Storpio nei piedi

14 Ottobre 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da MARIA NISII.

Di piede in piede (5)

 

 

 

Giònata, figlio di Saul, aveva un figlio storpio nei piedi. Egli aveva cinque anni quando giunsero da  Izreèl le notizie circa i fatti di Saul e di Giònata. La nutrice l’aveva preso ed era fuggita, ma nella fretta della fuga il bambino era caduto ed era rimasto storpio. Si chiamava Merib-Baal. (2Sam 4,4)

In questo excursus biblico che focalizza l’attenzione su un dettaglio anatomico solo apparentemente irrilevante, ritroviamo Davide e Gionata (https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/davide-e-gionata) incontrando il personaggio di Merib-Baal. E poiché sono tanti i racconti che hanno riscritto la storia di re Davide, abbiamo un’ampia gamma di riscritture a cui attingere.

 

 

Ne Il pianto del figlio di Lais di Riccardo Bacchelli (1945) si racconta che Gionata è rimasto vedovo con un solo figlio piccolo e prima di partire per una guerra, che in anticipo sa essere l’ultima, lo affida alla sorella Micol andata frattanto in sposa a Faltiel.Quando il cognato va a prendere il bambino, trova però la città assediata, la casa di Gionata già vuota e i giochi del piccolo abbandonati sul pavimento. Disperando ormai di trovarlo, l’indomani mattina all’alba vede una donna seduta sul margine di una strada con un bambino steso sulle ginocchia. La donna piange disperata.

Faltiel considerava il viso estenuato, le belle e delicate fattezze del fanciullo che giaceva ad occhi chiusi, colle gambe inerti e come morte (p. 206).

La donna, che dice di essere la sua nutrice, spiega:

Ieri, quand’arrivò la prima notizia che Saul e i figli di Saul e gli uomini d’Israele son tutti morti, sentendo gridare: Ci sono i filistei! Io mi levai per fuggire. L’avevo in braccio; nel correre ho inciampato: mi è caduto e non si regge più sui piedi. Di sicuro li ha rotti […] Ma io non ho fatto apposta: ho inciampato: credevo che i filistei fossero già in Gabaa: tutti urlavano. Oh, s’è fatto tanto male, e resterà storpio per sempre. Meglio per suo padre non rivederlo mai più, ridotto com’è (p. 206-8).

Micol e Faltiel accolgono e si prendono cura del piccolo e della nutrice, ma il suo destino pare segnato:

il fanciullo, chiuso e rattratto nella sua timidezza d’infelice e di segnato da Dio […] sembrava perso ed assorto in un sogno […]. I ricordi della prima infanzia e del padre, ai tentativi di parlargliene, lo rattrappivano penosamente, con ira stolta e penosa; e non sopportava vicina altra persona che la nutrice, la quale, secondo il parere di Micol, finiva di renderlo stupido e inetto, di storpiargli lo spirito, per adoperare le sue parole, come gli aveva storpiati i piedi (p. 214-5).

 

 

In Betsabea di Torgny Lindgren (1984) la descrizione del figlio di Gionata è prodiga di dettagli:

Merib-Baal era dunque storpio. Lo era fin dall’infanzia, era stata la nutrice a renderlo storpio. La donna apparteneva alla stirpe dei Daniti, la stessa di Sansone, colui che uccise mille uomini con una mandibola d’asino, ella era alta quattro braccia e aveva la forza di tre uomini. Quando Saul e Gionata furono uccisi presso il monte Gelboa, ella scappò con Merib-Baal per sfuggire ai Filistei, il bambino diventerà re, penso, Merib-Baal aveva all’epoca cinque anni, ella lo sollevò sulle mani e se lo tenne alto sopra il capo mentre correva, il piccolo era figlio del re ed ella lo sollevò verso il cielo perché anche nella fuga potesse conservare la propria dignità e grandezza, ma quando raggiunse Izreel, la pianura sotto il Gelboa, il suo piede sinistro inciampò contro una pietra ed ella cadde in avanti e Merib-Baal le scappò di mano e i suoi piedi si schiacciarono nella caduta, entrambi i piedi si schiacciarono e non furono mai più piedi nel vero senso della parola, ma diventarono due masse informi e carnose  prive di mobilità e di stabilità; per poter camminare Merib-Baal era costretto a servirsi di due bastoni, i bastoni erano intagliati in legno di gelso e avevano in basso teste di serpente e in alto artigli di uccello rapace. (p. 75)

 

 

Il re gli disse: «C’è ancora qualcuno della casa di Saul, che io possa trattare con la bontà di Dio?». Siba rispose al re: «Vi è ancora un figlio di Giònata, storpio nei piedi». (2Sam 9,3)

Quando Davide scopre l’esistenza di questo figlio di Gionata, le sue parole sembrano ricche di affetto per l’amico perduto. Tuttavia la preoccupazione mostrata altrove di dover rivaleggiare con eventuali eredi al trono (cfr 2Sam 21,8-9), ci fa propendere per un’interpretazione meno generosa. Merib-Baal appartiene infatti alla famiglia di Saul, è il figlio maschio del figlio del re, e di conseguenza potrebbe avanzare pretese regali. Il fatto che Davide lo tenga da quel momento ospite fisso nel suo palazzo è stato quindi visto come un modo per controllarlo, sebbene la sua condizione di storpio gli precluda ogni aspirazione – come si rivelerà in 2Sam 16,3 egli potrebbe pur sempre far valere i suoi diritti. L’atteggiamento di Davide è quindi ambiguo: da un lato gli promette protezione, mentre dall’altra cerca di conciliarsi con i seguaci di Saul che ancora ci sono, trattandolo con benevolenza.

Così sembra interpretare Geraldine Brooks in L’armonia segreta (2015):

Quando venne a sapere che Merav aveva generato cinque figli maschi col marito Adriel, David fu preso dall’inquietudine perché temeva che, in quanto discendenti di Shaul, decidessero di rivendicare la corona, magari facendo leva sullo scontento che serpeggiava fra le tribù settentrionali.

In realtà un discendente di Shaul viveva già con noi, sedendo ogni giorno alla tavola del re. Infatti, David aveva mantenuto fede alla promessa fatta a Yonatan di custodire la sua stirpe. Ma si trattava di un bimbo storpio che doveva essere sorretto per poter camminare, e David lo trattava sempre con affetto, anche perché non rappresentava alcuna minaccia per la sua dinastia. (p. 184)

In realtà quando Merib-Baal diventa ospite fisso alla tavola del re non è più bambino da un pezzo e tuttavia, quanto all’atteggiamento affettuoso, non è l’unico testo a eliminare l’ambiguità del racconto originario.

 

 

 

Nel Davide di Carlo Coccioli (1976) si presenta un’immagine del re affascinante e seducente pur nelle sue contraddizioni, ma nel passaggio implicato, quando cioè scopre l’esistenza di questo discendente di Gionata, sembra conoscere solo una reazione appassionata e sinceramente affettuosa:

Eccolo davanti a me, che ho il cuore confuso. […] allora mi chino su di lui, lo sollevo, lo sento ghiacciato di paura […]. Sul viso scarno, tristissimo, scorgo un riflesso di Gionata […] Nella voce acerba afferro e me ne commuovo grandemente, un riflesso della voce di Gionata.(p. 254)

 

 

 

Quanto alla vicinanza che Davide sembra imporre a Merib-Baal per amore dell’amico perduto, come sempre il testo biblico non si perde in dettagli (sebbene non dimentichi mai di citare il dettaglio che lo caratterizza):

Ma Merib-Baal abitava a Gerusalemme, perché mangiava sempre alla tavola del re. Era storpio in ambedue i piedi. (2Sam 9,13)

E tuttavia non è difficile scorgerne l’ambivalenza, che vede da un lato la fedeltà a un patto e dall’altro il controllo di un nemico potenziale. Il figlio di Gionata sarà infatti costretto a vivere da recluso, sebbene si tratti di una gabbia dorata.

Non interpreta male allora la versione di Lindgren, in cui Davide,seppur appaia benevolo, beneficiando ogni sera Merib-Baal di lauti banchetti per ricordare i tempi felici con Gionata, non manca di fiaccarne lo spirito:

Ogni pasto è un pasto sacrificale io sono la vittima. (p. 76), confessa infatti Merib-Baal.

Quei momenti creano però nell’altro un legame profondo, tanto da divenirgli indispensabili:egli non può più rinunciarvi, richiamando in questo modo l’affetto che suo padre aveva nutrito per Davide:

Io non ho altro che la mia debolezza da regalare al re. Se perdo la mia debolezza, che cosa mi rimane da offrirgli? (p. 79)

Prima di congedarci da questo personaggio minore, la cui presenza contribuisce però a rivelare alcuni tratti del regale protagonista, non può sfuggirci la presenza nel nome della divinità cananea (Baal) tanto combattuta da Dio e dai profeti, che sembra rendere il figlio di Gionata impotente in partenza di fronte al re Davide, l’unto di YHWH, anche al di là della menomazione fisica. Nella Bibbia il nome Merib-Baal è sovente sostituito con Mefiboset, appunto per eludere le tracce di tale scomoda presenza.

 

 

Davide disse in quel giorno: «Chiunque vuol colpire i Gebusei, attacchi attraverso il canale gli zoppi e i ciechi, che odiano la vita di Davide». Per questo dicono: «Il cieco e lo zoppo non entreranno nella casa». (2Sam 5,8)

Nell’epopea del re Davide si nota un insolito dispregio nei confronti degli zoppi. La ragione di tale stigma potrebbe derivare dall’atteggiamento di scherno dei Gebusei, che pare avessero messo dei disabili a difesa della città. Ma non si esclude neppure che Davide abbia eliminato ciechi e zoppi dal suo esercito, dopo averli esclusi dal tempio. Ci chiediamo allora se è a causa di tale interdizione che gli zoppi continuino a restare fuori dal tempio ancora al tempo di Gesù e della prima comunità cristiana:

Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. (At 3,2)

 

 

Anche in questo caso, l’atteggiamento nei confronti degli zoppi (insieme alle altre categorie che messe insieme rappresentavano probabilmente le principali disabilità identificate come tali all’epoca) non è univoco nella Scrittura. Quando Davide li esclude dal tempio, in realtà lo erano già dal sacerdozio:

Il Signore disse ancora a Mosè: «Parla ad Aronne e digli: Nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi ad offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso,né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano, né chi abbia una macchia nell’occhio o la scabbia o piaghe purulente o sia eunuco. Nessun uomo della stirpe del sacerdote Aronne, con qualche deformità, si accosterà ad offrire i sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore. Ha un difetto: non si accosti quindi per offrire il pane del suo Dio. Potrà mangiare il pane del suo Dio, le cose sacrosante e le cose sante;ma non potrà avvicinarsi al velo, né accostarsi all’altare, perché ha una deformità. Non dovrà profanare i miei luoghi santi, perché io sono il Signore che li santifico».

In Isaia si riconosce invece un posto privilegiato agli eunuchi nella casa del Signore (56,4-5), categoria esclusa nel Levitico e qui probabilmente citata in modo sintetico comprendendo anche le altre. La Bibbia, libro di libri, raccoglie le diverse sensibilità degli autori e delle epoche in cui sono vissuti. Di conseguenza nessuna norma va assolutizzata, ma letta nel contesto più ampio e nell’evoluzione della sua comprensione.

Nel Nuovo Testamento poi l’atteggiamento di Gesù eliminerà ogni preclusione conosciuta in precedenza:nella parabola lucana del banchetto del Regno gli invitati saranno appunto “i poveri, gli storpi, i ciechi, gli zoppi” (Lc 14,21), che Gesù ha guarito (Mt 15,29-31) e dichiarato beati nella loro afflizione e povertà di spirito (Mt 5).

 

Melchiorre Ferrari, La guarigione del paralitico (1761)

 

 

 

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