante esce dall’Inferno già guardando al Purgatorio nel giorno in cui, secondo gli studiosi, cade la Pasqua del 1300. Le stelle sono visibili solo uscendo dagli abissi delle tenebre e del male, attraversati nell’Inferno e prima ancora nella personale selva oscura.

 

 

Io ritornai da la santissima onda

Rifatto sì come piante novelle

Rinovellate di novella fronda,

puro e disposto a salire le stelle.

(Purgatorio, XXXIII, 142-145)

 

 

A conclusione del Purgatorio Dante, a sua volta “purificato”, può salire alle stelle, perché la via del cielo è aperta. Il poeta può quindi accedere al Paradiso, dove potrà contemplare la beatitudine e la grazia di Dio.

A l’alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,

sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle.

(Paradiso, XXXIII, 142-145)

 

 

Nel Paradiso Dante ha visto Chi muove il mondo e porta la luce nella vita degli uomini e delle donne: l’Amore. È l’Amore a muovere. A noi alzare gli occhi a mirar le stelle.

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  • In copertina: GIOTTO, Cappella degli Scrovegni, ( Padova).

https://www.youtube.com/watch?v=syDOhOF0tcc

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