Sviste evangeliche.
Scritto da GIAN LUCA CARREGA.
Quandoque bonus dormitat Homerus dice il poeta latino Orazio nella sua Ars poetica. Se persino il pur bravo Omero ogni tanto si fa una dormitina, non c’è da stupirsi che anche gli evangelisti talvolta si distraggano e cadano in errore. Qualche volta lo sbaglio fa capolino a causa di una memoria storica imprecisa. È il caso abbastanza celebre di Mc 2,26, dove Gesù difende l’operato dei suoi discepoli rifacendosi a come agì il re Davide, collocando erroneamente l’episodio al tempo del sacerdote Abiatar invece che Abimelech. Un lapsus comprensibile, ma che non fa certo fare bella figura a Gesù nel corso di una disputa con esperti di Scrittura.
Eppure con Marco ci sentiamo di essere più indulgenti, perché sappiamo che i suoi mezzi espressivi sono piuttosto limitati e forse anche la sua cultura biblica. Ma con Luca, che si picca di essere uno scriba serio nel prologo del suo vangelo, ci aspetteremmo una maggiore precisione e invece anche lui si concede qualche libertà di troppo. Qui l’ambito non è tanto l’informazione errata, quanto l’incoerenza nella disposizione degli eventi o l’ambiguità nella sintassi. Presentando la figura di Giovanni Battista, Luca ci informa sul grande successo che ottiene presso il popolo con il suo battesimo e ci comunica che a causa della sua schiettezza viene incarcerato da Erode Antipa (Lc 3,20). Al versetto successivo ecco la notizia che tutto il popolo veniva battezzato e Gesù è tra questi: ma se Giovanni è in prigione, chi lo battezza?
Una curiosa ambiguità si genera anche durante la Passione. Pilato cede all’insistenza della folla che vuole la crocifissione di Gesù e lo consegna al loro volere. In Lc 23,26 viene quindi riportato che, mentre lo portavano via, fermarono un certo Simone di Cirene per obbligarlo a portare la croce di Gesù. Il soggetto non viene espresso e, secondo logica, dovrebbe essere l’ultimo di cui si è parlato, cioè la folla. Ma sappiamo bene che furono le milizie romane a svolgere questo compito, non la folla che agisce di sua iniziativa. Questa confusione poteva benissimo essere evitata aggiungendo il soggetto “i soldati”.
Concludiamo con l’evangelista Giovanni, a cui spetta la palma della svista più clamorosa. Il capitolo 11 è occupato per la maggior parte dall’episodio del risuscitamento di Lazzaro, che viene presentato come il fratello di Marta e di Maria, “quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi coi suoi capelli” (Gv 11,2). Colui che legge il testo per la prima volta trasale e si domanda se per caso abbia saltato delle pagine. Perché il fatto sarà narrato solo al capitolo successivo (Gv 12,1-8). Qui Giovanni dà per scontato che conosciamo qualcosa che racconterà solo in seguito e questo è certamente un errore nella costruzione della trama. Non possiamo essere sicuri di come si produsse questa svista, ma pare abbastanza certo che la trama di questo vangelo ebbe una storia piuttosto complicata, come rivela anche il fatto che Gv 14,31 ritiene concluso il discorso di addio di Gesù con l’invito a uscire dalla stanza, mentre in 15,1 il discorso prosegue come se nulla fosse cambiato rispetto a prima.