Ta pum: onomatopea di guerra

4 Novembre 2023Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

 

“Cessate il fuoco! Cessate il fuoco!

Fermatevi, fratelli e sorelle.

La guerra sempre è una sconfitta”,

(Papa Francesco, Angelus del 29 ottobre 2023)

 

Cessate il fuoco“: l’irruzione del linguaggio bellico nelle parole del Papa di Roma danno il segno e la misura della drammaticità di questi giorni, e di come la guerra sia ormai presente nello sfondo quotidiano delle nostre vite. Anche se la viviamo solamente da spettatori inquieti, la sua colonna sonora e le sue immagini, con tanto di alta definzione e audio in presa diretta, ci portano – se non fosse quasi di cattivo gusto dirlo a proposito di un tema come questo –  “in prima fila”, sul luogo stesso dei combattimenti. Il che scatena una doppia reazione: di vicinanza impressionante e di altrettanto impressionante sensazione  di guardare un film, o, peggio, un videogioco. Nulla, purtroppo, è fiction in quel che ci vien fatto vedere.

Davanti a tanto realismo tecnologico della narrazione odierna,  sorprende ripensare ad altre epoche tragiche e ad altre terribili battaglie che hanno avuto anch’esse il loro racconto, i loro narratori e un loro pubblico partecipe e angosciato. Basti pensare ai racconti di guerra, e, più ancora, ai canti della guerra, che ancora oggi, nonostante il linguaggio datato e carico di storia e tradizioni, sanno riportarci la vivezza e l’immediatezza del momento. Certo: oggi abbiamo dovizia di  riprese dai droni ed esplosioni riportate in stereo, cent’anni fa avevamo cori alla buona  e un suono semplificato e ingenuo: TA PUM , per esempio, a ricreare il contesto sonoro della battaglia. Ma l’effetto, per il tempo, era lo stesso. E sorprende non poco constatare che funziona, nella sua basicità, ancora oggi.

TA PUM era il suono del “fuoco” di allora, quello stesso per il quale  Francesco invoca oggi la cessazione: anche cent’anni fa – chissà quante volte – sperata, vagheggiata , sognata da chi se lo sentiva martellare nella carneficina delle trincee quel TA PUM. Verso onomatopeico, a riportare e perpetuare nel tempo l’eco insopprimibile dei colpi di artiglieria.

Le canzoni degli alpini sono concentrate sulla “sacralità della montagna” – tema socialmente presentabile nelle diverse Italie politiche che andranno a sovrapporsi a quella liberale – e caratterizzate da una intensità che consente loro di diventare per antonomasia il “suono” della prima guerra mondiale, anche se spesso sbrigativamente associato alle generiche canzoni di montagna. Ta-pum  risale all’epoca del traforo del Gottardo e nell’adattamento dei combattenti trasforma il riverbero degli scoppi in miniera nell’eco prodotta nelle valli dal colpo secco del “cecchino” austriaco

“L’attribuzione della paternità della canzone degli alpini è tuttora discussa. Alcuni l’attribuiscono ai militari italiani durante la Grande Guerra, altri al compositore Antonio Piccinelli di Chiari; in ogni caso sarebbe nata nel periodo della battaglia del monte Ortigara, in quanto essa viene citata esplicitamente nel testo. A quel tempo, nei percorsi di istruzione elementare, non tutti i segni di punteggiatura erano insegnati ed utilizzati; per questo motivo il titolo originale della canzone deve essere scritto tutto attaccato oppure con lo spazio, ma senza trattino alto (ovvero non Ta-pum). Il titolo ed il ritornello sono ispirati al rumore degli spari sul campo di battaglia: il “TA” è il rumore dell’innesto della pallottola e il “PUM” il rumore dello sparo dei fucili Steyr Mannlicher m1895 in dotazione alle truppe austro-ungariche.

Nino Piccinelli (il compositore clarense)  raccontò di avere scritto «Ta pum» la notte prima di un assalto a quota 2105: «La nostra trincea distava poche decine di metri da quella austriaca. Diedi una nota ad ogni sospiro della mia anima, nacque così l’accorato e disperato canto, tra i lugubri duelli delle artiglierie, il balenio spettrale dei razzi, il gemito dei feriti, il tiro infallibile dei cecchini“.

Carlo Salsa (1893-1962), ufficiale durante la prima guerra mondiale, era giornalista, scrittore e sceneggiatore, fondò il Premio Viareggio e lavorò alla sceneggiatura de “La Grande Guerra” di Monicelli. Le sue memorie di guerra vennero censurate sotto il fascismo. E’ l’autore di  “Trincee, confidenze di un fante“, pubblicato per la prima volta da Sonzogno nel 1924, successivamente da  Mursia nel 1995. Così’ racconta nelle sue pagine:

Allo scoppio d’apertura, Molon si rimette l’elmetto, si riallaccia il cinturone delle giberne e si leva, sferrando.
“Che fai adesso?”
“Ghe penso mi”
Gli allungo un cazzotto e lo tengo lì, zitto.
Fuori comincia a sgranarsi il pettegolezzo della fucileria.
Ogni tanto un graduato ficca la testa nello sgabuzzino e reca le solite notizie: qualche ferito, che si dovrebbe accompagnare o portare giù subito al posto di medicazione dei Mulini di Gabrie.
“Ghe penso mi”, dice Molon.
Rassegnato all’immobilità, dopo aver rovistato a lungo nel tascapane, leva una delle sue ventidue pipe e si mette a raschiare nel fornello con la punta della baionetta: canticchia tra sé, sommessamente.

Dietro il ponte c’è un cimitero
cimitero di noi soldà.
Tapum tapum tapum
tapum tapum tapum
Quando sei dietro quel mureto
soldatino non puoi più parlà.
Tapum tapum tapum
tapum tapum tapum

Versa la cicca nel palmo della mano e ne fa una pallottola che apposta con molto riguardo in bocca: spesso, se gli riesce di raggranellare, spuciando in tutte le tasche, un po’ di tabacco e un po’ di briciole assortite, accende la pipa: in questo caso a non dargli la libera uscita, c’è da finire affumicati.”

 

 

Dunque: “Cessate il fuoco!” implora il papa. Ed ha un peso importante ripeterlo oggi,   4 novembre, giorno fino a qualche anno fa dedicato a celebrare la Vittoria nella Prima Guerra Mondiale, prima di essere riconvertito a “Festa della Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate”. Oggi, quando rimbomba di guerra vera e di morti – spaventosamente – veri. Assume un significato particolare, oggi, parlare di questo canto degli alpini, e associarlo a quella implorazione in Piazza San Pietro. Dal momento che ha subìto nel tempo una metamorfosi nell’interpretazione e nell’utilizzo. Semplificando: possiamo dire che  è passato da canto della guerra a canto contro la guerra. Dall’epica bellicista, alla denuncia antimilitarista.

Senza voler aggiungere altro, ne riproponiamo tre diverse versioni, che ne indicano le tappe di trasformazione. La prima è quella tradizionale da Coro Alpino:

 

 

La seconda versione è interpretata dal gruppo  Al-tei :

 

 

La terza è quella del cantautore Massimo Bubola:

 

Per giungere a una riscrittura del canto per opera di Enrico Ruggeri, che lo reintepreta esplicitandone del tutto  la vena antimilitarista e il contenuto contro l’orrore della guerra, nel suo brano  Lettera dal fronte (Ta pum)

In conclusione: niente di ideologico, nell’antimilitarismo intrinseco di questo, come di altri brani analoghi: chi parla  giorno per giorno scopre l’inferno che sta vivendo, l’assurdità di quell’inferno, la realtà così incommensurabilmente diversa da tutta la retorica e gli entusiasmi “interventisti”. Come in certe liriche dal fronte del soldato Ungaretti, nessuna vigliaccheria nè ribellione in queste voci che acquistano via via lucida consapevolezza: al contrario, il coraggio vero e disincantato di chi resta al proprio posto, persino tenerezza  nei confronti del proprio ruolo di “soldatino” a un passo dal cimitero, la coscienza magari inespressa di chi capisce , per dirla con Francesco, “che la guerra sempre è una sconfitta“.

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  • Le citazioni sono tratte da:

https://www.cattolicanews.it/news-dalle-sedi-ta-pum-la-verita-sulla-grande-guerra-nei-canti-dei-soldati”

https://it.wikipedia.org/wiki/Tapum_(canzone)

  • La vignetta in copertina è di Mauro Biani

 

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